ISSN 1977-0944

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 264

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

59° anno
20 luglio 2016


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

516a sessione plenaria del CESE dei giorni 27 e 28 aprile 2016

2016/C 264/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La nuova strategia dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza (parere d'iniziativa)

1

2016/C 264/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Più equità nella mobilità dei lavoratori all’interno dell’UE (parere esplorativo)

11

2016/C 264/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Integrazione dei rifugiati nell’UE (parere esplorativo)

19

2016/C 264/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La dimensione esterna della politica energetica dell’UE

28


 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

516a sessione plenaria del CESE dei giorni 27 e 28 aprile 2016

2016/C 264/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sui servizi finanziari al dettaglio — Prodotti migliori, maggiore scelta e più opportunità per consumatori e imprese [COM(2015) 630 final]

35

2016/C 264/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso un quadro normativo moderno e più europeo sul diritto d’autore [COM(2015) 626 final]

51

2016/C 264/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale [COM(2015) 634 final — 2015/0287 (COD)] e alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni [COM(2015) 635 final — 2015/0288 (COD)]

57

2016/C 264/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici in relazione all’attuale crisi nel settore dell’asilo [COM(2015) 454 final]

73

2016/C 264/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi [COM(2015) 750 final – 2015/0269 (COD)]

77

2016/C 264/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ad alcuni aspetti di diritto societario (codificazione) [COM(2015) 616 final - 2015/0283 (COD)]

82

2016/C 264/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che garantisce la portabilità transfrontaliera dei servizi di contenuti online nel mercato interno [COM(2015) 627 final — 2015/0284 (COD)]

86

2016/C 264/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda le esenzioni per i negoziatori per conto proprio di merci [COM(2015) 648 final – 2015/0295 (COD)]

91

2016/C 264/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale [COM(2016) 25 final — 2016/0010 (CNS)] e alla Proposta di direttiva del Consiglio recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno [COM(2016) 26 final — 2016/0011 (CNS)]

93

2016/C 264/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - L’anello mancante - Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare [COM(2015) 614 final], alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio [COM(2015) 596 final - 2015/0276 (COD)], alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2008/98/CE sui rifiuti [COM(2015) 595 final - 2015/0275 (COD)], alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti [COM(2015) 594 final - 2015/0274 (COD)] e alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche [COM(2015) 593 final - 2015/0272 (COD)]

98

2016/C 264/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’accesso di beni e servizi di paesi terzi al mercato interno degli appalti pubblici dell’Unione europea e alle procedure a sostegno dei negoziati sull’accesso di beni e servizi dell’Unione europea ai mercati degli appalti pubblici dei paesi terzi [COM(2016) 34 final — 2012/0060 (COD)]

110

2016/C 264/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti - Stato dell’Unione dell’energia 2015 [COM(2015) 572 final]

117

2016/C 264/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile [COM(2015) 497 final]

123

2016/C 264/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione [COM(2016) 71 final – 2016/43 (NLE)]

134


IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

516a sessione plenaria del CESE dei giorni 27 e 28 aprile 2016

20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La nuova strategia dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza»

(parere d'iniziativa)

(2016/C 264/01)

Relatore:

José María ZUFIAUR NARVAIZA

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 21 gennaio 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

La nuova strategia dell’UE in materia di politica estera e di sicurezza

(parere d'inziativa)

La sezione specializzata «Relazioni esterne», incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 28 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato con 190 voti favorevoli, 10 voti contrari e 50 astensioni, il seguente parere.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE è d’accordo sulla necessità di rivedere l’attuale strategia europea in materia di sicurezza (SES), risalente al 2003, per rispondere ad un contesto internazionale sostanzialmente mutato. E, in quanto organismo consultivo delle istituzioni europee e rappresentante della società civile organizzata, giudica indispensabile essere consultato nel corso dell’elaborazione della nuova strategia e ritiene imprescindibile la partecipazione strutturata della società civile a questo processo. A giudizio del CESE, sarebbe necessario procedere a revisioni della strategia globale a scadenze più ravvicinate, ad esempio ogni cinque anni, facendole coincidere con i mandati del Parlamento e della Commissione.

1.2

L’UE è di fronte a crisi le cui caratteristiche principali sono la disgregazione sociale, l’interdipendenza, la debolezza istituzionale e la natura globale della disuguaglianza. Siamo entrati nell’epoca in cui l’esclusione sociale è un fattore essenziale di conflitti in rapporto ai quali l’intervento militare è manifestamente insufficiente.

1.3

La più vivace concorrenza geopolitica e geoeconomica e l’insistenza di alcune potenze nel suddividere il mondo in sfere di influenza ha ripercussioni sul modello strategico europeo, basato sulla cooperazione e la condizionalità positiva, e ne richiede un adeguamento.

1.4

A giudizio del CESE, in uno scenario internazionale tanto complesso, gli europei saranno in grado di difendere i loro valori e interessi solo grazie ad una maggiore unità di obiettivi, politiche e mezzi. La politica estera europea comincia all’interno dei nostri confini, giacché il legame tra le politiche interne ed esterne è inscindibile.

1.5

I cittadini europei volteranno le spalle all’attuale sentimento di disaffezione, si sentiranno europei e si coinvolgeranno nel progetto dell’UE solo se quest’ultima cambierà rotta e riprenderà il suo ruolo di promozione della libertà, della sicurezza e della prosperità, di difesa dell’uguaglianza, in Europa e nel resto del mondo.

1.6

È indispensabile aumentare l’integrazione politica europea per potere aspirare alla sovranità in un mondo globalizzato, per prendere decisioni che rilancino l’entusiasmo nei confronti del progetto europeo e di un contratto sociale rinnovato e per affrontare il deficit democratico.

1.7

La politica estera e la politica europea di sicurezza e di difesa, cui dovrebbero essere assegnate maggiori risorse, impongono l’uso di metodi di lavoro più flessibili e, allo stesso tempo, più coordinati, tra gli Stati membri e le istituzioni europee.

1.8

La difesa dell’UE richiede più coordinamento e pianificazione comune nella prospettiva di una futura Unione europea di difesa. A tal fine occorrono maggiori dotazioni finanziarie e lo sviluppo dell’industria europea della difesa, evitando doppioni di spesa attraverso strumenti di pooling e sharing (messa in comune e condivisione). Nello stesso spirito, sono fondamentali una migliore governance e una struttura istituzionale coerente, oltre alla promozione di grandi progetti comuni. Tutto ciò senza mettere in discussione le relazioni transatlantiche e la stretta cooperazione con le alleanze e gli organismi di cui fanno parte la maggioranza dei paesi dell’UE, come la NATO.

1.9

Per il CESE, le priorità della nuova strategia globale dovrebbero essere le seguenti: a) rafforzare il percorso di adesione dei paesi candidati, in particolare quelli dei Balcani occidentali e stabilizzare i paesi del vicinato orientale e meridionale anche rivolgendo l’attenzione ai flussi di migranti e di profughi; b) incoraggiare una politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) competente, efficace e visibile, sostenuta da una base industriale e tecnologica di difesa europea (EDITB) forte e meglio definita; c) potenziare un sistema multilaterale, efficace e riformato per la governance in materia di sicurezza, per la governance socioeconomica e per quella dello sviluppo e d) promuovere gli scambi commerciali e gli investimenti. E due dimensioni trasversali dovrebbero caratterizzare dette priorità: lo sviluppo sostenibile in generale e il potenziamento delle organizzazioni della società civile.

1.10

Con il suo tradizionale approccio di diplomazia preventiva e multilaterale, l’UE dovrebbe essere una potenza normativa e costruttiva in grado di promuovere una governance inclusiva puntando sulla partecipazione delle economie emergenti alle istituzioni multilaterali.

1.11

L’UE, nata per consolidare la pace in Europa, deve avere come obiettivo fondamentale, nella sua strategia globale, quello di mantenere e promuovere la pace. A tal fine sono fondamentali le politiche di sicurezza e di difesa, l’azione diplomatica e il ruolo della società civile.

1.12

In relazione alla crisi dei profughi, il CESE ritiene essenziale che l’UE si doti di una politica comune in materia di accoglienza, asilo e immigrazione attuata da un’istituzione europea; ciò garantirebbe che gli Stati membri facessero fronte alle loro responsabilità in maniera congiunta proporzionale e solidale.

1.13

A giudizio del CESE, andrebbero introdotte modifiche al sistema di concessione dei fondi europei per lo sviluppo, al fine di renderli più agili, versatili e adeguati alle circostanze specifiche.

1.14

Un insieme di mega-accordi commerciali in fase di negoziazione o di ratifica stanno sempre di più assumendo, al di là dei loro aspetti prettamente commerciali, un’innegabile dimensione geopolitica. Affrontare l’impatto geopolitico di questo tipo di accordi, rafforzare le relazioni multilaterali ed evitare tensioni tra blocchi commerciali saranno componenti essenziali della futura strategia globale dell’UE. Secondo il CESE è essenziale rispondere alle esigenze e alle preoccupazioni della società civile e dei cittadini in generale concernenti tali accordi, che hanno un’influenza sul nostro modo di vivere.

1.15

Il rafforzamento della società civile, della sua azione e dei suoi legami, paralleli all’attività diplomatica, è, secondo il CESE, essenziale per attuare la politica estera e di sicurezza dell’UE. Il Comitato è pertanto favorevole ad introdurre espressamente questo elemento tra gli obiettivi prioritari della PESC.

1.16

Si ritiene che il CESE, in quanto organo consultivo delle istituzioni europee e rappresentante di tutte le grandi organizzazioni della società civile organizzata negli Stati membri dell’UE, si trovi nella posizione migliore per essere una controparte essenziale delle istituzioni europee coinvolte nella politica estera e di sicurezza comune dell’UE e in particolare del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) e della Commissione europea.

1.17

A tal fine, il CESE propone di esaminare insieme al SEAE tali priorità e di definire le modalità per ufficializzare la cooperazione tra i due organi.

1.18

Il CESE offre il suo aiuto al SEAE per produrre una relazione di valutazione sull’attuale partecipazione della società civile nell’ambito della politica estera europea.

1.19

Si propone di organizzare ogni anno nella sede del CESE, alla presenza dell’alto rappresentante, un’audizione sulla politica estera e di sicurezza, con la partecipazione delle principali organizzazioni europee della società civile.

2.   Un nuovo quadro per l’azione esterna dell’UE

2.1

Il CESE segnala che è necessaria una strategia che includa tutti gli strumenti di azione esterna dell’UE, compresi quelli per la sicurezza e la difesa, in un quadro generale coerente e aggiornato. Occorre pertanto modificare gli obiettivi, le priorità, gli interessi e gli strumenti dell’azione esterna dell’Unione, con una prospettiva globale che vada oltre gli approcci parziali e le resistenze nazionali e che garantisca un maggior coordinamento e una più ampia flessibilità (1)  (2).

2.2

Malgrado i notevoli progressi sociali compiuti in vari aspetti coperti dagli Obiettivi di sviluppo del millennio, altri fenomeni come il diminuito peso dell’Occidente, il consolidamento delle nuove potenze emergenti, l’impatto crescente delle tecnologie dell’informazione, le tendenze demografiche e una maggiore disuguaglianza lasciano intravedere un contesto geopolitico mondiale più complesso, in cui l’avanzata di un modello fondato su norme e valori propri di società aperte incontrerà maggiori resistenze. Questo accade nel quadro di alcune istituzioni multilaterali che non si sono adeguate a un nuovo mondo multipolare. Di conseguenza, si assiste ad un’erosione delle norme internazionali nel momento stesso in cui l’importanza della geo-politica viene ridimensionata. Con l’aumento del numero di soggetti presenti sulla scena, tra cui gli attori non statali e le imprese sovranazionali, e con la messa a punto di tecnologie rivoluzionarie, è difficile definire un’agenda strategica e gestire contesti complessi.

2.3

Attualmente, l’UE si trova a fronteggiare innanzitutto tre grandi sfide: gestire i flussi migratori, garantire la sicurezza del continente contro le minacce terroristiche e prevenire le aggressioni militari e gli attacchi informatici nei confronti degli Stati membri. Per il resto le sfide, le minacce e i rischi sono di natura essenzialmente globale: cambiamenti climatici, crisi finanziarie ed economiche, evasione fiscale, corruzione, criminalità organizzata, pandemie, crisi umanitarie ecc. L’Unione è chiamata a svolgere un ruolo in tutti questi ambiti. La politica estera e di sicurezza comune deve diventare uno strumento efficace, molto più efficace di quanto non sia adesso, per la difesa degli interessi dell’Unione e degli Stati membri, il che è a sua volta essenziale per coinvolgere maggiormente questi ultimi nella politica estera e di sicurezza dell’UE. Come dichiarato dall’alta rappresentante e vicepresidente «abbiamo bisogno di una strategia per tutelare in maniera proattiva i nostri interessi, tenendo conto del fatto che la promozione dei nostri valori è parte integrante dei nostri interessi».

2.4

Dall’adozione della strategia nel 2003 si sono verificati due cambiamenti strutturali:

2.4.1

Il primo dato da tenere presente è che siamo di fronte a crisi le cui caratteristiche principali sono la disgregazione sociale, l’interdipendenza, la debolezza istituzionale e la natura globale della disuguaglianza. Oggi la globalizzazione comporta vicinanza, visibilità e densità della popolazione. La disuguaglianza è diventata un parametro globale. Tale intensità dei contrasti sociali è alla base degli spostamenti di massa. E questo mondo, sempre più unificato ed estremamente disuguale, è fonte di instabilità e di insicurezza. Siamo entrati nell’epoca dei conflitti dettati dall’esclusione sociale, in rapporto ai quali l’intervento militare è manifestamente insufficiente. Si tratta di una questione sociale globale che è necessario individuare e che richiede una risposta, come è avvenuto nell’Ottocento e nel Novecento negli Stati nazionali d’Europa e, a livello internazionale, con la pionieristica Dichiarazione di Filadelfia del 1944. Tutto questo richiederà politiche di regolamentazione, solidarietà e cooperazione.

2.4.2

Il secondo aspetto da considerare è che la concorrenza geopolitica sta di nuovo assumendo un peso maggiore, e non solo nei paesi del vicinato europeo. La nostra ubicazione geografica ci condiziona. I conflitti in Ucraina, Siria, Iraq, Libia e nel Sahel, per esempio, ci toccano direttamente sotto l’aspetto commerciale, del terrorismo jihadista, dell’approvvigionamento energetico o dei movimenti di profughi o immigrati. Tutto ciò ha un impatto sul modello strategico europeo, basato sulla cooperazione e sulla condizionalità positiva.

2.4.3

È ancora valido quanto si afferma nella strategia attualmente in vigore, vale a dire che «la miglior protezione della nostra sicurezza è un mondo di stati democratici ben amministrati». La strategia ha tuttavia messo in risalto una seria di lacune: 1) questa concezione in genere non ha dato i risultati sperati, se si escludono taluni casi, soprattutto legati a processi di adesione all’UE; 2) esistono altre narrazioni, a partire da letture specifiche ispirate dalla religione, come avviene per l’autonominatosi Stato islamico, o da un certo nazionalismo autoritario, come nel caso di Russia, Cina (grandi potenze che hanno un influsso diretto sul vicinato allargato dell’UE), in cui la concezione geopolitica si basa sulle zone d’influenza; 3) spesso non si è tenuto conto delle differenze tra i paesi con cui l’UE ha cercato di istituire partenariati; 4) spesso si è registrata un’incoerenza tra il discorso dell’UE e le politiche pratiche attuate; 5) non si è tenuto sufficientemente conto del fatto che la democrazia e lo Stato di diritto non si impongono dall’esterno, ma devono germogliare dall’interno.

2.5

Mentre difende i suoi principi e valori universali, l’Unione europea è chiamata ad adeguare la propria strategia in modo da poterli promuovere in modo più efficace attraverso quello che il SEAE ha chiamato «idealismo pragmatico».

3.   La politica estera comincia dentro i nostri confini

3.1

Tutti sono d’accordo sul fatto che la politica estera sia un’estensione della politica interna. È per tale motivo che, per essere efficaci, devono rispettare gli stessi obiettivi, essere integrate, coordinate e non dispersive nei loro aspetti centrali e comuni. Secondo il CESE i due pilastri principali di una strategia completa per la politica estera dell’UE si costruiscono al suo interno.

3.1.1

Il primo di tali pilastri è l’elemento fondamentale che rende attraente l’UE agli occhi del mondo: il suo modello di vita, basato sulla libertà, i Diritti Umani e la coesione sociale di tutta la sua popolazione. Non sembra realistico pensare a una politica estera e di sicurezza più strutturata, comune ed efficace dell’UE senza invertire la tendenza all’aumento delle disuguaglianze economiche e sociali tra i suoi membri e all’indebolimento del suo modello sociale, senza contrastare i sintomi di mancanza di solidarietà e di sfiducia, il ripiegarsi negli spazi nazionali, i problemi che si incontrano per prendere le decisioni comuni, il crescente distacco dei cittadini e il successo dei movimenti populisti, xenofobici ed eurofobici. È indispensabile potenziare l’integrazione europea, probabilmente mediante il ricorso alle cooperazioni rafforzate previste dai Trattati, avendo per obiettivo la sovranità in un mondo globalizzato, per prendere decisioni in grado di rilanciare l’entusiasmo per il progetto europeo e per un contratto sociale rinnovato, nonché per stabilire un’equivalenza tra processo decisionale e democrazia.

3.1.2

Il secondo pilastro fa riferimento a una maggiore integrazione europea e all’adozione di politiche e strumenti di azione comuni, per esempio nel campo dei flussi migratori, dell’approvvigionamento energetico, dei cambiamenti climatici, del terrorismo internazionale, della sicurezza alimentare, della politica commerciale, della lotta alla criminalità organizzata, di un efficace programma europeo di investimenti e della creazione di posti di lavoro, di una dimensione sociale europea o del completamento del mercato interno. I cittadini europei volteranno le spalle all’attuale sentimento di disaffezione, si sentiranno europei e si coinvolgeranno nel progetto dell’UE solo se quest’ultima cambierà rotta e riprenderà il suo ruolo di promozione della libertà, della sicurezza e della prosperità e di difesa dell’uguaglianza, in Europa e nel mondo.

3.2

Secondo il CESE, il completamento del mercato unico europeo, che comprende la politica industriale, il sistema finanziario, la politica delle telecomunicazioni e dei trasporti, le tecnologie digitali e le industrie di difesa, è una priorità per l’UE. Allo stesso modo, la politica estera dovrebbe affrontare un numero crescente di preoccupazioni connesse ad altre politiche dell’UE, tra cui la politica sociale, ambientale, energetica, digitale, dei trasporti, economica e industriale. Occorre inoltre definire una visione a lungo termine per l’UE in cui la politica economica estera sia un pilastro centrale nella promozione del commercio e degli investimenti. Infine, è estremamente urgente disporre di una politica energetica comune e anche di una politica comune in materia di migrazione e asilo.

3.3

Dinanzi al nuovo scenario geostrategico mondiale, l’UE non può fare altro che sviluppare le proprie capacità nell’ambito della sicurezza e della difesa. Ciò richiede inevitabilmente una politica estera più integrata (i singoli Stati membri sono sempre meno importanti sul piano internazionale e quindi agire di concerto rappresenta un vantaggio per tutti) e comporta che si attribuisca più spazio alla politica europea di difesa. Tutto questo, partendo da una concezione della sicurezza e della difesa molto più ampia rispetto all’uso della forza ma anche sottolineando che la politica di difesa deve essere utilizzata in via preventiva, che ha una sua funzione dissuasiva, ma che rappresenta una risorsa cui ricorrere in ultima istanza, quando gli interessi vitali e la responsabilità di proteggere non possono essere garantiti in altro modo. Tutto questo richiede maggiori risorse e una loro migliore utilizzazione. Nonostante la presenza di 28 strutture militari diverse, l’UE spende il 40 % di quanto spendono gli Stati uniti in materia di difesa nazionale. A questo andrebbero aggiunti importanti doppioni e uno scarso sviluppo dell’industria della difesa. Ciò esige una maggiore dotazione finanziaria e strumenti comuni di programmazione e controllo. I governi e i cittadini dell’UE si devono rendere conto che sicurezza, prosperità e libertà sono inseparabili. Una maggiore indipendenza strategica dell’UE nel settore della difesa non deve tuttavia essere né incompatibile né in opposizione alle relazioni transatlantiche e deve comportare rapporti di cooperazione con le alleanze e con gli organismi di cui la maggior parte dei paesi dell’UE fa parte, in particolare la NATO, che continua ad essere il fondamento della sua difesa collettiva.

3.4

La politica europea di difesa dovrebbe concentrarsi su due ambiti fondamentali: 1) la geopolitica attuale impone che l’UE, come soggetto che fornisce sicurezza fuori delle sue frontiere, rivolga la sua attenzione al vicinato allargato, congiuntamente al sostegno ai diritti umani e al contributo allo sviluppo dei paesi vicini; 2) contribuire alla libertà di accesso ai beni pubblici mondiali e a un ordine internazionale basato su norme.

3.5

L’industria della difesa dell’UE deve svolgere un ruolo di rilievo nel raggiungimento di un’autonomia strategica per l’Unione europea. La sua competitività è un valore che va ben oltre l’interesse del settore privato. La frammentazione dell’industria della difesa deve essere superata: il successo di questo processo è strettamente legato all’applicazione di alcuni strumenti chiave, quali l’avvio di progetti di collaborazione, lo stanziamento di fondi adeguati per la prossima Azione preparatoria (3) e la creazione di un’apposita linea di bilancio nel prossimo quadro finanziario pluriennale.

3.6

L’idea che la stabilità del nostro «vicinato reale», vale a dire i paesi confinanti con l’UE e i paesi limitrofi a questi ultimi, sia indispensabile per la nostra propria stabilità si applica perfettamente alla minaccia terrorista proveniente dal sedicente Stato islamico (IS). Questo significa, per esempio, che una soluzione politica alla guerra in Siria è una responsabilità che riguarda direttamente l’UE, in quanto implica la necessità di agire su una delle cause del problema. Questo comporta altresì l’esigenza di migliorare le funzioni di coordinamento in materia di antiterrorismo e di intelligence. Intensificare lo scambio d’informazioni tra gli Stati membri dovrebbe essere una misura assolutamente imprescindibile, e ciò comprende anche la creazione di un servizio europeo di intelligence. È inoltre necessario definire una strategia globale antiterrorista che analizzi le cause del fenomeno, evitando uno scontro tra confessioni religiose e promuovendo invece la cooperazione tra comunità caratterizzate da fedi diverse nella lotta contro il fanatismo terrorista. È particolarmente importante sostenere il mondo arabo-islamico (la prima vittima degli attacchi del cosiddetto Stato islamico) affinché reagisca a questo fenomeno che lo minaccia al suo interno. Allo stesso modo, una strategia europea contro il terrorismo dovrebbe prevedere azioni concernenti la vendita e il traffico di armi, o ancora le fonti di finanziamento. Le relazioni tra la nostra società civile e quella del vicinato allargato possono svolgere un ruolo positivo in tal senso.

3.7

Sarebbe opportuno rendere l’azione esterna più flessibile. Un maggior grado di flessibilità non deve portare a una frammentazione, ma deve essere conseguito avvalendosi pienamente degli strumenti previsti dal TUE e dal TFUE. È dunque opportuno accrescere l’astensione costruttiva degli Stati membri all’interno del Consiglio nei settori della PESC e della PSDC. In tale contesto, per quanto concerne il rafforzamento della sicurezza internazionale, il CESE desidera fare nuovamente riferimento alla necessità di salvaguardare determinati valori di politica estera, in particolare il rispetto della Carta delle Nazioni Unite. Tuttavia, quando nel quadro degli strumenti esistenti, non si possa trovare una soluzione soddisfacente, si dovranno istituire gruppi ad hoc, in cui sia presente l’alto rappresentante o, in sua assenza, altri organi delle istituzioni europee, affinché il principio dell’unanimità non paralizzi le possibilità dell’Unione nell’ambito della politica estera. La rete della diplomazia verde (RDV), inizialmente creata per promuovere l’integrazione degli obiettivi ambientali nelle relazioni esterne dell’UE e che ha svolto un ruolo importante nel mobilitare e coordinare le azioni diplomatiche dell’UE in preparazione della COP21, può fungere da modello per altre reti.

3.8

L’UE non dovrebbe aspettare la prossima crisi per dotarsi di maggiori risorse nell’ambito della politica estera. Le risorse devono essere adeguate agli obiettivi e non presentare variazioni sostanziali a seconda delle circostanze. Grazie ad un’adeguata programmazione si dovrebbero individuare i settori in cui l’Unione non dispone di mezzi sufficienti. In tal modo si eviterebbe l’azione di tipo reattivo che, di fronte a diverse crisi, ha caratterizzato l’azione dell’UE negli ultimi anni. È necessario aumentare il bilancio dell’UE per l’azione esterna, in particolare per quanto attiene al settore umanitario, alle migrazioni, allo sviluppo, alla istruzione, alla lotta contro il terrorismo, alla diplomazia e al rafforzamento della società civile organizzata.

4.   Ripensare il ruolo dell’UE sulla scena mondiale

4.1

Il CESE ritiene che la nuova strategia implichi la necessità di riesaminare l’analisi del contesto internazionale effettuata dall’UE e il ruolo che essa intende svolgervi in futuro. È essenziale trovare nuove narrazioni, basate sul coinvolgimento attivo nell’uguaglianza tra i cittadini in termini di sicurezza, libertà e prosperità, ed è importante sottolineare i punti di forza dell’UE. Tra questi figurano il fatto di essere il più grande mercato unico al mondo, una politica commerciale attiva, la politica in materia di cooperazione e di aiuti umanitari con maggiore disponibilità di risorse al mondo, un modello di convivenza basato sul rispetto dello Stato di diritto e dei principi democratici, un modello sociale fondato sulla coesione economica e sociale, la protezione di un modello di sviluppo sostenibile basato sulla lotta contro le disuguaglianze e la protezione dell’ambiente, compresi obiettivi ambiziosi in materia di politica climatica.

4.2

La mancanza di coesione interna e di volontà politica ha tradizionalmente limitato la funzione dell’UE nel mondo. L’Unione europea non ha l’ambizione di essere una superpotenza ma desidera proiettare la sua influenza in modo più efficiente. Deve pertanto concentrarsi sugli ambiti in cui il suo intervento apporta un valore aggiunto e dove può avere un impatto maggiore, in particolare nelle regioni limitrofe e nel quadro di istituzioni internazionali, come ad esempio le Nazioni Unite, l’FMI, la Banca mondiale o il G20, dove il coordinamento tra gli Stati membri è carente, cosa che limita la sua capacità d’influenza. A questo proposito, il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, formulata nell’ottobre 2015, relativa a una rappresentanza unificata della zona euro in seno all’FMI e in altri organismi internazionali.

4.3

L’UE deve portare avanti la sua tradizionale diplomazia preventiva e multilaterale ed aspirare a diventare una potenza normativa e costruttiva. La difesa di un ordine globale aperto e basato sulle regole costituisce un lineamento essenziale dell’identità europea a livello internazionale. In quanto importante potenza commerciale, l’UE beneficia di un mondo interconnesso sia nel settore dell’energia, sia in quello finanziario, del ciberspazio o delle rotte marittime (circa il 90 % del commercio estero dell’UE si effettua via mare). La sicurezza nucleare e la sicurezza energetica devono infine restare al centro dell’attenzione.

4.4

L’Unione deve inoltre proseguire la cooperazione con i vari processi di integrazione regionale come l’ECOWAS, l’ASEAN o il Mercosur.

4.5

L’UE deve rafforzare una governance democratica e inclusiva, promuovendo la partecipazione delle economie emergenti alle istituzioni multilaterali al fine di allentare le tensioni in modo pacifico e scoraggiare la creazione di meccanismi di governance alternativi oppure ostili a quelli esistenti.

4.6

L’UE deve mantenere i propri valori e principi, l’universalità e l’indivisibilità dei diritti umani, la lotta contro la pena di morte e la violenza contro le donne e le bambine, la tutela dei diritti delle persone con identità sessuali diverse (LGBTI). L’Unione deve così fondare la propria politica estera e di sicurezza sul modello sociale che la caratterizza e che è alla base della sua sicurezza, della sua libertà e della sua prosperità.

5.   Un maggior coinvolgimento in un vicinato allargato

5.1

L’elaborazione in corso della Strategia Globale dovrebbe rispecchiare in modo chiaro l’importanza del vicinato orientale e di quello meridionale dell’Europa per la sicurezza e la prosperità dell’Europa stessa e dovrebbe consentire all’UE di avere un maggiore impatto e una maggiore influenza sugli sviluppi decisivi in queste aree, reagendo ai flussi di migranti e di profughi e regolandoli. E due dimensioni trasversali dovrebbero caratterizzare dette priorità: lo sviluppo sostenibile e il potenziamento delle organizzazioni della società civile (4)  (5).

5.2

Il vicinato allargato o strategico (dal Sahel fino al Golfo e dall’Asia centrale fino all’Artico) è l’area più importante non soltanto per l’azione esterna europea, ma anche per la dimensione interna degli Stati membri. Questo spazio è in preda attualmente a una profonda disgregazione sociale e istituzionale causata da molteplici fattori quali conflitti armati, movimenti di popolazione forzati, terrorismo internazionale, collasso delle strutture statali, corruzione, criminalità organizzata, regressioni verso forme di governo autoritarie come nel caso della Turchia o l’atteggiamento assertivo di potenze come la Russia nonché le aggressioni militari o ibride. Questo comporta importanti sfide strutturali a lungo termine e un forte impatto sull’Unione.

5.3

Di fronte a questa realtà scoraggiante, l’UE deve assumersi una maggiore responsabilità per migliorare la situazione economica, sociale e di sicurezza del suo vicinato. L’UE non deve rinunciare alla difesa della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti umani e sociali fondamentali (tra cui la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva) nel suo vicinato, ragion per cui è fondamentale sostenere la società civile locale, incluse le parti sociali, e salvaguardarne l’indipendenza.

5.4

Il CESE accoglie con favore la revisione della politica europea di vicinato e il fatto che sia stato riconosciuto il collegamento tra l’instabilità, la povertà, la disuguaglianza e la mancanza di opportunità, elementi che possono rendere i cittadini più vulnerabili alla radicalizzazione. A questo proposito l’azione esterna può creare sinergie quando si tratta di unire sicurezza, sviluppo e commercio. Per raggiungere tale obiettivo è fondamentale mettere fine alle violazioni del diritto di associazione e di libera organizzazione dei datori di lavoro, dei lavoratori o di organizzazioni del terzo settore. È importante anche potenziare gli strumenti di allarme rapido per scongiurare possibili crisi future.

5.5

Il CESE chiede di mantenere un approccio rigoroso, ma non restrittivo, all’ampliamento e alla liberalizzazione dei visti, subordinandoli sempre all’attuazione di riforme che possano essere monitorate.

5.6

Strettamente collegato al vicinato UE è il continente africano, che, secondo il CESE, dovrebbe essere la seconda area geografica prioritaria della politica estera dell’UE. Non solo perché da lì provengono gran parte delle sfide, ma anche per le possibilità di alleanze che possono contribuire allo sviluppo economico e alla governance globale (6). L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici offrono chiare opportunità di instaurare e sviluppare partenariati con l’Africa.

5.7

In termini geopolitici, la stabilità del nostro vicinato allargato implica anche l’esigenza di occuparsi delle grandi potenze che più incidono su tale vicinato, in particolare la Russia e la Cina. Il rinnovato atteggiamento assertivo russo e la politica cinese «One Belt, One Road» (OBOR - investimenti massicci nelle infrastrutture di connettività) rendono più che mai necessario che l’UE agisca con una sola voce, e non con 28 voci diverse, nei confronti di questi due potenze.

5.8

In relazione alla crisi dei profughi, il CESE ritiene essenziale che l’UE si doti di una politica comune in materia di asilo e accoglienza attuata da un’istituzione europea; ciò garantirebbe che gli Stati membri facessero fronte alle loro responsabilità in maniera congiunta proporzionale e solidale. Il rafforzamento dei canali della migrazione regolare è, a sua volta, di vitale importanza sia per rispondere alle richieste di occupazione e di accoglienza, sia per soddisfare il bisogno di migranti dell’UE causato dal declino demografico dell’Europa, sia infine per prevenire la tratta di esseri umani. È inoltre indispensabile assicurare il rispetto del diritto internazionale e dell’UE, dare una risposta europea alla crisi umanitaria che colpisce le persone che già si trovano sul territorio dell’Unione, aumentare le risorse destinate alla protezione delle frontiere comuni e alle operazioni di soccorso e di salvataggio in mare, nonché creare una Guardia di frontiera e costiera europea come proposto dalla Commissione europea.

6.   Promuovere la politica di sviluppo dell’UE

6.1

L’Unione europea dovrebbe allineare le politiche interne ed esterne agli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Nell’ambito della propria politica di sviluppo, l’UE deve fare particolare riferimento al programma d’azione di Addis Abeba. L’accordo sul clima siglato a Parigi ha dimostrato che il mondo si sta orientando in modo inesorabile verso un’economia verde, processo in cui l’UE svolge un ruolo di avanguardia.

6.2

Il CESE accoglie con favore le azioni volte a riorientare gli aiuti pubblici allo sviluppo (APS) ai paesi meno sviluppati (PMS), il finanziamento del «New Deal per gli Stati fragili», la valutazione strategica degli aiuti per l’uguaglianza di genere, l’aumento della dotazione per la tutela della biodiversità e gli impegni della BEI nella lotta contro i cambiamenti climatici nonché il sostegno finanziario ai paesi in via di sviluppo promesso nell’accordo di Parigi, pari a circa 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020.

6.3

La dimensione economica della politica estera e di sicurezza comune dell’UE deve essere rafforzata e non limitarsi al solo ambito commerciale. È inoltre necessario sostenere la formazione, l’innovazione e l’imprenditorialità in quanto la stabilizzazione dei paesi nostri vicini passa attraverso il loro sviluppo economico e sociale. Paesi come la Tunisia, il Libano o la Giordania, tra gli altri, dovrebbero beneficiare di un piano di sviluppo che permetta di rafforzare le loro economie. Assistere i paesi terzi nella loro transizione verso economie a basso tenore di carbonio, anche grazie a un trasferimento di tecnologie e a una cooperazione efficienti, comporta opportunità reciproche.

6.4

Il CESE ravvisa nei cambiamenti climatici uno dei fattori che contribuiscono alla migrazione causata dalla fragilità degli Stati, dall’insicurezza e dalla scarsità di risorse. L’UE deve sostenere i paesi in via di sviluppo, in particolare i più vulnerabili, e aiutarli a passare direttamente ad un’economia a basse emissioni di carbonio e ad accrescere la loro resilienza ai cambiamenti climatici.

6.5

Il CESE sottolinea che nonostante i vincoli di bilancio esistenti attualmente in molti Stati membri, l’obiettivo di destinare almeno lo 0,7 % del reddito nazionale lordo (RNL) agli aiuti pubblici allo sviluppo dovrebbe essere considerato una priorità. È inoltre necessario rafforzare la coerenza delle politiche per lo sviluppo (CPS) e promuovere il coordinamento tra gli Stati membri e le istituzioni dell’UE (7).

6.6

Quando si tratta di finanziare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), è di vitale importanza coinvolgere tutti i soggetti, compresi la società civile e gli enti di finanziamento allo sviluppo e, inoltre, includere maggiormente le parti sociali nella gestione dei progetti (8).

6.7

A giudizio del CESE, vanno introdotte modifiche al sistema di concessione dei fondi europei per lo sviluppo, al fine di renderli più agili, versatili e adeguati alle circostanze specifiche. In tale contesto, sarebbe necessario introdurre, fra l’altro, modalità come gli accordi quadro, le sovvenzioni di funzionamento, le sovvenzioni a cascata, le convenzioni pluriennali, i fondi per casi urgenti o l’attuazione della «cassetta degli attrezzi» (tool box) prodotta dal dialogo strutturato (9).

7.   Il nuovo contesto degli scambi commerciali e degli investimenti

7.1

Il CESE sostiene il libero scambio, uno dei pilastri dell’Unione europea. Al contempo, sottolinea la necessità di tener conto delle asimmetrie delle parti negoziali e di rispettare i diritti fondamentali dei lavoratori e le norme ambientali. Continua inoltre a sostenere l’approccio multilaterale dell’OMC alla regolamentazione commerciale. La partecipazione, a carattere consultivo ed effettiva, delle organizzazioni più rappresentative della società civile organizzata nell’ambito degli accordi deve essere, secondo il Comitato, seriamente ripensata (10).

7.2

I mega-accordi, come il TTP, il CETA, il TTIP, gli accordi di libero scambio con il Giappone e con l’India o l’RCEP (Partenariato economico globale regionale - Regional Comprehensive Economic Partnership) stanno acquisendo, al di là degli aspetti prettamente commerciali, un’innegabile dimensione geopolitica e suscitano un crescente interesse da parte della società civile, nella misura in cui concernono regole e norme con un impatto significativo sul suo modo di vita. Questo è particolarmente importante per le conseguenze che i meccanismi di risoluzione delle controversie tra investitori e Stati e i comitati di cooperazione legislativa hanno sul processo decisionale democratico.

7.3

La sfida per l’UE in questo settore è rappresentata non solo dal dover offrire prospettive economiche e geostrategiche, ma anche dal garantire le norme e gli standard europei, i servizi pubblici e la salvaguardia dei settori chiave della regolamentazione politica come le norme sanitarie, le norme sul lavoro e sulla protezione dell’ambiente (11). Il CESE e anche la società civile difendono l’idea che la tutela degli investitori debba essere assicurata dai tribunali ordinari o, in alternativa, da una corte internazionale indipendente creata dall’ONU. Il CESE è anche favorevole alla partecipazione effettiva della società civile organizzata agli accordi, accompagnata da una politica di trasparenza delle informazioni, in tempo reale, sia durante i negoziati sia per quanto concerne le decisioni che incidono sulla società civile (12).

8.   Il rafforzamento della società civile come elemento fondamentale della politica estera e di sicurezza dell’UE

8.1

A parere del CESE, la società civile organizzata è uno degli elementi costitutivi della democrazia. Una società civile libera che gode di diritti, con parti sociali forti, con una partecipazione effettiva alle decisioni e un riconoscimento a livello istituzionale è essenziale per assicurare e consolidare la democrazia, evitare derive autoritarie, favorire lo sviluppo economico e la costruzione della pace, promuovere la coesione sociale, lottare per l’uguaglianza nei suoi diversi aspetti, promuovere e rendere possibile un modello di sviluppo sostenibile e arricchire le istituzioni democratiche. Essa è anche la chiave per rafforzare i legami con le società civili di altri paesi e di altre regioni del mondo, attraverso un’azione parallela alla diplomazia che risulta essenziale per mettere in comune storie, culture, convinzioni e obiettivi globali.

8.2

Il CESE propone pertanto d’introdurre espressamente questo elemento tra gli obiettivi prioritari della PESC. Ai fini di tale rafforzamento possono essere utilizzati diversi strumenti, come: i fondi per la cooperazione e lo sviluppo dei Diritti Umani; l’azione e le richieste diplomatiche; la partecipazione reale e concreta della società civile, che deve essere consultata e non semplicemente «ascoltata», agli accordi commerciali o di associazione, di cui deve essere parte integrante con responsabilità su tutte le materie oggetto di negoziato; il potenziamento della politica volta a far sì che le imprese europee presenti in altri paesi o regioni rispettino le convenzioni fondamentali dell’OIL e portino avanti le politiche di responsabilità sociale delle imprese sostenute dall’UE.

8.3

A tal fine, il CESE ritiene che la PESC debba coinvolgere la società civile organizzata europea nella definizione e nell’attuazione dei suoi obiettivi e delle sue priorità. Il CESE sottolinea che il ruolo della società civile potrebbe essere migliorato:

rafforzando la società civile nei paesi del vicinato, con l’intento di sostenere i processi di stabilizzazione e di democratizzazione;

migliorando l’individuazione di controparti sulla base di criteri compatibili con il modello sociale europeo, più precisamente riconoscendo le parti sociali su un piede di parità;

promuovendo organismi di partecipazione della società civile, come i CES;

rimediando alla carenza di dialogo civile e sociale nei paesi della PEV;

sostenendo lo sviluppo delle organizzazioni settoriali di ambito regionale come quelle già esistenti in settori quali l’economia sociale, le organizzazioni imprenditoriali e i sindacati, le organizzazioni professionali agricole, promuovendo l’imprenditoria femminile, i Diritti Umani ecc.

sottoponendo l’azione esterna dell’UE ad un maggiore controllo e monitoraggio da parte della società civile europea;

rendendo effettiva la partecipazione della società civile agli accordi commerciali, di associazione e di partenariato;

sostenendo la creazione di un contesto favorevole alla partecipazione alle politiche di sviluppo dell’UE da parte delle organizzazioni della società civile di paesi terzi;

coinvolgendo la società civile nella politica in materia di asilo e di accoglienza e nella lotta contro le resistenze xenofobiche;

articolando la partecipazione dei diversi soggetti della società civile (imprenditori, sindacati, organizzazioni socioeconomiche del terzo settore e ONG) in modo più strutturato e meno assembleare.

9.   Il ruolo del CESE

9.1

Si ritiene che il CESE, in quanto organo consultivo delle istituzioni europee e rappresentante di tutte le principali organizzazioni della società civile negli Stati membri dell’UE, si trovi nella posizione migliore per essere una controparte essenziale del SEAE e della Commissione europea riguardo al rafforzamento e all’ulteriore sviluppo di una politica estera e di sicurezza comune europea efficace. Questa affermazione è suffragata dalla sua composizione tripartita, dalla sua visione globale, dalla sua vasta esperienza e dalle sue relazioni con le società civili di altre parti del mondo, basate principalmente su mandati ottenuti in ottemperanza ad accordi internazionali di diverso tipo firmati dall’UE: accordi di associazione, partenariati strategici, accordi di libero scambio e accordi con paesi candidati all’adesione (13).

9.1.1

Si propone di organizzare ogni anno nella sede del CESE, alla presenza dell’alto rappresentante, un’audizione sulla politica estera e di sicurezza, con la partecipazione delle principali organizzazioni europee della società civile.

9.2

Il CESE ritiene che sarebbe molto utile creare una relazione strategica con il SEAE, basata sulla convinzione, condivisa da entrambe le parti, dell’importanza della società civile nella politica estera dell’UE, in particolare per quanto concerne la realizzazione di obiettivi prioritari specifici. A tal fine, il CESE propone di esaminare insieme al SEAE tali priorità e di definire le modalità per ufficializzare la cooperazione tra i due organi.

9.3

Il CESE può aiutare il SEAE a valutare l’attuale partecipazione della società civile nell’ambito della politica estera europea.

9.4

Nel settore della politica estera e di sicurezza comune, il CESE intensificherà la sua cooperazione con organizzazioni delle Nazioni Unite come l’OIL o la FAO.

Bruxelles, 28 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. parere del CESE sul tema La dimensione esterna della strategia di Lisbona rinnovata (GU C 128 del 18.5.2010, pag. 41).

(2)  Cfr. parere del CESE sul tema La nuova politica estera e di sicurezza dell’UE e il ruolo della società civile (GU C 24 del 28.1.2012, pag. 56).

(3)  La Commissione europea, in collaborazione con l’Agenzia europea per la difesa prepara un’azione preparatoria per la ricerca in materia di PESC nel periodo 2017-2019.

(4)  REX/458 — Parere del CESE sul tema Riesame della politica europea di vicinato, adottato il 25 maggio 2016 (non ancora pubblicato sulla GU).

(5)  Cfr. parere del CESE sul tema La strategia di allargamento dell’UE (GU C 133 del 14.4.2016, pag. 31).

(6)  REX/455 — Parere del CESE sul tema Il futuro delle relazioni dell’UE con il gruppo degli Stati ACP, adottato il 25 maggio 2016 (non ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale).

(7)  Cfr. parere del CESE sul tema La politica di sviluppo dell’Unione europea — Il consenso europeo (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 79).

(8)  Cfr. parere del CESE sul tema Finanziamento dello sviluppo — la posizione della società civile (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 49).

(9)  Cfr. parere del CESE sul tema Partecipazione della società civile alle politiche di sviluppo dell’UE (GU C 181 del 21.6.2012, pag. 28).

(10)  Lettera del presidente Malosse al commissario Malmström del 18 giugno 2015 in cui trasmette la valutazione e le raccomandazioni riguardanti i gruppi consultivi degli accordi di associazione.

(11)  Parere del CESE sul tema Commercio per tutti. Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile. (Cfr. pag. 123 della Gazzetta ufficiale).

(12)  Cfr. parere del CESE sul tema Tutela degli investitori e risoluzione delle controversie investitore-Stato negli accordi commerciali e di investimento dell’UE con i paesi terzi (GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 45).

(13)  Il CESE dispone attualmente di 23 strutture internazionali per il monitoraggio delle questioni internazionali.


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/11


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Più equità nella mobilità dei lavoratori all’interno dell’UE»

(parere esplorativo)

(2016/C 264/02)

Relatrice:

Laura GONZÁLEZ DE TXABARRI ETXANIZ

Correlatrice:

Dorthe ANDERSEN

Con lettera del 16 dicembre 2015, il ministero neerlandese degli Affari sociali e del lavoro, a nome della presidenza neerlandese del Consiglio e conformemente all’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Più equità nella mobilità dei lavoratori all’interno dell’UE

(parere esplorativo)

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile 2016), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 232 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE ritiene che nell’attuale contesto politico sia la Commissione che gli Stati membri debbano compiere uno sforzo particolare per garantire e promuovere la libera circolazione dei lavoratori nell’UE, abolendo ogni discriminazione basata sulla nazionalità, evitando restrizioni ingiustificate sia per i lavoratori che per le imprese, nella misura in cui si tratta di una libertà fondamentale sancita dal TFUE e uno dei risultati più apprezzati del processo di costruzione europea. Il CESE sostiene le iniziative in grado di incoraggiare e promuovere la mobilità dei lavoratori all’interno dell’UE, espresse dall’obiettivo della presidenza neerlandese e della Commissione di promuovere la mobilità.

1.2

La mobilità dei lavoratori, quando si esplica sulla base di condizioni eque ed è la risposta a un’opzione positiva, può essere arricchente e vantaggiosa per i lavoratori, i datori di lavoro e la società nel suo insieme. Tale mobilità è una pietra angolare del mercato interno e può contribuire a creare opportunità occupazionali e prosperità per i cittadini e le imprese europei. Essa può rappresentare un importante elemento per il raggiungimento degli obiettivi di occupazione e crescita economica nell’UE, aiutando a garantire l’equilibrio tra i diversi livelli di occupazione negli Stati membri, facendo affluire lavoratori e talento dove sono necessari; può permettere una migliore allocazione delle risorse umane e promuovere inoltre il trasferimento di conoscenze, l’innovazione e lo sviluppo di competenze, cosa importante in un mondo di cambiamenti tecnologici. Allo stesso tempo può contribuire ad attenuare le conseguenze dell’invecchiamento della manodopera nel paese di destinazione.

1.3

La mobilità dei lavoratori può anche portare, in alcuni casi e in alcuni settori, alla cosiddetta «fuga di cervelli», fenomeno per cui in particolare i giovani di certi paesi con alti tassi di disoccupazione si spostano in cerca di un’occupazione o di migliori opportunità di lavoro. Allo stesso tempo, il valore positivo della libera circolazione del lavoro non deve essere indebolito o messo in discussione da timori, privi di fondamento, di ogni sorta di abusi.

1.4

Al fine di evitare situazioni di questo tipo, il CESE esorta la Commissione e gli Stati membri a promuovere politiche economiche volte a migliorare la crescita e la produttività e a creare posti di lavoro di qualità in tutti gli Stati membri per migliorare le condizioni di vita di tutti i cittadini europei.

1.5

Una mobilità equa richiede che, conformemente all’acquis europeo, sia garantito il rispetto dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione a causa della nazionalità per tutti i lavoratori mobili europei che esercitino il diritto alla libera circolazione, i quali sono soggetti alle condizioni di lavoro e alle norme salariali dello Stato di accoglienza, nel pieno rispetto dei sistemi nazionali di contrattazione collettiva e di relazioni industriali.

1.6

Il CESE incoraggia la Commissione ad affrontare, in consultazione con le parti sociali, tutte le questioni necessarie riguardanti i lavoratori distaccati in modo da lottare contro pratiche sleali che portano al dumping sociale. Analogamente, qualsiasi nuova misura a livello europeo deve rispettare le competenze nazionali in materia di contrattazione collettiva e i diversi sistemi di relazioni industriali.

1.7

Per quanto concerne i lavoratori frontalieri, il CESE ritiene che sia necessario monitorare la situazione e raccogliere dati a livello di UE, allo scopo di rimuovere possibili ostacoli e garantire una mobilità libera ed equa di tali lavoratori.

1.8

Il CESE si rivolge alla Commissione perché, in linea con la sua volontà proclamata di mettere fine al dumping sociale e agli abusi, non consenta che altre iniziative concernenti il mercato interno (tra cui il previsto passaporto di servizio) finiscano per permetterli.

1.9

I servizi di ispettorato del lavoro sono chiamati a svolgere un ruolo fondamentale nell’assicurare una mobilità equa. A tal fine, il CESE invita gli Stati membri a formare adeguatamente e a dotare di personale sufficiente, nonché di competenze e risorse adeguate, i servizi d’ispettorato nazionali e le autorità di controllo del mercato del lavoro, sostenendo nel contempo il miglioramento degli strumenti transfrontalieri di ispezione del mercato del lavoro, compreso il miglioramento dell’applicazione transfrontaliera delle sanzioni.

1.10

Il CESE sostiene la semplificazione delle norme sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e la cooperazione tra gli Stati membri per la loro applicazione, e sottolinea la necessità che qualsiasi revisione del regolamento (CE) n. 883/2004 (1) rispetti in ogni caso il principio della parità di trattamento dei lavoratori mobili per evitare che essi perdano diritti già acquisiti o restino privi di diritti a causa del fatto di essersi trasferiti per lavoro in un altro Stato membro.

2.   Introduzione

2.1

Il parere in oggetto è stato richiesto dalla presidenza neerlandese, che elencando le sue priorità afferma che la mobilità dei lavoratori può dare slancio alla crescita economica e all’occupazione, ma che i suoi aspetti negativi vanno affrontati allo scopo di aumentare il sostegno dei cittadini alla libera circolazione dei lavoratori e dei servizi.

2.2

La libera circolazione dei lavoratori è una delle libertà fondamentali del mercato interno e costituisce uno dei pilastri dell’integrazione europea. È anche uno dei risultati più apprezzati dalla cittadinanza europea. Sorto sulla base della libertà di circolazione, il mercato interno ha contribuito a generare crescita economica, occupazione e opportunità per i cittadini, i lavoratori e le imprese. La mobilità dei lavoratori, esercitata in condizioni eque, può essere vantaggiosa per i lavoratori, le imprese e la società nel suo insieme, e pertanto deve essere agevolata, eliminando, per quanto possibile, gli ostacoli che la rendono difficoltosa. Non si dovrà accettare la concorrenza sleale o la discriminazione dei lavoratori nel mercato interno.

2.3

La mobilità dei lavoratori può anche condurre a una serie di problemi che devono essere affrontati al fine di ridurre i rischi che comportano e consentire a lavoratori e imprese di beneficiare appieno delle opportunità offerte dalla mobilità.

2.4

L’UE si sta adoperando per rendere più equa la mobilità dei lavoratori in Europa eliminando gli ostacoli che vi si frappongono. La Commissione europea aveva annunciato, nel suo programma di lavoro per il 2016, che avrebbe presentato proposte «a favore della mobilità dei lavoratori […] volte a combattere gli abusi grazie a una migliore applicazione della legislazione e al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale», e avrebbe proposto «una revisione mirata della direttiva sul distacco dei lavoratori (2) per lottare contro le pratiche sleali che danno origine al dumping sociale e alla fuga dei cervelli, garantendo una retribuzione uguale per lo stesso lavoro nello stesso luogo», nonché misure per promuovere la mobilità del lavoro nell’UE.

2.5

Il presente parere vuole affrontare i diversi aspetti della mobilità del lavoro in un contesto di mercati del lavoro che sono ancora caratterizzati da elevati tassi di disoccupazione e che stanno attraversando profonde trasformazioni, sullo sfondo della globalizzazione, dei cambiamenti sociali e dell’innovazione tecnologica.

2.6

Dopo decenni di scarsa mobilità intracomunitaria, l’allargamento dell’UE, insieme con l’aumento della disoccupazione e con la crisi iniziata nel 2008, ha condotto a un incremento della mobilità dei lavoratori. Nel 2014, si registravano circa 15 milioni di persone mobili nell’UE, rispetto a poco meno di 12 milioni nel 2006 (3). Nello stesso anno il numero di lavoratori mobili in età lavorativa che vivevano e lavoravano in un altro Stato membro era pari a 8,3 milioni di persone, vale a dire al 3,4 % dell’intera forza lavoro, oltre ai 1,6 milioni di persone che vivevano in un paese e lavoravano in un altro (lavoratori frontalieri) (4).

2.7

Oggi, tuttavia, la libera circolazione dei cittadini e dei lavoratori nell’UE è minacciata, e ciò a causa di diversi fattori. IL CESE esprime preoccupazione per questi sviluppi. Sia le restrizioni che alcuni Stati membri stanno imponendo allo spazio Schengen a seguito dell’afflusso di profughi (5), sia le deroghe alla parità di trattamento tra i lavoratori mobili all’interno dell’UE concesse al Regno Unito nella riunione del Consiglio europeo del 18 e 19 febbraio 2016 (6) potrebbero intaccare uno dei successi più apprezzati del processo di integrazione europea.

2.8

La libertà di circolazione dei lavoratori e l’abolizione di ogni discriminazione basata sulla nazionalità sono principi fondamentali sanciti nel TFUE, che devono essere garantiti e promossi. Parimenti, lo spazio Schengen costituisce un elemento centrale del processo di integrazione europea e del buon funzionamento dell’economia dell’UE. Per l’Unione e per i suoi Stati membri deve essere una priorità e una responsabilità garantire che le frontiere siano aperte e che i cittadini europei possano spostarsi, vivere e lavorare in condizioni di parità in qualsiasi paese dell’UE.

2.9

Date le ripercussioni sui lavoratori e le imprese in particolare, la Commissione deve consultare le parti sociali, sia a livello settoriale che intersettoriale, in merito alla necessità di qualsiasi iniziativa in questo campo e sui suoi possibili aspetti. Analogamente, qualsiasi nuova misura a livello europeo deve rispettare le competenze nazionali in materia di contrattazione collettiva e i diversi sistemi di relazioni industriali.

3.   Osservazioni generali

3.1

La libera circolazione dei lavoratori è disciplinata dagli articoli 3.2 del trattato sull’Unione europea e dagli articoli 4.2.a, 20, 26 e da 45 a 48 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Essa comporta l’eliminazione di qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro. Essa consente l’accesso a diritti di mobilità e di soggiorno e a diritti economici e sociali, la cui disciplina di base è dettata dalla direttiva 2004/38/CE sulla libertà di circolazione e di soggiorno nell’UE (7) e dalla direttiva 2014/54/UE relativa alle misure intese ad agevolare l’esercizio del diritto di lavorare in un altro Stato membro (8).

3.2

La libera circolazione dei lavoratori conferisce il diritto di circolare liberamente e prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un’attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali. Essa comprende pertanto la libertà di circolazione in sé e il diritto alla parità di trattamento in relazione, tra l’altro, al lavoro, ai servizi sociali, all’istruzione e alla formazione.

3.3

La mobilità dei lavoratori sulla base di condizioni eque, può essere vantaggiosa per i lavoratori, le imprese e la società nel suo insieme. Può costituire una grande opportunità di sviluppo personale, sociale ed economico dei cittadini e dei lavoratori e quindi deve essere facilitata.

3.4

La mobilità, inoltre, è un fattore cruciale di occupabilità e sviluppo di talenti e può essere un mezzo per affrontare il divario tra i livelli di occupazione dei vari Stati membri, potendo contribuire a compensare la carenza di manodopera laddove essa si verifica e a fare un uso migliore delle competenze dei lavoratori e delle lavoratrici. Offre maggiori opportunità occupazionali ai lavoratori e alle lavoratrici e un maggiore bacino di ricerca di talenti ai datori di lavoro. In tal senso, la mobilità può costituire un elemento importante nel conseguimento degli obiettivi di occupazione e di crescita economica della strategia Europa 2020.

3.5

La mobilità dei lavoratori può anche contribuire a promuovere il trasferimento di conoscenze, l’innovazione e lo sviluppo del capitale umano, che è fondamentale in un contesto di rapidi cambiamenti tecnologici e di globalizzazione. In condizioni appropriate, la mobilità equa dei lavoratori dovrebbe incoraggiare l’interazione tra cittadini europei e migliorare la conoscenza reciproca e l’accettazione e contribuire così a una società più tollerante e inclusiva.

3.6

Ma non si può ignorare che la mobilità del lavoro genera anche un certo numero di inconvenienti. I lavoratori europei che lavorano in un altro Stato membro sono a volte, e per ragioni diverse, più vulnerabili agli abusi e alla discriminazione in ambiti quali la sicurezza sociale, le condizioni di lavoro e le retribuzioni, l’accesso alle prestazioni sociali e all’istruzione, il trattamento fiscale ecc. Tutto ciò può anche generare una distorsione della concorrenza tra le imprese, specie in settori ad alta intensità di manodopera come la costruzione, che presenta un’alta concentrazione di imprese molto piccole. La mobilità può anche condurre alla separazione delle famiglie e a difficoltà di integrazione in un altro paese, conseguenza di barriere linguistiche e culturali ecc. Il CESE ha elaborato una serie di pareri sull’importanza di sostenere la mobilità all’interno dell’UE e di rimuovere questi ostacoli (9).

3.7

Il persistere di prospettive economiche negative, elevati tassi di disoccupazione e la mancanza di prospettive di lavoro in alcuni paesi dell’UE stanno portando alcuni lavoratori, in particolare i giovani, a cercare un lavoro o un miglioramento delle condizioni di retribuzione e di lavoro in altri paesi. Questo può avere un aspetto positivo, in quanto consente ai giovani di lavorare all’estero, facendo un’esperienza e sviluppando le loro competenze, invece di essere disoccupati nel loro paese di origine. Inoltre, una volta rientrati, l’esperienza acquisita sarà vantaggiosa per il loro paese. Ma allo stesso tempo può determinare un problema di una cosiddetta «fuga di cervelli» e un aggravamento delle conseguenze dell’invecchiamento della popolazione nei paesi d’origine.

3.8

Inoltre, un’elevata mobilità può far sorgere sfide considerevoli e generare tensioni nel mercato del lavoro dei paesi di destinazione, specie se la situazione economica non assicura un livello adeguato di crescita e di creazione di posti di lavoro che eviti l’aumento della disoccupazione.

3.9

Un prerequisito per massimizzare i vantaggi della mobilità dei lavoratori nel seno dell’UE, e al tempo stesso ridurne i rischi e permettere che sia i lavoratori che le imprese possano avvalersi appieno delle opportunità che tale mobilità offre, si trova nella promozione di una politica economica orientata a potenziare la crescita, la produttività e la creazione di posti di lavoro e che consenta di migliorare le condizioni di vita in tutti i paesi.

3.10

La percezione generale in alcuni paesi secondo cui la mobilità dei lavoratori può comportare concorrenza sociale e salariale, nonché la convinzione infondata che i lavoratori mobili abusino dei servizi pubblici e sociali, ossia pratichino il cosiddetto «turismo sociale», contribuiscono ad alimentare un sentimento di ostilità nei confronti della mobilità dei lavoratori. Di fronte a tale percezione, diversi studi giungono alla conclusione che non vi è alcuna prova che una delle spinte principali alla mobilità professionale sia il fatto che, in alcuni paesi, le prestazioni di assistenza sociale siano più elevate di quelle offerte nei paesi di origine dei migranti. Una conclusione, questa, suffragata dal minore ricorso a queste prestazioni da parte dei lavoratori mobili intra-UE rispetto ai cittadini dei paesi ospitanti. Quando i primi fanno un uso più intenso di talune prestazioni, ciò è dovuto a circostanze socio-economiche specifiche ai lavoratori mobili (10). Gli studi dimostrano che la relazione tra la mobilità e le prestazioni sociali è minima, mentre è ben più decisivo il tasso di disoccupazione o il livello salariale esistente nel paese (11).

4.   Osservazioni particolari

4.1    Più equità nella mobilità dei lavoratori all’interno dell’UE

Una mobilità dei lavoratori equa presuppone che si garantisca che i lavoratori mobili che esercitano il loro diritto alla libera circolazione conformemente all’acquis dell’UE siano trattati secondo i principi di parità di trattamento e non discriminazione. A tal fine è necessario che gli Stati membri garantiscano la piena applicazione della legislazione in vigore in materia di diritti sociali e di condizioni di lavoro e salariali ai lavoratori mobili onde evitare il rischio di dumping sociale e salariale, nonché di concorrenza sleale tra imprese. Ciò rappresenta anche un valore positivo per il mercato interno.

4.1.1

Analogamente, è necessario superare le barriere linguistiche, amministrative e istituzionali che continuano a ostacolare la mobilità del lavoro, adottando misure concrete come la fornitura di informazioni e consulenza ai lavoratori mobili, in collaborazione con la rete EURES e la Rete europea dei servizi pubblici per l’impiego, misure per migliorare le competenze linguistiche, il riconoscimento delle qualifiche professionali ecc. in linea con le proposte formulate dal CESE nei suoi precedenti pareri (12).

4.1.2

Una mobilità equa dei lavoratori deve inoltre essere accompagnata da misure volte a garantire la crescita e la creazione di posti di lavoro in tutti i paesi dell’Unione, al fine di evitare l’approfondimento delle disparità tra essi e di assicurare che tutti possano beneficiare della mobilità.

4.1.3

Solo a queste condizioni può essere garantita un’equa mobilità dei lavoratori, intesa come un’opzione positiva per i lavoratori e le lavoratrici, e non come una scelta obbligata.

4.2    Distacco dei lavoratori

4.2.1

I lavoratori distaccati sono soggetti a un regime giuridico differenziato nella misura in cui essi non stanno esercitando i loro diritti di libera circolazione, ma è invece il datore di lavoro a far uso della sua libertà di prestare servizi per inviare lavoratori all’estero su base temporanea. Tanto il datore di lavoro quanto il lavoratore beneficiano del fatto di non dover modificare il luogo di esecuzione del contratto di lavoro e possono mantenere i contributi previdenziali nel paese di origine.

4.2.2

Il regime giuridico di questi lavoratori distaccati è disciplinato dalla direttiva 96/71/CE (13), in combinato disposto con la direttiva 2014/67/UE (14), adottata nel maggio 2014, concernente l’applicazione della legislazione relativa al distacco dei lavoratori.

4.2.3

Benché non vi siano statistiche ufficiali sulle retribuzioni dei lavoratori distaccati, una relazione commissionata dalla Commissione europea (15) rileva che, nei settori dell’edilizia e dei trasporti, tali lavoratori percepiscono retribuzioni fino al 50 % più basse di quelle dei lavoratori locali. Tali differenze possono essere spiegate con la non corretta applicazione dei salari minimi e con altre ragioni, come la tendenza a inquadrare i lavoratori distaccati a un livello basso della scala convenzionale delle qualifiche. Differenze, sia pur di minore entità, si registrano anche in altri settori produttivi, variabili in funzione dei paesi. È degna di menzione l’eterogeneità delle fonti d’informazione: ispettorato del lavoro, relazioni dei sindacati e delle organizzazioni dei datori di lavoro, mezzi di comunicazione (16).

4.2.4

La Corte di giustizia dell’UE ha affrontato la questione della retribuzione applicabile ai lavoratori distaccati ed ha contribuito, con la sua giurisprudenza, a generare una controversia di notevoli proporzioni. Una situazione, questa, che ha indotto la Commissione a proporre la direttiva 2014/67/UE (17), intesa a migliorare la lotta contro le frodi e gli abusi nel distacco dei lavoratori; gli Stati membri hanno tempo fino al 18 giugno del 2016 per recepire tale direttiva. Il Comitato è già giunto alla conclusione che tale direttiva, benché comporti un passo in direzione del rafforzamento della dimensione sociale del mercato interno, non risponde pienamente a quanto da esso auspicato (18).

4.2.5

Nel quadro del pacchetto sulla mobilità dei lavoratori, la Commissione ha annunciato una «revisione mirata della direttiva sul distacco dei lavoratori per lottare contro le pratiche sleali che danno origine al dumping sociale e alla fuga dei cervelli, garantendo una retribuzione uguale per lo stesso lavoro nello stesso luogo» (19). L’8 marzo ha pubblicato la sua proposta legislativa di revisione della direttiva (20), in previsione della presentazione del pacchetto sulla mobilità dei lavoratori e prima della scadenza del termine per il recepimento della direttiva di applicazione. Il CESE affronterà tutte le questioni relative a tale pacchetto in un parere specifico sulla proposta della Commissione.

4.2.6

In ogni caso, il CESE prende nota con interesse dell’intenzione dichiarata dalla Commissione europea di voler porre fine al dumping sociale. Il CESE ribadisce quanto affermato nel suo parere SOC/460 in cui ha sottolineato «l’importanza di garantire la protezione dei lavoratori distaccati, rispettare i diversi modelli di mercato del lavoro applicati negli Stati membri e scoraggiare il dumping sociale e la concorrenza sleale». È importante assicurare anche in futuro un giusto equilibrio tra la necessità di promuovere la libera prestazione dei servizi e la necessità di tutelare i diritti dei lavoratori distaccati. E il CESE non mancherà di ritornare su questo punto.

4.2.7

Il CESE si rivolge alla Commissione perché, in linea con la sua volontà proclamata di mettere fine al dumping sociale e agli abusi, non consenta che altre iniziative concernenti il mercato interno (tra cui il previsto passaporto di servizio) finiscano per permetterli.

4.3    I lavoratori frontalieri

A norma del regolamento (CE) n. 883/04, i lavoratori transfrontalieri sono coperti dal sistema di sicurezza sociale del paese in cui lavorano. Tuttavia, in certi essi potrebbero essere soggetti a determinate forme di discriminazione a causa dell’applicazione inadeguata delle norme in vigore. È pertanto necessario monitorare la situazione e raccogliere dati a livello di UE, al fine di rimuovere eventuali ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori e garantire la corretta applicazione della legislazione dell’UE e di quella nazionale, sulla base del principio di non discriminazione e di parità di trattamento.

4.4    Ruolo dell’ispettorato del lavoro

4.4.1

Il CESE ritiene che l’ispettorato del lavoro nazionale possa svolgere un ruolo essenziale nella lotta contro le imprese fittizie, le retribuzioni al disotto di un certo livello e il lavoro non dichiarato, facendo rispettare e applicare i diritti dei lavoratori mobili e di quelli distaccati ed evitando gli abusi, permettendo anche di prevenire la distorsione della concorrenza tra imprese.

4.4.2

L’assenza di controlli che si registra in alcuni paesi, per mancanza di un’adeguata struttura di ispettori del lavoro o per mancanza di competenze e conoscenze adeguate o delle risorse necessarie, favorisce gli abusi. Gli ispettorati del lavoro e le altre autorità di controllo del mercato del lavoro gli organismi competenti possono operare efficacemente solo se dispongono delle risorse finanziarie e umane sufficienti, nonché di personale dotato di una formazione adeguata. In tal senso è necessario che vi siano norme di ambito europeo, volte tra l’altro anche a migliorare l’applicazione transfrontaliera delle sanzioni, nonché un sostegno per gli Stati membri che abbiano difficoltà a creare le suddette infrastrutture.

4.4.3

In combinazione con queste misure, il miglioramento di strumenti europei di ispezione transfrontaliera, in linea con quanto proposto dalla risoluzione del Parlamento europeo del 14 gennaio 2014 (21), contribuirebbe a individuare e combattere i casi di dumping sociale, in particolare tramite l’individuazione delle società di comodo.

4.4.4

Tale organismo si integrerebbe perfettamente con la Piattaforma europea per la lotta contro il lavoro sommerso istituita di recente.

4.5    La portabilità dei diritti sociali e la tutela dei lavoratori mobili

4.5.1

Il CESE sostiene la semplificazione delle norme sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e la cooperazione tra gli Stati membri per la loro applicazione, e sottolinea la necessità che qualsiasi revisione del regolamento (CE) n. 883/2004 rispetti in ogni caso il principio della parità di trattamento dei lavoratori mobili per evitare che essi perdano diritti già acquisiti o restino privi di diritti a causa del fatto di essersi trasferiti per lavoro in un altro Stato membro.

4.5.2

Anche la garanzia della portabilità dei diritti sociali dei lavoratori mobili è un aspetto necessario di una mobilità equa, sia per chi vada a lavorare in un altro paese sia per chi rientri nel proprio paese di origine dopo aver lavorato in un altro paese.

4.5.3

L’UE, per agevolare la libera circolazione delle persone e promuovere la mobilità dei lavoratori, ha portato avanti l’iniziativa del coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale con lo scopo di regolamentare le relazioni tra sistemi nazionali, senza modificarne il contenuto normativo.

4.5.4

In attuazione dei Trattati sono state adottate norme di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, tra gli altri i regolamenti (CEE) n. 1408/71 (regolamento di base) e (CEE) n. 574/72 (regolamento di applicazione), che sono poi stati sostituiti dai regolamenti (CE) n. 883/2004 (di base) e (CE) n. 987/2009 (22) (di applicazione). È attualmente in corso una revisione del regolamento (CE) n. 883/2004.

4.5.5

Il CESE prevede di emettere un parere dettagliato non appena la Commissione comunicherà la proposta di revisione del regolamento (CE) n. 883/2004. Come già detto in un parere anteriore, il quadro legislativo deve adattarsi alla realtà in mutamento del mondo del lavoro, alle nuove forme di occupazione e, in particolare, alle nuove forme di mobilità (23).

4.5.6

Il CESE ritiene che i principi di parità di trattamento, cumulo dei periodi, esportabilità delle prestazioni e la determinazione della legislazione applicabile (principio di unicità) siano fondamentali per la libera circolazione dei lavoratori e dovrebbero essere garantiti in qualsiasi futura revisione del regolamento (CE) n. 883/04.

4.5.7

Per quanto riguarda la libera circolazione dei lavoratori in cerca di occupazione in un altro Stato membro, il CESE prende atto delle parole della commissaria Thyssen che a Dublino, il 13 novembre 2015, ha dichiarato: «A nostro parere il diritto alla circolazione dei lavoratori in cerca di occupazione va mantenuto, soprattutto considerando i tassi di disoccupazione degli Stati membri, ampiamente divergenti fra loro. È tuttavia essenziale che ciò non avvenga a spese del sistema di sicurezza sociale del paese di accoglienza. Tenendo presente tutto ciò, vogliamo dare la possibilità a chi abbia perso il lavoro di trasferire le sue indennità di disoccupazione in un altro paese in cui abbia migliori opportunità di trovare un lavoro. Ciò è già possibile per un periodo di 3 mesi». La Commissione vuole prolungare tale periodo a 6 mesi.

4.5.8

La complessità del regolamento (CE) n. 883/2004 esige una stretta cooperazione tra le autorità degli Stati membri, per garantire che la diversità delle norme nazionali non ostacoli la libera circolazione; richiede inoltre la massima chiarezza possibile nelle informazioni affinché i destinatari delle prestazioni e le imprese siano al corrente dei loro diritti e dei loro obblighi. È inoltre necessario rafforzare l’uso di mezzi elettronici e la cooperazione tra gli Stati membri in modo da minimizzare le richieste di informazioni rivolte ai lavoratori e alle imprese.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166 del 30.4.2004, pag. 1).

(2)  Direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU L 18 del 21.1.1997, pag. 1).

(3)  Commissione europea, Occupazione e sviluppi sociali in Europa 2015, pag. 33.

(4)  Commissione europea, Discorso della commissaria Marianne Thyssen sulla visione europea per una mobilità equa dei lavoratori, Dublino, 13 novembre 2015.

(5)  http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/borders-and-visas/schengen/reintroduction-border-control/index_en.htm

(6)  Decisione dei capi di Stato o di governo, riuniti in sede di Consiglio europeo, concernente una nuova intesa per il Regno Unito nell’Unione europea, sezione D Prestazioni sociali e libera circolazione.

(7)  Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (GU L 158 del 30.4.2004, pag. 77).

(8)  Direttiva 2014/54/UE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle misure intese ad agevolare l’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione dei lavoratori (GU L 128 del 30.4.2014, pag. 8).

(9)  GU C 424 del 26.11.2014, pag. 27 (GU C 18 del 19.1.2011, pag. 74; GU C 228 del 22.9.2009, pag. 14).

(10)  Commissione europea, A fact finding analysis on the impact on the Member States social security systems of the entitlements of non active intra-EU migrants to special no contributory cash benefits and healthcare granted on the basis of residence [Analisi conoscitiva sull’impatto, sui sistemi di sicurezza sociale degli Stati membri, dei diritti dei migranti intra-UE non attivi alle prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo e all’assistenza sanitaria sulla base della residenza].

(11)  Giuletti Corrado, IZA-World of Labor, The welfare magnet hypothesis and the welfare take-up of migrants (L’ipotesi del magnete delle prestazioni sociali e il ricorso alle prestazioni sociali da parte dei migranti), pag. 5.

(12)  GU C 327 del 12.11.2013, pag. 65; GU C 424 del 26.11.2014, pag. 27; GU C 18 del 19.1.2011, pag. 74; e GU C 228 del 22.9.2009, pag. 14.

(13)  Op. cit.

(14)  Direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno («regolamento IMI») (GU L 159 del 28.5.2014, pag. 11).

(15)  Commissione europea, Study on wage setting systems and minimum rates of pay applicable to posted workers in accordance with Directive 96/71/EC in a selected number of Member States and sectors [Studio sui sistemi di determinazione dei salari e le tariffe minime salariali applicabili ai lavoratori distaccati ai sensi della direttiva 96/71/CE in un numero selezionato di Stati membri e di settori]. Final Report [Relazione finale].

(16)  Ibid., pagg. 18-20.

(17)  Op. cit.

(18)  GU C 351 del 15.11.2012, pag. 61.

(19)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Programma di lavoro della Commissione per il 2016 [COM(2015) 610 final].

(20)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi [COM/2016/0128 final].

(21)  Risoluzione del Parlamento europeo del 14 gennaio 2014 sulle ispezioni sul lavoro efficaci come strategia per migliorare le condizioni di lavoro in Europa P7_TA(2014)0012.

(22)  Regolamento (CE) n. 987/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 284 del 30.10.2009, pag. 1).

(23)  GU C 228 del 22.9.2009, pag. 14.


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Integrazione dei rifugiati nell’UE»

(parere esplorativo)

(2016/C 264/03)

Relatrice:

Christa SCHWENG

Correlatore:

Panagiotis GKOFAS

Con lettera del 16 dicembre 2015, il ministero neerlandese degli Affari sociali e dell’occupazione, a nome della presidenza neerlandese del Consiglio, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente all’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Integrazione dei rifugiati nell’UE

(parere esplorativo).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 aprile 2016.

Nella sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 232 voti favorevoli, 3 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Introduzione

La presidenza neerlandese ha motivato la sua richiesta come segue:

L’UE e gli Stati membri sono largamente impreparati a gestire l’attuale, massiccio, afflusso di migranti. Tuttavia, il numero degli arrivi è solo una piccola quota rispetto alle persone in movimento a livello globale, e tale situazione ha già dei precedenti nella recente storia europea. Tutti i livelli di governo e molte organizzazioni della società civile devono cooperare per accogliere i migranti e garantire la loro integrazione non appena venga loro concesso lo status di protezione. L’approccio, le prestazioni e il livello della risposta organizzativa variano tra i diversi Stati membri. Esempi di buone pratiche sono reperibili in diverse banche dati, che possono servire da base per un’analisi più approfondita.

Il presente parere esplorativo è volto a elaborare raccomandazioni, partendo dalle attuali esperienze e traendo ispirazione da altre aree geografiche e periodi storici in cui si è registrato un afflusso analogo, o anche molto più ampio, di profughi e altri migranti, mettendo l’accento sul ruolo delle organizzazioni della società civile. Le domande cui il parere dovrebbe rispondere sono, ad esempio: quali sono i modelli migliori di cooperazione tra le autorità nazionali, regionali e locali e le organizzazioni della società civile? Quali approcci innovativi sono già in atto? Come possono essere trasposti in altri contesti?

2.   Raccomandazioni

2.1

Il CESE è convinto che l’integrazione sia una necessità per la conservazione della coesione sociale nelle nostre società.

2.2

A suo giudizio, per agire in modo efficace e ripristinare la fiducia nei valori delle nostre società occorre introdurre immediatamente un sistema europeo comune di asilo, accompagnandolo con un’approfondita riforma del regolamento Dublino II e con un piano europeo per la migrazione.

2.3

Il CESE sottolinea che l’integrazione è un processo bidirezionale. Le migliori pratiche in materia di politiche di integrazione non riguardano solo i profughi, ma interessano anche le popolazioni autoctone. Un approccio di questo tipo è essenziale per l’accettazione delle misure di integrazione. In questo processo svolgono un ruolo importante i mezzi di comunicazione, gli enti locali, i sindacati, le organizzazioni dei datori di lavoro e le ONG. Per creare un clima favorevole ai profughi nei paesi di accoglienza, soprattutto in tempi in cui si prevede una scarsa crescita economica e, in alcuni paesi, il mercato del lavoro è ristretto, le misure di integrazione e gli investimenti sociali devono essere offerti in ugual misura alla popolazione locale e ai profughi, in modo da rispondere alle esigenze specifiche di ciascun gruppo.

2.4

La formazione linguistica deve essere offerta subito dopo la registrazione, se si prevede che la domanda di asilo possa essere accolta. Tale formazione dovrebbe comprendere anche informazioni di base sui valori, le culture e i processi, nonché l’individuazione delle competenze e delle qualifiche. Il Cedefop può contribuire alla messa a punto di metodi per individuare le competenze acquisite nel paese di origine.

2.5

Il CESE raccomanda di prestare un’attenzione particolare ai minori, specialmente a quelli non accompagnati, che sono spesso traumatizzati e hanno bisogno di sostegno socio-pedagogico. Bisogna offrire una rapida integrazione nel sistema scolastico o fornire orientamenti sulle possibilità di formazione professionale.

2.6

Il CESE sottolinea che i profughi devono avere accesso alle informazioni sui diritti e gli obblighi vigenti nella società di accoglienza in generale e nel mercato del lavoro in particolare, nel quale i rifugiati devono essere trattati allo stesso modo dei cittadini locali, al fine di evitare la concorrenza sleale e il dumping sociale e salariale.

2.7

Il CESE riafferma il proprio plauso alla solidarietà mostrata da settori della società civile, dai sindacati, dalle organizzazioni dei datori di lavoro, dai privati cittadini e dalle imprese, in particolare le microimprese e le PMI artigianali, che hanno volontariamente assistito i richiedenti asilo. Il CESE sottolinea l’importanza di proteggere e sostenere tali impegni individuali con incentivi adeguati, in particolare durante le emergenze umanitarie, promuovendo la solidarietà nella società civile.

2.8

Il CESE sottolinea la necessità che la risposta immediata dell’UE alla situazione si basi sulla solidarietà e sull’equa ripartizione della responsabilità e dei costi, come previsto dall’articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

2.9

Gli Stati membri e le autorità competenti dell’UE, anche nei paesi di transito, dovrebbero cooperare con le organizzazioni della società civile nel monitoraggio, nell’aggiornamento dei dati e nelle attività di coordinamento, allo scopo di dotarsi di una più efficace politica comune in materia di asilo. È necessario mettere a punto sistemi statistici comuni, armonizzati e aggiornati al fine di definire le opzioni strategiche dell’UE e degli Stati membri.

2.10

Perché si riesca a integrare in modo durevole i rifugiati, sono necessari maggiori sforzi in termini di investimenti, nel quadro tra l’altro del piano Juncker, per stimolare la crescita economica e l’occupazione. Occorre realizzare ulteriori investimenti nelle misure di integrazione e investimenti sociali a favore sia delle popolazioni locali che dei profughi, in modo da rispondere alle esigenze specifiche di ciascun gruppo. Il CESE ha rilevato i potenziali effetti positivi per le finanze pubbliche di un’imposta sulle transazioni finanziarie, che garantirebbe un più equo contributo del settore finanziario. In considerazione delle circostanze eccezionali, e in linea con il patto di stabilità e crescita, i costi aggiuntivi dell’accoglienza ai rifugiati, dopo un esame approfondito, non dovrebbero essere considerati nel calcolo del disavanzo pubblico degli Stati membri. Gli investimenti nelle misure di integrazione sono costosi nel breve e medio periodo, ma dovrebbero essere visti come investimenti nelle persone, che daranno frutti a lungo termine. Un’integrazione riuscita contribuirà alla coesione sociale, alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro. Parimenti le risorse finanziarie del Fondo asilo, migrazione e integrazione (AMIF) nonché del Fondo sociale europeo (FSE) dovrebbero essere incrementate convenientemente, in particolare negli Stati membri che hanno superato la loro quota di rifugiati, per ottenere un miglior cofinanziamento delle misure di integrazione dei rifugiati.

3.   Contesto

3.1

I conflitti in atto nel Medio Oriente hanno provocato l’afflusso in Europa di un numero di profughi senza precedenti. Persone provenienti da paesi in guerra arrivano mescolate ad altre che desiderano lasciare il proprio paese per motivi economici. Tutti i paesi europei hanno firmato la cosiddetta «Convenzione di Ginevra» del 1951 relativa allo status dei rifugiati, che riconosce loro una serie di diritti fondamentali al fine di proteggere questo gruppo vulnerabile. In considerazione dell’elevato numero di persone coinvolte e al fine di rispettare la Convenzione di Ginevra e i principi generali in materia di diritti umani, è importante distinguere chiaramente tra i migranti economici e i profughi, ossia le persone che necessitano di uno status di protezione (in particolare l’asilo o la protezione sussidiaria).

3.2

Sebbene sia pienamente comprensibile da un punto di vista individuale che i singoli lasciano il proprio paese al fine di trovare una situazione economica migliore all’estero, la situazione attuale e il clima sociale nella maggior parte degli Stati membri impongono di fare questa chiara distinzione, e i migranti economici, se chiedono asilo per motivi ingiustificati, devono rientrare nei loro paesi di origine. Nei casi in cui la domanda di protezione internazionale sia stata respinta, gli Stati membri dovrebbero seguire il piano d’azione UE sul rimpatrio e il manuale sul rimpatrio.

3.3

Ciò richiede un sistema europeo comune di asilo con un’efficiente protezione delle frontiere esterne, una corretta registrazione presso i cosiddetti hotspot, un trattamento rapido delle domande di asilo e, nei casi in cui la domanda di asilo sia respinta e non venga riconosciuto lo status di protezione internazionale, disposizioni per il rimpatrio nel paese d’origine o in un paese terzo con cui sia stato concluso un accordo di riammissione. Potrebbe inoltre essere importante ed efficace creare degli hotspot nei paesi terzi che confinano con l’UE e concludere accordi di politica migratoria in materia di registrazione e di richieste di asilo.

3.4

Gli eventi verificatisi nella seconda metà del 2015 hanno dimostrato che i cittadini di paesi terzi spesso arrivano in Europa con false aspettative e immagini rose della vita nell’UE, che sono di solito alimentate dai trafficanti. Di fronte alla realtà, questi cittadini di paesi terzi hanno una reazione di delusione, e in alcuni casi scelgono il rimpatrio volontario. Nel quadro di un programma di rimpatrio volontario, i partecipanti potrebbero contribuire a presentare un quadro più realistico della vita in Europa ai loro connazionali nei paesi d’origine, il che potrebbe dissuaderne altri dall’intraprendere il pericoloso viaggio verso l’Europa.

3.5

Oltre alla necessità di rendere pienamente operativo il sistema europeo comune di asilo, che preveda una ripartizione sostenibile ed equa delle responsabilità e dei costi, e al fine di ridurre la pressione sul sistema attuale, sarà necessario adottare rapidamente un nuovo approccio europeo in materia di migrazione, e procedere a un’approfondita riforma del regolamento Dublino II che consenta di far fronte alle sfide a breve e a lungo termine, come annunciato dal presidente Juncker per il primo trimestre del 2016. Il CESE esprimerà il suo punto di vista su questo tema in un parere separato.

3.6

Nella sua risoluzione sui rifugiati adottata nel dicembre 2015, il CESE afferma che «la situazione attuale richiede, per i profughi provenienti da paesi colpiti dalle guerre e minacciati dal terrorismo, la creazione di corridoi umanitari sicuri da parte dell’UE, che deve lavorare di concerto con i paesi in cui questi profughi si concentrano». Il CESE ribadisce che il processo di registrazione dovrebbe già aver luogo al di fuori dell’UE.

3.7

La guerra, i cambiamenti climatici e la mancanza di prospettive nei paesi terzi possono dar luogo a un costante e persino crescente afflusso di rifugiati e migranti. La limitazione dei fattori che spingono alla migrazione in generale costituisce una sfida globale. Il presente parere, tuttavia, è dedicato esclusivamente all’integrazione delle persone che beneficiano dello status di protezione o che ne presentano richiesta.

4.   Similarità con i precedenti movimenti di rifugiati?

4.1

A giudizio della presidenza neerlandese dell’UE, è opportuno trarre insegnamenti in materia di integrazione dalle precedenti crisi che hanno generato grandi movimenti di rifugiati. Il CESE è giunto alla conclusione che l’attuale crisi dei rifugiati non è comparabile con quelle precedenti, in primo luogo per via del numero delle persone che si spostano (oltre 900 000 migranti sono entrati nell’UE attraverso la Grecia nel 2015) e in secondo luogo a causa della rapidità dell’evoluzione, che genera maggiore incertezza tra la popolazione locale. Guardando ad esempio al caso dell’Austria, dove all’inizio degli anni ‘90 sono giunti circa 90 000 profughi fuggiti dalla guerra nell’ex Jugoslavia, si possono individuare chiaramente le differenze: i rifugiati dalla Bosnia spesso avevano parenti in Austria o avevano già lavorato in quel paese. Le qualifiche conseguite nel paese di origine avevano un valore immediato per le imprese austriache, e le donne erano abituate a partecipare pienamente al mercato del lavoro. Questo ha portato a un incremento del reddito familiare, ha reso le famiglie più mobili, prevenendo la formazione di aree designate, e ha contribuito a una migliore integrazione sociale nelle scuole e sul mercato del lavoro.

4.2

Le esperienze tratte dalla situazione negli anni ‘90 del secolo scorso non sono del tutto paragonabili alla situazione odierna. Le persone che arrivano ora hanno origini più diversificate: mentre alcune hanno titoli accademici assimilabili a quelli europei, altre hanno titoli di istruzione che potrebbero non essere immediatamente utilizzabili in Europa, altre ancora hanno un’istruzione molto limitata e molte donne non hanno mai partecipato al mercato del lavoro. Inoltre le persone nei paesi di accoglienza, che risentono ancora degli effetti della crisi economica, tendono ad essere poco aperte nei confronti degli stranieri, visti come concorrenti nel mercato del lavoro.

5.   Che cos’è l’integrazione?

5.1

Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) non vi è consenso sulla definizione di integrazione degli immigrati nel contesto dei paesi sviluppati, né esiste una definizione formale nel diritto internazionale in materia di rifugiati. I numerosi tentativi dei governi e del mondo accademico di definire cosa siano l’integrazione o una società integrata si basano su un’ampia interpretazione dell’integrazione come processo graduale, individuale e bidirezionale.

5.2

«Al centro della definizione dell’UNHCR vi è il concetto di integrazione come processo bidirezionale, fondato sull’«adattamento» di una parte e sull’«accoglienza» da parte dell’altra. Essa tuttavia non esige che il rifugiato rinunci alla sua identità culturale, e pertanto l’integrazione si distingue dall’assimilazione (1). Questa definizione coincide con la posizione del CESE (2).

5.3

Il CESE ha messo in rilievo la necessità di vincolare l’integrazione ai valori e ai principi definiti dal trattato, alla Carta dei diritti fondamentali, alla Convenzione europea dei diritti umani, all’agenda Europa 2020, alle politiche dell’occupazione e all’agenda sociale. Per il CESE si tratta di un legame fondamentale, in quanto tiene conto dell’esistenza di una crisi di valori in alcuni ambiti sociali e politici europei. L’integrazione e la coesione economica e sociale sono due facce della stessa medaglia (3). Garantire condizioni di vita e prospettive dignitose per tutti contribuirà all’accettazione delle misure di integrazione.

5.4

I principi fondamentali comuni per la politica di integrazione degli immigrati (2004) e lo strumento per la sua attuazione, l’agenda comune per l’integrazione (2005), costituiscono la base su cui è formulata l’integrazione dei migranti nell’UE e attribuiscono all’integrazione le seguenti caratteristiche:

è un processo dinamico bidirezionale;

implica il rispetto dei valori dell’UE;

l’occupazione costituisce una parte fondamentale dell’integrazione ed è essenziale per la partecipazione;

ai fini di un’integrazione riuscita è indispensabile conoscere la lingua, la storia e le istituzioni della società ospite;

l’istruzione è essenziale per una partecipazione attiva;

l’accesso alle istituzioni, ai beni e ai servizi al pari dei cittadini del paese di accoglienza è fondamentale per l’integrazione;

interazione tra migranti e cittadini;

va salvaguardata la pratica di culture e religioni diverse;

partecipazione al processo democratico;

inclusione delle politiche di integrazione;

obiettivi, indicatori e meccanismi di valutazione chiari per orientare la politica di integrazione.

5.5

Sebbene tali principi non permettano di distinguere tra l’integrazione dei migranti e quella dei rifugiati, il CESE li considera fondamentali per l’integrazione dei rifugiati. Tuttavia, dato il numero elevato di persone che arrivano in Europa, sono necessari ulteriori sforzi per fornire formazione linguistica, alloggi e integrazione nel mercato del lavoro.

5.6

Per creare un clima favorevole ai rifugiati nei paesi di accoglienza, soprattutto in tempi in cui si prevede una scarsa crescita economica e, in alcuni paesi, il mercato del lavoro è ristretto, le misure di integrazione e gli investimenti sociali devono essere offerti in ugual misura alla popolazione locale e ai profughi, in modo da rispondere alle esigenze specifiche di ciascun gruppo. Il CESE ha già sottolineato l’importanza di collegare e integrare gli obiettivi sociali nel contesto dell’integrazione (4).

5.7

Il CESE è convinto che l’integrazione dei rifugiati sia una necessità assoluta per la conservazione della coesione sociale nelle nostre società. La mancata integrazione può far sorgere società parallele che rischiano di destabilizzare i paesi riceventi. È quindi nel nostro interesse avviare misure di integrazione fin dalle primissime fasi. I mezzi di comunicazione dovrebbero essere incoraggiati a riconoscere l’importanza dell’integrazione e del ruolo da essi svolto nel creare un clima politico e sociale costruttivo.

5.8

L’evoluzione demografica in atto nella maggior parte dei paesi europei indica un calo della popolazione in età lavorativa. Al fine di conservare i nostri sistemi sociali sostenibili per le prossime generazioni, l’integrazione nel mercato del lavoro di tutta la manodopera, indipendentemente, per esempio, dal genere, dall’età, dall’efficienza fisica, dalla religione, dall’orientamento sessuale o dall’origine (etnica), deve diventare una priorità. Gli investimenti nelle misure di integrazione sono costosi nel breve e medio periodo, ma dovrebbero essere visti come investimenti nelle persone, che daranno frutti a lungo termine. Un’integrazione riuscita contribuirà alla coesione sociale, alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro.

5.9

Il livello locale ha un ruolo decisivo da svolgere nell’integrazione, in quanto è il luogo in cui le persone vivono insieme e in cui si fa sentire prima la mancanza di integrazione. Alle comunità occorre fornire consulenza e orientamenti riguardo alle misure di integrazione più efficaci, come l’invito rivolto ai rifugiati perché partecipino ad associazioni di volontariato locali (ad esempio i sindacati, le ONG, i vigili del fuoco o le società sportive).

5.10

Il sito web della Commissione europea sull’integrazione (5) contiene ampie informazioni su esempi di integrazione. Utilizzando filtri di ricerca si possono reperire esempi di buone pratiche, in funzione, per esempio, del paese, del settore dell’integrazione o del gruppo di destinatari. Il sito dovrebbe essere ulteriormente promosso per suggerire agli Stati membri, agli enti locali, alle ONG e alle parti sociali possibili attività di integrazione.

5.11

Sulla base di una proposta del CESE, è già stata avviata una collaborazione strutturata tra le organizzazioni della società civile, il CESE e la Commissione europea attraverso il Forum europeo della migrazione, che si occupa di tutte le questioni legate alla migrazione, all’asilo e all’integrazione. Potrebbe inoltre essere utile estendere il mandato del comitato consultivo per la libera circolazione delle persone all’integrazione dei rifugiati, in quanto è l’organo attraverso il quale i governi discutono e scambiano idee con le parti sociali. Detto comitato potrebbe costituire un nuovo spazio per la condivisione delle migliori pratiche.

6.   Misure di integrazione

6.1

I richiedenti asilo che arrivano in Europa (nella maggior parte dei casi) dopo un viaggio estenuante e spesso traumatico necessitano, innanzitutto e soprattutto, di un luogo dove stare e riposare. Questo periodo dovrebbe essere utilizzato dalle autorità per registrarli correttamente e per valutare approssimativamente se abbiano la possibilità di ottenere lo status di rifugiati. In questo caso, le misure di integrazione dovrebbero essere attuate fin da una fase molto precoce. Secondo una recente ricerca dell’Organizzazione mondiale della sanità, per i profughi che soffrono di disturbi post-traumatici da stress è necessario un trattamento medico speciale, in quanto tali disturbi spesso costituiscono un grave ostacolo all’integrazione.

6.2

L’integrazione non è immaginabile senza avere almeno una conoscenza di base della lingua del paese ospitante. Pertanto, la formazione linguistica dovrebbe iniziare il più presto possibile durante la procedura di asilo. Ciò richiede la creazione di nuove strutture nonché una migliore gestione dell’interfaccia per gestire il gran numero di richiedenti asilo. I corsi di lingua dovrebbero inoltre essere utilizzati per far conoscere ai richiedenti asilo i valori (ad esempio la parità di trattamento fra uomini e donne, la libertà di espressione, il divieto della violenza domestica) e la cultura del paese ospitante. Questi corsi possono essere utilizzati anche per fornire ai richiedenti asilo orientamenti di base sulle organizzazioni e le istituzioni, nonché informazioni relative a quelle cui rivolgersi in caso di problemi. I richiedenti asilo provengono spesso da culture molto diverse, e comportamenti dovuti alla scarsa conoscenza dei valori, dei diritti e degli obblighi fondamentali dei paesi di accoglienza possono nuocere all’integrazione.

6.3

I minori rifugiati dovrebbero iniziare prima possibile a frequentare le scuole insieme agli alunni locali e ricevere sostegno nell’apprendimento della lingua nazionale. Occorre prestare un’attenzione particolare ai minori, specie se non accompagnati, che sono spesso traumatizzati. Se per motivi di età non possono più frequentare la scuola, è necessario fornire loro alternative adeguate appositamente concepite allo scopo di prevenire la frustrazione. Gli Stati membri dovrebbero essere coscienti delle esigenze particolari dei bambini traumatizzati e dei minori non accompagnati, e offrire un sostegno socio-pedagogico (ad esempio, il comune di Vienna cerca di collocare i minori non accompagnati in famiglie affidatarie utilizzando strutture esistenti).

6.4

La rapida individuazione e classificazione — sin da una fase precoce — dei certificati, delle competenze e delle qualifiche sono essenziali per assicurare la rapida integrazione nel mercato del lavoro. Le competenze e le qualifiche professionali del richiedente asilo dovrebbero essere definite già all’inizio di una procedura di asilo, con il coinvolgimento di esperti del mercato del lavoro. Questi aspetti sono indispensabili per la promozione mirata delle lingue, l’avvio di un corso di formazione, il riconoscimento delle qualifiche professionali, la messa a disposizione delle necessarie qualifiche secondarie e l’effettiva acquisizione di un’occupazione adeguata. Tuttavia, l’individuazione delle competenze può rivelarsi un’operazione piuttosto complessa. Molti profughi non hanno neppure i documenti personali con loro, e ancor meno gli attestati o i certificati necessari a dimostrare il loro livello di qualifiche. Diversi Stati membri (ad esempio Germania, Austria) stanno mettendo a punto metodi differenti per valutare le capacità e le competenze. Il Cedefop potrebbe fornire una piattaforma per l’apprendimento reciproco e lo scambio di buone pratiche in questo campo.

6.5

Le procedure di asilo richiedono spesso tempi molto lunghi e lasciano il richiedente asilo in una situazione di incertezza. Lunghi periodi durante i quali il richiedente asilo non è in grado di condurre una vita autonoma possono causare instabilità psicosociale, perdita di fiducia in se stessi e sindrome di dipendenza, che a loro volta possono ostacolare le opportunità di occupazione, anche dopo il riconoscimento dello status di rifugiato. I minori sono colpiti ancora di più, in quanto hanno bisogno di un ambiente stabile. Il CESE chiede dunque agli Stati membri di decidere quanto prima in merito alle procedure di asilo. Secondo le informazioni dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economici (OCSE) in materia di aiuto all’integrazione per i richiedenti asilo (6), la durata della procedura di asilo è minore in Grecia, Belgio e Danimarca, dove è prevista una formazione linguistica combinata con l’educazione degli adulti e la formazione alle mansioni che devono svolgere.

6.6

Per quanto riguarda le previsioni di crescita economica e la situazione del mercato del lavoro, i paesi possono adottare misure volte a ridurre i tempi di attesa per l’accesso al mercato del lavoro. La Germania e l’Ungheria hanno già ridotto i tempi di attesa per l’accesso al lavoro, e la Finlandia, il Belgio e il Lussemburgo hanno compiuto alcuni passi nella stessa direzione. Norme eque, trasparenti e ragionevoli per la concessione dell’accesso al mercato del lavoro ai richiedenti asilo consentono di prevenire il lavoro non dichiarato e di migliorare l’accettazione da parte della popolazione locale. Allo stesso tempo, le persone che beneficiano di uno status di protezione dovrebbero avere la prospettiva di rimanere nel paese ospitante, se sono integrate nel mercato del lavoro e nella società di accoglienza. I richiedenti asilo devono essere informati del fatto che il loro accesso al mercato del lavoro dipende dal paese in cui hanno chiesto asilo. A causa della mancanza di informazioni, alcuni si recano in altri Stati membri nella speranza di trovarvi un lavoro, ma in realtà si trovano in una situazione di irregolarità, che potrebbe facilmente essere evitata grazie a un’adeguata informazione.

6.7

L’alloggio riveste un’importanza fondamentale rispetto all’integrazione: i centri di accoglienza soddisfano la necessità immediata di un posto dove riposare (spesso per tempi ben più lunghi del previsto), ma soggiorni di maggiore durata ostacolano l’integrazione. In Austria è stato lanciato il progetto «Kosmopolis» per gli alloggi privati: in una zona di nuova costruzione, un certo numero di appartamenti sono riservati ai rifugiati che hanno già trovato lavoro. Al fine di evitare malintesi tra i rifugiati e le altre persone che vivono nella zona, nelle vicinanze è stato istituito un centro informazioni. In Portogallo, un protocollo tra il comune di Lisbona e le ONG portoghesi ha consentito la fornitura di alloggi ai rifugiati e l’accesso ai servizi del comune per la formazione, l’istruzione e l’integrazione nel mercato del lavoro (7).

6.8

Una volta che la domanda di asilo è stata accolta, il rifugiato deve trovarsi un alloggio in modo autonomo. Si tratta di un periodo spesso molto difficile, in quanto il sostegno che era stato inizialmente concesso dallo Stato viene a mancare e il rifugiato deve trovare un lavoro allo stesso modo dei cittadini del paese ospitante.

6.9

Il servizio pubblico per l’impiego ha un ruolo essenziale da svolgere in questo contesto. In primo luogo, deve svolgere attivamente il suo compito di facilitatore dell’occupazione sostenibile, ma deve anche decidere in merito alle ulteriori qualifiche che il rifugiato può dover acquisire per avere successo sul mercato del lavoro. Occorre rilevare e tenere presente che, anche dopo quattro anni di soggiorno, solo il 25 % dei rifugiati è impiegato, e anche dopo 10 anni tale quota si aggira attorno al 50 % (8). Con ciascun rifugiato potrebbe essere concluso un contratto di integrazione individuale, che contenga le azioni pertinenti da intraprendere (ulteriore formazione, numero di domande ecc.), al fine di integrarlo pienamente nel mercato del lavoro. Il CESE sottolinea che i rifugiati devono essere trattati, nel mercato del lavoro, allo stesso modo della popolazione locale, al fine di evitare la concorrenza sleale e il dumping sociale e salariale. Se non vi è alcuna possibilità di trovare un posto di lavoro per il rifugiato in tempi ragionevoli, la possibilità di offrirsi volontari per un lavoro di pubblica utilità può costituire una valida alternativa, favorendo così l’acquisizione di nuove competenze linguistiche e aiutando i rifugiati a integrarsi nella società.

6.10

Un ottimo esempio è quello della Germania, che ha recentemente deciso di introdurre una carta d’identità speciale per i richiedenti asilo. Dopo la prima registrazione, tale carta diventa lo strumento principale e obbligatorio di identificazione, collegato a una banca dati centrale che contiene informazioni riguardanti i titoli di studio e l’esperienza professionale dell’interessato.

6.11

Tra i rifugiati, come tra la popolazione locale, vi sono persone con interessi e competenze imprenditoriali che devono ricevere informazioni e orientamenti su come avviare un’impresa e diventare datori di lavoro.

6.12

Sono attualmente in corso discussioni in Germania e Slovacchia sulle possibilità di inserire nel mercato del lavoro attraverso procedure accelerate i rifugiati con qualifiche elevate in professioni per le quali vi è carenza di personale competente.

6.13

I rifugiati necessitano di informazioni riguardo al mercato del lavoro in generale, alle possibilità di formazione professionale e ai posti di lavoro disponibili. Poiché un’alta percentuale di rifugiati ha un’età compresa tra i 16 e i 25 anni, tipica degli studenti, a essi occorre fornire informazioni di base o corsi di preparazione in diversi campi professionali prima di poter iniziare la vera e propria formazione. In Germania le camere di commercio e industria hanno avviato iniziative per agevolare l’inserimento professionale, come ad esempio colloqui di lavoro rapidi, e aiutare le imprese a fornire qualifiche e formazione ai rifugiati attraverso il progetto «Impegno per la formazione». Esse puntano inoltre ad attrarre sponsor volontari che seguano i rifugiati e le imprese, fornendo consulenza a entrambi. Le camere di commercio e industria offrono anche assistenza ai rifugiati che desiderano avviare un’attività in proprio.

6.14

In Austria è stato avviato un progetto che mira far accedere i giovani rifugiati ai posti di apprendistato vacanti con il sostegno del servizio pubblico per l’occupazione e di consulenti ad hoc. A un periodo di tirocinio può far seguito la firma di un accordo formale di apprendistato. Inoltre, le Ferrovie federali austriache (ÖBB) hanno avviato il progetto Diversität als Chance («Diversità come opportunità») e hanno offerto apprendistati a 50 profughi non accompagnati tra i 15 e i 17 anni.

6.15

Al fine di facilitare l’integrazione dei migranti altamente qualificati, la Camera dell’economia austriaca ha messo a punto il programma «Tutoraggio per gli immigrati», che è stato esteso ai rifugiati altamente qualificati. I tutor sono persone che sono ben integrate nel mercato del lavoro austriaco e che assistono il migrante nella ricerca di lavoro fornendo informazioni o anche l’accesso alla propria rete professionale. Il programma contribuisce inoltre a evitare che sorgano malintesi culturali.

6.16

In alcuni Stati membri, i rifugiati sono assistiti dai cosiddetti «amici dei rifugiati», volontari appartenenti a una vasta gamma di organizzazioni, ciascuno dei quali incontra periodicamente un rifugiato, al fine di stabilire relazioni personali. Ciò è tanto più importante in quanto un gran numero di profughi è costituito da minori non accompagnati, che hanno lasciato alle spalle la famiglia. Questi volontari potrebbero inoltre contribuire a migliorare l’immagine dei rifugiati nel paese di accoglienza.

6.17

In alcuni Stati membri (ad esempio Spagna, Francia, Germania, Repubblica ceca e Austria) le organizzazioni delle parti sociali hanno invitato i governi ad agire in modo più efficace per l’integrazione dei rifugiati. In Spagna, nel piano annuale per l’occupazione è stata inclusa una misura supplementare riguardante specificamente l’inserimento professionale dei rifugiati.

6.18

La Danimarca utilizza il cosiddetto «modello a scala» per l’integrazione dei rifugiati nel mercato del lavoro: al primo gradino (da 4 a 8 settimane) si individuano le competenze dei singoli rifugiati e si forniscono lezioni di lingua danese. Al secondo gradino (26-52 settimane) il tirocinante è inserito in un’impresa (senza costi per il datore di lavoro) e riceve ulteriori lezioni di lingua. A seguito di ciò, il rifugiato è pronto ad accettare un lavoro con una sovvenzione salariale. Un’attuazione efficace di tali modelli dovrebbe favorire la creazione di ulteriori opportunità di occupazione e prevenire l’estromissione dei cittadini autoctoni (il cosiddetto effetto «porta girevole»).

6.19

Al fine di garantire una concorrenza leale, le condizioni di lavoro, ivi compresi i salari, devono essere rispettate indipendentemente dalla nazionalità o dallo status del lavoratore (principio della lex loci laboris). A tal fine gli Stati membri devono disporre di misure e meccanismi efficaci e della necessaria capacità amministrativa. I sindacati aiutano i lavoratori rifugiati o migranti che si trovano sprovvisti di documentazione a rivendicare i propri diritti (Ecole des Solidarités — Belgio, UNDOK — Austria).

7.   Il finanziamento dell’integrazione dei rifugiati

7.1

Il CESE sottolinea che, per avere un impatto positivo duraturo sulla nostra società, qualsiasi misura che venga adottata dovrà essere adeguatamente finanziata. Perché si riesca a integrare in modo durevole i rifugiati, sono necessari maggiori sforzi in termini di investimenti, nel quadro tra l’altro del piano Juncker, per stimolare la crescita economica e l’occupazione. Occorre realizzare ulteriori investimenti nelle misure di integrazione e investimenti sociali da offrire in ugual misura alla popolazione locale e ai rifugiati, in modo da rispondere alle esigenze specifiche di ciascun gruppo. Il CESE ha rilevato i potenziali effetti positivi per le finanze pubbliche di un’imposta sulle transazioni finanziarie, che garantirebbe un più equo contributo del settore finanziario. In considerazione delle circostanze eccezionali, e in linea con il patto di stabilità e crescita, i costi aggiuntivi dell’accoglienza ai rifugiati, dopo un esame approfondito, non dovrebbero essere considerati nel calcolo del disavanzo pubblico degli Stati membri (9).

7.2

Gli Stati membri di prima accoglienza, come l’Italia, Malta, la Spagna e la Grecia, dovrebbero ricevere un’assistenza finanziaria immediata per ciascun rifugiato o migrante ai fini del corretto e rapido trattamento delle domande di asilo o delle procedure di rimpatrio nel caso in cui non risultino soddisfatte le condizioni per la concessione dell’asilo. Anche gli Stati membri che si assumono la responsabilità di integrare nella loro società un numero di rifugiati superiore a quello richiesto dal principio di solidarietà dovrebbero poter contare sul sostegno finanziario dell’UE.

7.3

Le risorse finanziarie del Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF) dovrebbero essere incrementate al fine di interagire meglio con gli Stati membri nel finanziamento dell’integrazione dei rifugiati, in particolare per programmi realizzati dalle autorità locali e dalle ONG. Anche il Fondo sociale europeo dovrebbe essere incrementato in misura sufficiente ad agevolare l’integrazione sociale dei rifugiati, la parità delle donne, il sostegno alle imprese e l’inclusione dei rifugiati nel mercato del lavoro, che richiede il dialogo e la collaborazione con le parti sociali. Inoltre, il Fondo per lo sviluppo regionale dovrebbe destinare risorse supplementari alle aree urbane che attuano le modalità necessarie per l’accoglienza e l’integrazione dei rifugiati.

7.4

È infine necessario valutare le possibilità di cooperazione internazionale relativamente al finanziamento dell’integrazione dei rifugiati, in particolare attraverso la cooperazione con l’UNHCR e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  A new beginning — Refugee integration in Europe (Un nuovo inizio — L’integrazione dei rifugiati in Europa), 2013.

(2)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 131; cfr. inoltre GU C 347 del 18.12.2010, pag. 19.

(3)  Relazione informativa — Le nuove sfide dell’integrazione, relatore: Luis Miguel Pariza Castaños.

(4)  GU C 347, del 18.12.2010, pag. 19.

(5)  https://ec.europa.eu/migrant-integration/home

(6)  OCSE, Making Integration Work (Per un’integrazione riuscita), 28.1.2016.

(7)  EurWORK, Approaches towards the labour market integration of refugees in the EU (Strategie di integrazione dei rifugiati nei mercati del lavoro dell’UE), 7.1.2016.

(8)  Cfr. nota 6.

(9)  Dichiarazione del CESE sui rifugiati.


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La dimensione esterna della politica energetica dell’UE»

(2016/C 264/04)

Relatore:

Vitas MAČIULIS

La presidenza del Consiglio dell’Unione europea, in data 16 dicembre 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 262 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

La dimensione esterna della politica energetica dell’UE

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha adottato il proprio parere in data 19 aprile 2016.

Nella sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 28 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni: verso una politica energetica esterna resiliente e consolidata nell’UE

1.1

L’energia è un elemento inscindibile dalla politica internazionale ed è attualmente tra le principali priorità dell’agenda dell’UE. Poiché alcuni attori della scena internazionale cercano di sfruttare l’energia come uno strumento per raggiungere determinati obiettivi politici, è nell’interesse dei cittadini europei che l’UE rimanga vigile in rapporto alle questioni energetiche.

1.1.1

Per la dimensione esterna dell’energia i fattori più importanti sono tre, ossia la diversificazione, il fatto di «parlare con una sola voce» e un sistema energetico interno adeguatamente sviluppato.

1.2

Per l’UE, la diversificazione delle fonti energetiche, dei fornitori e delle rotte è essenziale per la politica energetica esterna. Come sottolineato nella strategia dell’UE per l’Unione dell’energia, una sfida fondamentale per l’UE è rappresentata dal fatto che più della metà dell’energia consumata proviene da importazioni, che devono essere assicurate tramite determinate politiche commerciali.

1.2.1

La cerchia dei partner da cui importare energia deve essere ampliata, puntando costantemente alla ricerca e alla creazione di un dialogo con nuovi fornitori che siano affidabili e prevedibili.

1.2.2

I nuovi grandi progetti infrastrutturali che contribuiscono a raggiungere gli obiettivi sul piano della diversificazione dovrebbero realizzare le finalità della strategia per l’Unione dell’energia ed essere totalmente in linea con l’acquis dell’UE. Tali progetti dovrebbero inoltre essere pienamente coerenti con l’obiettivo di sviluppare un sistema energetico decentrato nel quale le fonti rinnovabili abbiano un ruolo di primaria importanza.

1.2.3

Bisognerebbe incoraggiare la cooperazione tra i rappresentanti del settore privato e quelli del settore politico, allo scopo di individuare i metodi e i partner più adatti per lo sviluppo della dimensione energetica esterna. Gli obiettivi legati alla sicurezza e alla sostenibilità energetiche andrebbero sempre tenuti in considerazione.

1.3

Bisogna perseguire un’azione all’unisono (ossia «parlare con una sola voce») a dispetto delle differenze tra gli Stati membri per quanto concerne il mix energetico adottato, le strutture per l’importazione di energia e i partner tradizionali. Una posizione comune all’interno dell’UE è fondamentale per avere una dimensione esterna forte.

1.3.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) raccomanda agli Stati membri di coordinare i loro singoli interessi nel settore dell’energia e di mantenere costantemente tra loro relazioni improntate alla solidarietà e alla trasparenza.

1.3.2

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, del 16 febbraio 2016, volta a rafforzare l’attuale meccanismo per lo scambio di informazioni per quanto riguarda gli accordi intergovernativi e gli strumenti non vincolanti.

1.3.3

Il rispetto di standard comuni in materia ambientale e di sicurezza nucleare nei progetti energetici in fase di attuazione nei paesi confinanti con l’UE dovrebbe essere un punto importante della politica energetica esterna dell’Unione. Gli acquisti di energia da paesi che non rispettano tali standard dovrebbero essere limitati.

1.4

La solidità del sistema energetico interno costituisce il presupposto per la riduzione dell’impatto esterno: una delle dimensioni chiave dell’Unione dell’energia è la creazione di un mercato energetico interno dell’UE pienamente funzionale e trasparente, che avrebbe quale conseguenza diretta una maggiore efficienza dell’approccio dell’UE in materia di questioni energetiche esterne.

1.4.1

Vanno create tutte le componenti necessarie dell’infrastruttura energetica, affinché sia possibile ottimizzare e razionalizzare l’importazione di risorse energetiche nell’UE.

1.4.2

Il CESE sottolinea la necessità di integrare pienamente le reti e i sistemi energetici di tutti gli Stati membri nel mercato interno dell’UE, e di assicurarne la piena sincronizzazione.

1.4.3

La competitività dei produttori di energia dell’UE deve essere mantenuta assicurando la parità di condizioni tra i produttori di energia europei e quelli non europei.

1.4.4

Il CESE esorta a far sì che nella concezione e nell’attuazione della politica energetica esterna dell’Unione europea si tenga conto della necessità che le industrie dell’UE, e in particolare quelle ad alta intensità energetica, dispongano di un approvvigionamento di energia competitivo, stabile e prevedibile, che consenta loro di operare a parità di condizioni con i loro concorrenti internazionali.

1.5

Una politica energetica orientata al futuro, che permetta di conseguire gli obiettivi esterni dell’UE anche nel contesto dell’accordo della COP 21, dovrebbe innanzi tutto prendere sistematicamente in considerazione gli obiettivi della politica europea in materia di clima e gli sforzi dell’intera comunità internazionale volti a limitare le anomalie climatiche, sviluppando in particolare tre fattori essenziali: le fonti energetiche rinnovabili, l’efficienza energetica e la ricerca e sviluppo.

1.5.1

Le fonti rinnovabili rappresentano un elemento essenziale ai fini di una maggiore sicurezza energetica e di una minore dipendenza dalle importazioni.

1.5.2

L’UE deve fare il possibile per conservare la sua posizione di leader in questo settore.

1.5.3

L’efficienza energetica è uno degli strumenti principali che consentono di diminuire quantitativamente il consumo energetico dell’UE e, quindi, il volume delle importazioni di energia. È pertanto essenziale ridurre la spesa energetica dei consumatori sia privati che commerciali.

1.6

La ricerca e lo sviluppo devono ricevere risorse adeguate, allo scopo di pervenire a un aumento dell’efficienza e a una riduzione dei costi di produzione dell’energia. In tale contesto, anche la cooperazione internazionale ha chiaramente la sua importanza.

1.7

Poiché l’energia dovrebbe essere accessibile ai consumatori e sostenere la competitività dell’industria, il CESE invita la Commissione europea e i governi nazionali a dare ampio spazio alla società civile, alle parti sociali e alle associazioni dei consumatori. Per questo motivo, il Comitato sollecita l’avvio di un Dialogo europeo per l’energia e la creazione di un Forum europeo sull’energia con la partecipazione di tutti i soggetti interessati. Questo elemento è cruciale per la definizione di una politica energetica esterna dell’UE che sia intelligente, efficiente e sostenibile.

1.7.1

Il CESE deve mobilitare i propri organi internazionali di riferimento affinché svolgano un ruolo attivo nella creazione di una politica energetica esterna dell’UE efficace e resiliente.

2.   Contesto

2.1

Solo in tempi recenti le questioni energetiche hanno assunto rilevanza nei dibattiti politici dell’UE e sono state inserite ai primi posti dell’agenda della Commissione europea. Il CESE è attivo anche nel campo della dimensione esterna dell’energia e ha già adottato una serie di pareri su questo tema (1).

2.2

Vista la crescente dipendenza dell’UE dalle importazioni di energia, in particolare di petrolio e gas, la dimensione esterna della politica energetica dell’UE sta assumendo un’importanza cruciale per rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici.

2.2.1

Più della metà del consumo energetico interno lordo dell’UE (il 53,2 %) è basato su importazioni. L’UE importa il 44,2 % dei combustibili solidi usati (di cui più della metà è carbon fossile), l’87,4 % del petrolio e prodotti derivati, e il 65,3 % del gas naturale (dati Eurostat, 2013).

2.2.2

Tali cifre sottolineano in maniera netta in quale misura l’UE è dipendente dal commercio con i paesi terzi fornitori. Pertanto, se un fornitore si rivelasse inaffidabile o imprevedibile oppure se non si provvedesse a una manutenzione adeguata delle infrastrutture, la sicurezza energetica dell’intera UE potrebbe venire seriamente compromessa.

3.   Rilevanza della diversificazione nelle relazioni esterne in materia di energia

3.1

L’UE dovrebbe andare alla ricerca di nuove opportunità di cooperazione, nonché rafforzare i partenariati in materia di energia già esistenti con paesi terzi per quel che concerne la diversificazione delle fonti, dei fornitori e delle rotte.

3.2

È molto probabile che nel prossimo futuro la Russia rimanga il principale partner dell’UE per le importazioni di energia. Questo paese è particolarmente importante per l’energia trasportata tramite i gasdotti.

3.2.1

Per la Russia il mantenimento della sua posizione di vantaggio sul mercato energetico dell’UE costituisce una questione della massima priorità, in quanto l’Unione rappresenta il suo principale importatore di energia ed è al tempo stesso un cliente molto affidabile.

3.2.2

Il progetto di gasdotto Nord Stream II costituisce attualmente una delle priorità dell’agenda energetica della Russia, che è tesa ad aumentare le esportazioni di gas naturale verso l’UE. All’interno dell’UE è stato espresso il timore che questo progetto possa essere in contraddizione con la strategia dell’Unione legata alla diversificazione delle forniture di gas. Per il CESE, il compito più importante della Commissione consiste in una valutazione approfondita del progetto Nord Stream II e della sua congruenza sia con l’acquis dell’UE, compreso il terzo pacchetto dell’energia, che con gli obiettivi della strategia dell’Unione dell’energia, in particolare la diversificazione delle fonti energetiche, dei fornitori e delle rotte di approvvigionamento.

3.2.3

Gli interessi di ogni Stato membro devono essere tenuti in considerazione quando verrà stabilità una posizione comune dell’UE in merito al Nord Stream II. Gli aspetti commerciali del progetto non dovrebbero essere l’unico fattore di cui tener conto al momento di decidere, soprattutto alla luce della tendenza della Russia a servirsi dell’energia come uno strumento per il raggiungimento di obiettivi geopolitici.

3.3

La Norvegia è un partner prezioso dell’UE sullo scenario internazionale, con il quale l’Unione condivide priorità strategiche anche nel settore energetico. Essendo un paese membro dell’Accordo sullo Spazio economico europeo, la Norvegia fa parte del mercato interno dell’UE.

3.3.1

La rilevanza della dimensione settentrionale continuerà probabilmente ad aumentare, al pari della cooperazione tra le regioni del Nord per quanto riguarda i giacimenti di petrolio e gas nell’Oceano Artico. Bisognerà tuttavia prestare una particolare attenzione al delicato contesto ambientale se e quando le imprese inizieranno a sondare seriamente quell’area alla ricerca di potenziali risorse.

3.4

La cooperazione tra l’UE e i paesi partner del Mediterraneo meridionale e orientale nel settore dell’energia ha acquisito nuovo slancio con la recente creazione di piattaforme regionali riguardanti il gas, l’elettricità, le energie rinnovabili e l’efficienza energetica. Queste piattaforme sono concepite per contribuire a facilitare e rafforzare la cooperazione in ambito energetico.

3.5

Dato che l’Asia centrale è una regione di importanza strategica ed è ricca di risorse energetiche, l’Unione europea si è impegnata a instaurare un rapporto stabile e duraturo con essa. Come indicato nelle conclusioni del Consiglio «Affari esteri» sulla strategia dell’UE per l’Asia centrale, adottate il 22 giugno 2015, l’UE invita a rafforzare i legami nel settore dell’energia, poiché questo contribuirebbe alla sicurezza energetica reciproca.

3.6

Il collegamento tra la regione del Mar Caspio e il mercato dell’UE attraverso il corridoio meridionale del gas dischiuderà nuove possibilità per gli scambi commerciali di gas naturale e contribuirà a raggiungere l’obiettivo dell’UE legato alla diversificazione. Il gasdotto transanatolico (TANAP) costituirà la parte centrale dell’interconnessione assieme al gasdotto transadriatico (TAP).

3.7

Le relazioni nel settore dell’energia con gli Stati Uniti stanno assumendo un’importanza sempre maggiore nell’agenda dell’UE, come dimostrato dal Consiglio per l’energia UE-USA. Gli Stati Uniti attualmente traggono vantaggio da un periodo di gas a prezzi contenuti grazie alla produzione di gas non convenzionale. L’UE dovrebbe cogliere questa occasione e incoraggiare lo sviluppo degli scambi transatlantici di gas naturale liquefatto (GNL), dato che questo contribuirebbe in misura sostanziale alla diversificazione dell’approvvigionamento energetico.

3.7.1

Il partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) potrebbe diventare un importante strumento per promuovere anche la sicurezza energetica transatlantica. Il CESE esorta le parti a convogliare tutti gli sforzi in modo da affrontare adeguatamente le questioni energetiche trattate nell’accordo.

3.8

La sicurezza energetica dell’UE è strettamente legata alle questioni energetiche del vicinato, e questo significa che l’UE dovrebbe continuare a cooperare strettamente con i paesi vicini e aumentare le possibilità di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa.

3.8.1

Il CESE invita la Commissione a rafforzare ulteriormente la Comunità dell’energia, specialmente per quanto concerne l’attuazione dell’acquis dell’UE nel settore energetico all’interno dei paesi parti contraenti (2).

3.8.2

L’obiettivo fondamentale della Comunità dell’energia è l’espansione del mercato energetico interno dell’UE. L’UE deve continuare a rafforzare la cooperazione con i paesi vicini e la società civile locale al fine di creare un autentico mercato energetico paneuropeo. Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione relativa al regolamento sulla sicurezza degli approvvigionamenti che prevede un coinvolgimento diretto dei paesi della Comunità dell’energia.

3.9

In seguito al ritiro delle sanzioni internazionali contro l’Iran, l’UE deve cogliere l’occasione e ristabilire le relazioni nel settore dell’energia, alla luce del ruolo che l’Iran potrebbe svolgere per permettere all’UE di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico.

3.10

L’UE dovrebbe anche intensificare e potenziare gli sforzi volti a consolidare partenariati robusti con paesi terzi tra loro diversi, ma importanti, come il Canada, la Turchia e l’Algeria. Il CESE si compiace che nel 2015 si sia dato avvio ai dialoghi ad alto livello sull’energia con questi paesi.

3.11

Gli accordi commerciali con paesi terzi dovrebbero tenere nella debita considerazione la dimensione energetica. Inoltre, gli accordi in materia di energia con fornitori di paesi terzi devono essere pienamente conformi alle disposizioni giuridiche e ai principi di sicurezza energetica dell’UE.

4.   L’importanza di «parlare con una sola voce» e di adottare un approccio unificato alle questioni energetiche

4.1

Il 20 luglio 2015 il Consiglio Affari esteri ha approvato un piano d’azione per la diplomazia energetica (Energy Diplomacy Action Plan - EDAP) per sostenere la dimensione esterna della strategia dell’Unione dell’energia. Il piano mira a rafforzare i messaggi comuni, per consentire all’UE di parlare con una sola voce sulle principali questioni energetiche e per conseguire gli obiettivi in materia di energia in uno spirito di solidarietà e nell’interesse comune, invece di ricorrere alla rinazionalizzazione delle politiche energetiche.

4.1.1

Gli elementi fondamentali dell’EDAP comprendono l’appoggio diplomatico alla diversificazione delle fonti energetiche, dei fornitori e delle rotte di approvvigionamento, una maggiore cooperazione con i paesi di transito (in particolare l’Ucraina) e con i principali paesi partner nel settore dell’energia, un ulteriore rafforzamento della Comunità dell’energia e il mantenimento dell’impegno strategico dell’UE nelle iniziative multilaterali legate all’energia.

4.2

Il 25 ottobre 2012 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato la decisione con cui viene istituito un meccanismo per lo scambio di informazioni in materia di accordi intergovernativi, volto ad assicurare che gli accordi conclusi siano giuridicamente chiari e trasparenti e rispettino la legislazione dell’UE. Nel febbraio 2016 la Commissione ha presentato una proposta per rafforzare il meccanismo esistente.

4.2.1

Il CESE accoglie favorevolmente gli interventi volti a garantire la conformità giuridica e la trasparenza degli accordi dell’UE con paesi terzi (3) e fornirebbe pertanto il proprio appoggio al rafforzamento dell’attuale meccanismo di condivisione delle informazioni.

4.3

L’UE dovrebbe continuare a impegnarsi per la promozione e il costante miglioramento delle norme sul rispetto dell’ambiente e sulla sicurezza nucleare nei paesi terzi.

4.3.1

Occorre riservare un’attenzione speciale alle centrali nucleari in fase di costruzione in paesi terzi confinanti con l’UE (ad esempio, la centrale nucleare di Astraviec in Bielorussia, che si è scoperto che non è in linea con le disposizioni della convenzione di Espoo). L’UE dovrebbe ribadire ai paesi terzi l’importanza di garantire la sicurezza generale di questi progetti, in linea con la convenzione dell’AIEA sulla sicurezza nucleare e altri accordi internazionali pertinenti. La Commissione dovrebbe intensificare gli sforzi volti ad assicurare che i paesi che hanno accettato di effettuare test di resistenza degli impianti nucleari in linea con le norme dell’UE soddisfino tale impegno il prima possibile. È inoltre opportuno limitare l’accesso delle centrali poco sicure ai mercati UE dei prodotti energetici.

5.   Impatto di un sistema energetico interno solido

5.1

Una posizione esterna resiliente ha come conseguenza diretta un sistema energetico interno solido. Pertanto, l’UE dovrebbe puntare a razionalizzare il suo approccio interno alle questioni energetiche.

5.2

La strategia dell’Unione dell’energia è un’iniziativa prioritaria volta a consolidare una risposta comune dell’UE alle sfide energetiche. Poiché la sicurezza energetica sostiene la prosperità economica e sociale dell’UE, essa rappresenta una responsabilità che ricade collettivamente sugli Stati membri, sui produttori di energia, sui consumatori, sui paesi di transito e sulla comunità internazionale, in quanto sono tutti coinvolti negli odierni mercati globalizzati dell’energia.

5.2.1

Un pilastro fondamentale dell’Unione dell’energia è costituito dal miglioramento delle interconnessioni fra gli Stati membri e dalla piena attuazione dell’acquis relativo al mercato interno dell’energia. La piena integrazione del mercato interno dell’UE farà aumentare la concorrenza tra i fornitori di energia, e questo a sua volta dovrebbe portare a prezzi più vantaggiosi per gli utenti finali.

5.2.2

Poiché il gas naturale liquefatto (GNL) sta diventando sempre più ampiamente disponibile a livello mondiale, per l’UE si stanno presentando nuove opportunità di diversificare gli approvvigionamenti di gas. Pertanto, l’infrastruttura interna per il GNL dovrebbe essere rafforzata e sviluppata. In tale contesto, il CESE accoglie favorevolmente la strategia per il GNL e lo stoccaggio del gas adottata dalla Commissione nel febbraio 2016.

5.2.3

L’integrazione totale dell’UE implica l’eliminazione delle «isole energetiche». Il CESE sottolinea la necessità di integrare pienamente le reti e i sistemi energetici di tutti gli Stati membri nel mercato interno dell’UE, sia sviluppando le infrastrutture fisiche per collegare le reti elettriche che risolvendo definitivamente la questione della sincronizzazione dei tre Stati baltici (4), in quanto l’operatività dei loro sistemi elettrici dipende attualmente da un operatore di un paese terzo (la Russia).

5.2.4

La competitività dei produttori di energia dell’UE deve essere salvaguardata. Bisogna assicurare la parità di condizioni tra i produttori di energia europei e quelli non europei, al fine di garantire il rispetto delle norme europee sulla concorrenza da parte di tutti gli operatori del mercato dell’energia.

6.   Una politica energetica lungimirante quale fattore di rilievo nella dimensione esterna

6.1

Le fonti energetiche rinnovabili costituiscono un’opportunità diretta per l’UE non solo di ridurre la propria dipendenza dai combustibili fossili importati, ma anche di rendere più sostenibile la produzione interna di energia. Il CESE riconosce che lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili costituisce una delle azioni più importanti per un futuro energetico più sicuro. L’UE non dovrebbe tuttavia risposare sugli allori e dovrebbe fare tutto ciò che è in suo potere per mantenere una posizione di preminenza nel settore. Inoltre, i funzionari dell’UE dovrebbero incoraggiare i paesi terzi a fissare obiettivi ambiziosi in materia di energie rinnovabili.

6.1.1

L’UE guarda già al dopo 2020 e ha stabilito obiettivi ancora più ambiziosi per il 2030. L’obiettivo comune di ottenere da fonti rinnovabili almeno il 27 % dell’energia utilizzata richiederebbe una maggiore cooperazione tra gli Stati membri a livello regionale, realizzando così un ulteriore consolidamento del settore energetico dell’UE.

6.1.2

Nel contesto dell’attenuazione dei cambiamenti climatici, il CESE accoglie favorevolmente l’accordo della COP21 e l’impegno dell’UE a ridurre le emissioni di gas a effetto serra di almeno il 40 % (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030, come stabilito nel quadro di riferimento per il clima e l’energia. L’UE non dovrebbe soltanto incoraggiare i paesi partner a operare attivamente in questo campo, ma dovrebbe anche fornire un aiuto concreto, se giudicato necessario.

6.1.3

La produzione decentrata di energia e le cooperative energetiche apporterebbero un contributo al raggiungimento degli obiettivi dell’UE in materia di clima ed energia. Questa soluzione consente di coinvolgere la società in senso lato ad adoperarsi per l’indipendenza e la sicurezza energetica sia nel proprio paese che nell’intera UE. Bisognerebbe quindi adottare le prassi migliori, sotto il profilo dei costi, per l’autoproduzione e il consumo energetico.

6.2

L’efficienza energetica rappresenta anche un modo diretto di affrontare la questione delle ingenti importazioni dell’UE nel settore dell’energia. Per tutta l’UE è stato fissato l’obiettivo per il 2030 di un miglioramento di almeno il 27 % nell’efficienza energetica (lo stesso previsto per le energie rinnovabili) e la Commissione europea si sta adoperando con impegno per attuare il principio della «efficienza energetica al primo posto». Dal canto suo, l’Unione dell’energia continuerà a promuovere un accesso migliore agli strumenti di finanziamento per l’efficienza energetica, specialmente nei settori dei trasporti e dell’edilizia, e a incoraggiare gli Stati membri a prendere nella massima considerazione il tema dell’efficienza energetica nel quadro delle loro politiche.

6.3

È fondamentale assegnare risorse adeguate alla R&S per mantenere i progressi tecnologici nella produzione energetica e nella distribuzione intelligente. Questo è particolarmente pertinente sotto il profilo delle energie rinnovabili, per fare in modo che sia possibile produrle a costi contenuti e in modo affidabile. Bisognerebbe inoltre perseverare nello sviluppo di tecnologie di punta, come l’impiego delle celle a combustibile e idrogeno e della fusione nucleare per la produzione di energia.

6.4

Il CESE raccomanda all’UE di assumere un ruolo da capofila nel trattare in modo sostenibile le questioni energetiche dei paesi in via di sviluppo attraverso politiche e iniziative volte a prestare assistenza finanziaria, tecnica e giuridica. Il sostegno all’istruzione e alla formazione nei settori attinenti dovrebbe essere lo strumento principale per l’ampliamento della cooperazione con i paesi in via di sviluppo.

7.   La società civile come soggetto attivo nelle questioni energetiche esterne

7.1

Poiché i consumatori si attendono che l’energia sia accessibile e sostenga la competitività dell’industria, il CESE invita la Commissione e i governi nazionali a coinvolgere la società civile, le parti sociali e le associazioni dei consumatori nelle questioni relative all’energia e a mantenere un dialogo aperto, che contribuirebbe in misura significativa a una migliore comprensione delle questioni energetiche sul tappeto.

7.1.1

La precarietà energetica è un tema di rilevanza mondiale che non può essere trascurato sotto il profilo delle politiche energetiche dell’UE, siano esse interne o esterne. Bisogna dare una mano a coloro che sono più seriamente esposti a questa minaccia.

7.2

La società civile dovrebbe dare prova di maggiore iniziativa nei processi decisionali relativi all’energia. Il CESE accoglie con favore la dichiarazione congiunta sull’energia sottoscritta dalla piattaforma della società civile (PSC) UE-Ucraina l’11 febbraio 2016, che mira a rafforzare il ruolo della società civile e a preparare raccomandazioni sullo Stato di diritto da rivolgere alle autorità competenti.

7.2.1

Le questioni energetiche devono figurare nell’ordine del giorno stabilito per le riunioni internazionali del CESE, e rappresentare inoltre un argomento importante nelle discussioni intavolate con la società civile dei paesi partner.

Bruxelles, 28 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  

1)

Il contributo della società civile alla revisione della strategia UE-Asia centrale, parere del CESE (GU C 242 del 23.7.2015, pag. 1).

2)

Quadro strategico per l’Unione dell’energia, parere del CESE (GU C 383 del 17.11.2015, pag. 84).

3)

L’energia, fattore di sviluppo e di approfondimento dell’adesione nei Balcani occidentali, parere del CESE (GU C 32 del 28.1.2016, pag. 8).

4)

Garantire le importazioni di beni essenziali per l’UE mediante la politica commerciale attuale dell’UE e le politiche correlate, parere del CESE (GU C 67 del 6.3.2014, pag. 47).

5)

Accordi intergovernativi fra gli Stati membri e i paesi terzi nel settore dell’energia, parere del CESE (GU C 68 del 6.3.2012, pag. 65).

6)

Coinvolgere la società civile nella creazione di una futura comunità europea dell’energia, parere del CESE (GU C 68 del 6.3.2012, pag. 15).

7)

La dimensione esterna della politica energetica europea, parere del CESE (GU C 182 del 4.8.2009, pag. 8).

(2)  Paesi parti contraenti: Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Repubblica di Moldova, Montenegro, Serbia e Ucraina.

(3)  Cfr. nota 1, punto 5.

(4)  GU C 228 del 22.9.2009, pag. 84.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

516a sessione plenaria del CESE dei giorni 27 e 28 aprile 2016

20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al «Libro verde sui servizi finanziari al dettaglio — Prodotti migliori, maggiore scelta e più opportunità per consumatori e imprese»

[COM(2015) 630 final]

(2016/C 264/05)

Relatrice:

Milena ANGELOVA

La Commissione europea, in data 10 dicembre 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde sui servizi finanziari al dettaglio — Prodotti migliori, maggiore scelta e più opportunità per consumatori e imprese

[COM(2015) 630 final].

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 aprile 2016.

Nella sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 191 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore l’obiettivo dichiarato dalla Commissione nel pubblicare il Libro verde in esame e il fatto che la Commissione sia sulla buona strada e abbia un programma ambizioso per l’attuazione del Piano d’azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali (1).

1.2

Il CESE approva l’idea della Commissione di adoperarsi per agevolare la penetrazione transfrontaliera dei servizi finanziari al dettaglio e le possibilità per i consumatori di cambiare fornitore. Tali misure dovrebbero assicurare una struttura di mercato più competitiva e accrescere la convenienza dei consumatori che utilizzano servizi finanziari, anche promuovendo la parità di accesso ai meccanismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie in tutti gli Stati membri (2).

1.3

Il CESE accoglie con favore l’approccio, adottato dalla Commissione nel Libro verde, che consiste nel perseguire politiche atte a stimolare entrambi i lati del mercato dei servizi finanziari al dettaglio: l’offerta e la domanda.

1.4

Il CESE condivide l’idea che i consumatori debbano avere l’opportunità, ogniqualvolta ciò sia possibile, di confrontare i diversi prodotti, in modo tale da poter compiere una scelta informata. A questo proposito, il CESE dà il suo pieno sostegno alla direttiva relativa ai mercati degli strumenti finanziari (MiFID) II — e nel contempo prosegue l’elaborazione del suo parere sulle recenti proposte di modifica di tale direttiva (3) — nonché al regolamento sui prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati, che richiedono una migliore trasparenza e divulgazione delle informazioni (4).

1.5

Uno degli obiettivi del Libro verde è ridurre la frammentazione del mercato dei servizi finanziari al dettaglio. In proposito, tuttavia, il CESE puntualizza che non si può affermare con assoluta certezza che le differenze nei prezzi siano dovute solamente a un fallimento del mercato all’interno dell’UE. Sul prezzo dei prodotti e dei servizi, infatti, incidono anche fattori nazionali e locali, che rendono quindi più difficile armonizzare i prezzi tra gli Stati membri. Per un consumatore, ad esempio, il premio della polizza assicurativa automobilistica potrebbe essere completamente diverso da uno Stato membro all’altro, a causa del diverso rapporto di danno che risulta dal numero di incidenti stradali o di casi di frode in ciascun paese. Analogamente, i tassi di interesse sui crediti al consumo possono variare da uno Stato membro all’altro a seconda del rispettivo livello di crediti inesigibili. Tali fattori locali sono correttamente indicati nel Libro verde, ma meritano comunque un’analisi più approfondita. Il CESE attende pertanto con vivo interesse i risultati della consultazione, e invita la Commissione a fornire ulteriori elementi che dimostrino una concorrenza insufficiente e a indicare fattori che spieghino meglio i differenziali di prezzo rilevati. La Commissione, inoltre, dovrebbe proseguire questo esame nell’ambito della valutazione d’impatto da effettuare prima delle proposte legislative previste.

1.6

Nel contempo, il CESE tiene a sottolineare che molti dei problemi segnalati nel Libro verde sui servizi finanziari al dettaglio del 2007 (5) sono ancora gli stessi constatati, a distanza di otto anni, nel Libro verde oggi in esame. In linea generale, il CESE aveva approvato il Libro verde del 2007 (6) e aveva elogiato le misure che erano state adottate per trovare delle soluzioni pratiche (7). Tuttavia, malgrado alcuni risultati positivi, i progressi sono stati limitati e i problemi che ostano al funzionamento di un mercato unico dei servizi finanziari al dettaglio rimangono irrisolti. Secondo il CESE, quindi, questa volta i risultati delle consultazioni sul Libro verde devono essere tradotti in un programma più ambizioso, che consenta di superare quegli annosi problemi.

1.7

Il Libro verde prende in considerazione una grande varietà di prodotti finanziari, e il fatto di disporre di maggiori possibilità di scelta e di maggiori opportunità non può sussistere simultaneamente per tutti i prodotti: è evidente che a ciascuno di essi dovrà essere accordata una priorità diversa e che per ciascuno di essi dovrà essere fissata una determinata tempistica. Il CESE suggerisce che i risultati del processo di consultazione siano applicati in via prioritaria ai prodotti più semplici, sui quali i fattori locali incidono in misura relativamente più lieve. In questo modo il processo di creazione di un mercato unico per i prodotti finanziari acquisterà slancio e rafforzerà la fiducia. Esempi di tali prodotti potrebbero essere i servizi di pagamento, i prodotti pensionistici paneuropei (PEPP), i conti di risparmio e le assicurazioni auto e vita; e al riguardo uno dei primi passi potrebbe essere l’applicazione del sistema bonus malus alle polizze automobilistiche in tutti gli Stati membri, trattandosi di un sistema che riduce l’incidenza dei fattori locali e lega strettamente i premi assicurativi ai profili degli assicurati. A questi primi prodotti dovrebbero poi seguire, nella tempistica prefissata, prodotti quali i mutui ipotecari, i prestiti al consumo, l’assicurazione professionale e la gestione di attivi.

1.8

Mentre il Libro verde pone l’accento perlopiù sulle tecnologie digitali, il CESE reputa che, per incrementare la domanda transfrontaliera dei prodotti in esame, si debbano considerare anche due importanti fattori:

il primo è l’educazione finanziaria, che è chiaramente un fattore cruciale per preservare la fiducia nel sistema finanziario e garantire un uso responsabile dei prodotti finanziari – e in merito il CESE ha già avuto modo di esprimere la sua posizione (8),

il secondo è la consulenza in materia finanziaria, che dev’essere disciplinata in modo appropriato a livello UE, tracciando una distinzione netta tra consulenza e commercializzazione – e a tal fine meritano una particolare attenzione anche i servizi offerti da mediatori indipendenti.

1.9

Il CESE ritiene imperativo compiere ogni sforzo per evitare di ridiscutere direttive (come la PSD II e la MCD (9)) che sono appena state adottate. Occorre dare ad esse il tempo di poter essere applicate in modo efficace, e dar prova di prudenza circa l’introduzione di nuove misure normative, sì da non regolamentare eccessivamente i mercati finanziari.

2.   L’obiettivo del Libro verde. Il lavoro già svolto dalla Commissione e dal CESE nel campo dei servizi finanziari al dettaglio

2.1

La Commissione ha pubblicato il Libro verde in esame in connessione con il Piano d’azione per la creazione dell’Unione dei mercati dei capitali (10) allo scopo di esaminare i modi in cui il mercato europeo dei servizi finanziari al dettaglio — ossia assicurazioni, mutui, pagamenti, conti correnti e di risparmio e altri prodotti d’investimento al dettaglio — possa essere ulteriormente aperto e produrre così risultati migliori per i consumatori e per le imprese, mantenendo al tempo stesso un livello adeguato di protezione dei consumatori e degli investitori, a livello sia europeo che nazionale.

2.2

Al centro del Libro verde vi è la forte preoccupazione di rispondere alle sfide della digitalizzazione, che può contribuire a fare abbassare i prezzi e a migliorare la comparabilità dei prodotti, dando così più potere ai consumatori nelle loro scelte finanziarie. Nel lungo periodo, la digitalizzazione dovrebbe permettere alle imprese di rendere i loro prodotti disponibili ovunque nell’UE, in modo che il mercato unico europeo sia più vicino a diventare realtà.

2.3

Un altro punto importante sollevato nel Libro verde riguarda i modi di rafforzare la fiducia, poiché questa è una condizione essenziale dell’espansione del mercato unico nei servizi finanziari al dettaglio; e, per raggiungere tale obiettivo, il Libro verde si concentra sui modi di rendere i servizi e i prodotti finanziari maggiormente comprensibili.

2.4

Il Libro verde, inoltre, valuta quali azioni siano possibili per aiutare il mercato unico dei servizi finanziari a migliorare in modo tangibile la vita dei cittadini nell’UE e per offrire nuove opportunità di mercato ai fornitori di tali servizi, favorendo così la crescita dell’economia europea e la creazione di posti di lavoro.

3.   Osservazioni sullo stato attuale dei mercati di servizi finanziari al dettaglio

3.1

Ad avviso del CESE, la frammentazione dei mercati dei servizi finanziari al dettaglio evidenziata nel Libro verde è dovuta all’influenza combinata di fattori nazionali e locali sui prezzi dei prodotti e dei servizi (specificità legislative, regolamentari, culturali e dei sistemi pubblici di protezione sociale), nonché a una serie di sfide poste dai mercati stessi — dal lato sia della domanda che dell’offerta — che in futuro dovranno essere affrontate.

3.2

Dal lato dell’offerta, le sfide principali sono:

le differenze ingiustificate e inutili tra le regolamentazioni — anche fiscali — nazionali, derivanti da norme di attuazione eccessive (gold plating o «sovraregolamentazione»), tradizioni e specificità nazionali, nonché altre differenze tra i vari paesi relative a fattori che incidono sui costi dell’attività d’impresa,

le difficoltà nella identificazione transfrontaliera dei clienti e dell’origine dei loro capitali,

le difficoltà nella valutazione transfrontaliera degli attivi dei clienti e nell’escussione transfrontaliera delle garanzie,

la diversità dei meccanismi giuridici vigenti negli Stati membri, in particolare in materia di escussione delle garanzie reali (ad esempio, la lunghezza delle procedure esecutive, la necessità del ricorso ad un notaio, la diversità delle norme catastali).

3.3

Dal lato della domanda, le sfide principali sono:

il fatto che i consumatori abituati a un dato livello di tutela nel proprio paese non possano fare affidamento sul medesimo livello di tutela in un altro Stato membro,

la disomogeneità dei controlli sull’osservanza dei requisiti posti dalla normativa europea,

la disparità di accesso ai meccanismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie per gli utenti di servizi finanziari nei diversi Stati membri (11),

le barriere linguistiche,

la diversità, da uno Stato membro all’altro, dei requisiti in materia di qualificazioni e competenze dei consulenti finanziari, requisiti la cui definizione è riservata alle autorità di regolamentazione nazionali. Sono pochi i consulenti finanziari competenti che forniscono consigli obiettivi, specie riguardo ad acquisti transfrontalieri.

3.4

Il CESE è d’accordo anche sul fatto che lo sviluppo della digitalizzazione crea un ambiente nuovo ed espande significativamente le opportunità di fornire nuovi servizi e di rafforzare l’attività transfrontaliera. Tuttavia, occorre prestare attenzione a che i progressi del digitale non vengano utilizzati per trarre in inganno il consumatore fornendogli informazioni sui servizi finanziari che siano troppo complesse, non pertinenti oppure difficili da confrontare.

3.5

Il CESE fa notare che l’alfabetizzazione finanziaria dei cittadini varia ancora sensibilmente da un luogo all’altro ed è relativamente scarsa rispetto a quella che si riscontra in altri paesi sviluppati quali gli Stati Uniti, l’Australia e il Canada (12). Le consulenze finanziarie prevendita non sono ben regolamentate e non garantiscono la selezione dei prodotti più adatti ai clienti, mentre i servizi professionali di consulenza finanziaria non sono sufficientemente evoluti rispetto a quelli disponibili in alcuni paesi terzi.

3.6

Le possibilità offerte dalle nuove tecnologie e dall’aumento dell’offerta — anche transfrontaliera — aprono nuove opportunità, ma comportano anche alcuni potenziali rischi. Esse potrebbero infatti comportare elevati livelli di debito e di inadempimento dei mutui ipotecari e un maggior numero di casi di insolvenza, quando i consumatori non dispongono delle conoscenze finanziarie necessarie. I consumatori che acquistano prodotti assicurativi e pensionistici online potrebbero essere a rischio, in quanto spesso non si informano in misura sufficiente e possono firmare contratti senza neanche rendersene conto (13). Pertanto, per proteggere i consumatori, le autorità di regolamentazione nazionali dovrebbero assicurarsi che le imprese che vendono prodotti finanziari online ottemperino a un «obbligo di consulenza» nei confronti dei consumatori stessi. Vi sono insomma argomenti più che sufficienti a dimostrare l’importanza di un’educazione e di una consulenza finanziarie adeguate.

3.7

I consumatori che non comprendono la nozione di interesse composto finiscono per indebitarsi di più e per dover pagare tassi di interesse e costi di transazione più elevati (14), mentre quelli che possiedono delle competenze finanziarie pianificano meglio, risparmiano di più per la pensione (15) e diversificano i rischi finanziari (16). Queste correlazioni si riscontrano anche a livello macroeconomico, dove si nota che l’alfabetizzazione finanziaria ha un considerevole effetto positivo sui risparmi e sull’accumulo di ricchezza di una nazione (17). In quest’ottica, si raccomanda vivamente di tracciare una distinzione più netta tra le attività di commercializzazione dei prodotti e quelle connesse con la vendita di essi, specie nei casi in cui venga fornita una consulenza. Quest’ultima, infatti, non dovrebbe in alcun caso essere impiegata come uno strumento di commercializzazione; e i consulenti dovrebbero essere realmente indipendenti. Le informazioni precontrattuali dovrebbero sempre essere fornite, nonché presentate in modo chiaro e completo. Il CESE è fermamente convinto che il ripristino della fiducia nei mercati di servizi finanziari, il rafforzamento dell’attività transfrontaliera e il miglioramento della portabilità dei prodotti finanziari richiedano misure mirate di alfabetizzazione dei singoli investitori e di miglioramento delle consulenze finanziarie.

4.   Risposte alle domande del Libro verde

4.1    Domande generali:

1.   Per quali prodotti finanziari una migliore offerta transfrontaliera potrebbe aumentare la concorrenza sui mercati nazionali in termini di scelta e prezzi migliori?

4.1.1

Il Libro verde contiene delle domande relative a diversi prodotti e servizi bancari e non bancari, ma esistono differenze sostanziali tra i prodotti transazionali di base (come i conti correnti o i depositi a tempo determinato) e i prodotti contrattuali (come crediti ipotecari, prodotti di risparmio e di investimento). Per quanto riguarda i prodotti di risparmio e di investimento, altri strumenti giuridici dell’UE (come la direttiva MiFID o l’iniziativa volta a creare un’Unione dei mercati dei capitali) produrranno degli effetti sul mercato quando entreranno in vigore.

4.1.2

Per tutti i prodotti esaminati nel Libro verde, l’offerta transfrontaliera è in grado di aumentare la concorrenza sui mercati nazionali. Tuttavia, quelli con il maggior potenziale, in questa fase, sono indubbiamente i prodotti pensionistici e di investimento. Il mercato di questi prodotti viene classificato, nel quadro di valutazione della Commissione, come il peggiore tra i 31 mercati al consumo (18). I prodotti pensionistici offerti sono caratterizzati da localismo e spese elevate. Se si calcolano l’inflazione, i costi di gestione e i pagamenti aggiuntivi, questi prodotti hanno spesso dei rendimenti reali negativi e mostrano risultati peggiori dei rispettivi indici di mercato (19). Per questo motivo il CESE sostiene fortemente l’idea di un mercato unico dei prodotti pensionistici e, in particolare, lo sviluppo di un prodotto pensionistico personale paneuropeo (20) che dia luogo a maggiori economie di scala, a prezzi più bassi e a una scelta più ampia per i consumatori.

4.1.3

Per quanto riguarda i prodotti assicurativi, alcuni di essi sono facilmente trasportabili — è il caso dei prodotti di assicurazione vita, in cui il cliente è protetto anche quando si trasferisce al di fuori dei confini locali — mentre altri presentano elementi disciplinati a livello locale e pertanto necessitano di adeguamenti quando gli operatori cercano di distribuirli in diversi paesi. L’articolo 11 della direttiva sulla distribuzione assicurativa (rifusione) (21) stabilisce che gli Stati membri devono istituire «un referente unico competente per fornire informazioni sulle norme di interesse generale nel rispettivo territorio», e incarica l’EIOPA di «rendere pubblicamente accessibili» tali informazioni sul suo sito Internet grazie a collegamenti ipertestuali (link) ai siti Internet delle autorità nazionali competenti sui quali le informazioni sono pubblicate. Anche così, inoltre, la piena circolazione transfrontaliera non sarà ancora possibile — o persino auspicabile — se si considerano le esigenze reali dei clienti che sono soddisfatte dai prodotti e le differenze nel comportamento e nei fattori di rischio che influiscono sulle condizioni dei prodotti stessi. Il CESE è favorevole a soluzioni che contribuiscano a mitigare l’assenza di portabilità dei prodotti, e suggerisce che, in alcuni casi, si potrebbero trovare almeno delle soluzioni parziali, quali ad esempio la possibilità, per i titolari di polizze, di pagare soltanto una differenza per la maggiore copertura assicurativa eventualmente fornita in un altro Stato membro.

2.   Quali sono gli ostacoli che impediscono alle imprese di fornire direttamente servizi finanziari transfrontalieri e ai consumatori di acquistare prodotti direttamente a livello transfrontaliero?

4.1.4

Le principali barriere dal lato dell’offerta sono elencate al punto 3.2. Per abbattere tali barriere, è necessario:

semplificare le procedure giuridiche transfrontaliere finalizzate all’esecuzione efficace delle decisioni giudiziarie,

adottare norme e/o principi comuni in materia di:

identificazione dei clienti in linea con i requisiti per il riconoscimento dei clienti e per la prevenzione del riciclaggio di denaro,

identificazione delle imprese in base alle modalità con cui queste svolgono la loro attività oppure, in alternativa, per l’identificazione adeguata dei beneficiari finali,

contratti online relativi a prodotti finanziari (ad esempio acquisto in contanti di quote di fondi, azioni ecc.),

commercializzazione e pubblicizzazione di prodotti e servizi finanziari (specialmente nel caso di campagne pubblicitarie aggressive),

società distributrici che forniscono direttamente i prodotti ai clienti (ad esempio, prodotti assicurativi),

requisiti comuni in materia di informazione minima ai fini dell’accertamento dell’origine dei capitali,

trasparenza/comparabilità: informativa minima standardizzata riguardo a prodotti e servizi (che fornisca informazioni non solo sui costi a carico del consumatore, ma anche sui benefici per quest’ultimo),

tener conto delle barriere fiscali, che devono essere prese in considerazione soprattutto per i prodotti di risparmio e investimento, dato che tali barriere possono avere un forte impatto sulla loro redditività. Molti prodotti, ad esempio, vengono sviluppati per trarre vantaggio dalle opportunità create dalle autorità di regolamentazione fiscale per incoraggiare specificamente il risparmio (privilegiando in genere il risparmio a lungo termine, anche se le soglie o i veicoli che beneficiano di questo trattamento favorevole variano notevolmente da un paese all’altro),

garantire una comunicazione al regolatore del paese ospitante, da parte del regolatore del paese di origine, sufficiente a evitare l’imposizione di requisiti od oneri supplementari, mantenendo nel contempo il livello stabilito di tutela dei consumatori (ad esempio riguardo ai prodotti assicurativi). Inoltre, bisognerebbe intervenire per evitare le situazioni in cui i fornitori di servizi devono sostenere costi aggiuntivi per conformarsi alle normative locali.

4.1.5

Le principali barriere dal lato della domanda sono elencate al punto 3.3.

3.   È possibile superare tali ostacoli in futuro attraverso la digitalizzazione e l’innovazione nel settore delle fintech?

4.1.6

Le nuove tecnologie, e in particolare la digitalizzazione, offrono per la prima volta la possibilità di imprimere una svolta decisiva all’offerta transfrontaliera di prodotti finanziari. Esse potrebbero infatti contribuire in misura considerevole ad aumentare la quantità e migliorare la qualità delle informazioni fornite, ad accrescere la trasparenza e la comparabilità dei prodotti e a rendere più agevole l’identificazione dei clienti. Le nuove tecnologie, inoltre, eliminando la necessità di mantenere punti di contatto fisici, potrebbero offrire benefici in termini di risparmio sui costi. Nel contempo, però, esse non possono far venir meno la necessità di superare altri gravi ostacoli quali l’insufficiente livello di armonizzazione dei regimi giuridici e in particolare della tutela dei consumatori.

4.   Cosa si può fare per garantire che la digitalizzazione dei servizi finanziari non si traduca in una maggiore esclusione finanziaria, in particolare per chi non ha familiarità con il mondo digitale?

4.1.7

Non vi è dubbio che in futuro vi saranno ancora delle persone che, per un motivo o per l’altro, non saranno in grado di utilizzare le tecnologie digitali. Ciò non significa, tuttavia, che si debba rinunciare a incoraggiare l’uso di queste tecnologie per l’offerta dei prodotti finanziari. Da un lato, infatti, le tradizionali forme di offerta di tali prodotti saranno disponibili ancora per molto tempo, e dall’altro l’accesso di tali persone a una più ampia categoria di prodotti potrà essere garantito anche in virtù di servizi di consulenza finanziaria ben regolati.

5.   Quale approccio bisognerebbe adottare se le opportunità presentate dalla crescita e dalla diffusione delle tecnologie digitali generassero nuovi rischi per la protezione dei consumatori?

4.1.8

L’ampia diffusione delle tecnologie digitali sicuramente porrà di fronte a determinate sfide per la sicurezza dell’informazione, la protezione dei dati personali e la tutela dei consumatori. Pertanto, accanto alle diverse normative che disciplinano l’offerta — e la domanda — di prodotti finanziari attraverso tali tecnologie, si dovrebbero valutare i rischi derivanti da queste sfide e offrire le soluzioni adeguate per ridurli al minimo.

6.   I clienti hanno accesso a prodotti finanziari comprensibili, semplici e sicuri in tutta l’Unione europea? In caso contrario, cosa si può fare per rendere possibile tale accesso?

4.1.9

Non esiste una definizione comunemente accettata di prodotti finanziari «comprensibili, semplici e sicuri». Tuttavia, generalmente si ritiene che, per essere tali, i prodotti debbano soddisfare condizioni quali la trasparenza dei prezzi, l’adeguatezza e la comprensibilità delle informazioni, che devono essere fornite nella lingua dell’utente, la comparabilità con prodotti analoghi, la chiarezza dei meccanismi e la semplicità dei risultati. Condizioni, queste, non facilmente realizzabili in un mondo complesso come il mercato finanziario.

4.1.10

Prodotti con siffatte caratteristiche, quantomeno se intese in senso stretto, sono raramente disponibili sui mercati e quindi non facilmente accessibili ai consumatori. E ciò vale tanto per i paesi in cui i mercati finanziari sono molto sviluppati, quanto per quelli in cui lo sono meno. La grande varietà dei prodotti disponibili in alcuni Stati membri non rappresenta necessariamente un vantaggio per i consumatori, poiché anzi può ingenerare confusione, rendere loro più difficile scegliere e quindi portarli a compiere scelte sbagliate.

4.1.11

L’accesso a prodotti dotati delle caratteristiche auspicate può essere garantito definendo, a livello europeo, una categoria di prodotti finanziari «di base» (22) che rispondano a determinati requisiti standard in funzione delle esigenze che sono intesi a soddisfare. Tali prodotti dovrebbero essere certificati e recare una denominazione specifica in modo da essere facilmente riconoscibili dai consumatori. In una categoria siffatta potrebbero rientrare prodotti di utilizzo comune quali i vari tipi di conti di risparmio e di assicurazioni sulla vita a termine fisso; e, se si considera il tasso relativamente elevato di commercializzazione transfrontaliera degli OICVM, vi è motivo di attendersi che il nuovo prodotto pensionistico personale paneuropeo standardizzato (PEPP) possa essere creato sulla base degli stessi fattori che hanno garantito il successo degli OICVM ed essere incluso in questa medesima classe. L’esistenza di una tale categoria di prodotti farebbe crescere la fiducia nei mercati finanziari.

7.   L’attuazione in tutta l’Unione di norme UE in materia di servizi finanziari al dettaglio rappresenta un problema per la fiducia dei consumatori e l’integrazione del mercato?

4.1.12

In molti paesi sono stati riscontrati una regolamentazione interna eccessiva che si sovrappone a quella europea (il cosiddetto gold-plating  (23)), interpretazioni divergenti delle normative europee, ritardi nell’armonizzazione e differenze nelle pratiche di trasposizione della legislazione europea in quella nazionale come anche nella sua applicazione, che danno luogo a requisiti e oneri amministrativi eccessivi. Tutto ciò ostacola l’integrazione e influisce negativamente sulla fiducia dei consumatori.

4.1.13

Le autorità di vigilanza dell’UE (AEV) hanno l’incarico di tutelare i consumatori. Il CESE incoraggia lo svolgimento di tale compito nel rispetto dei seguenti principi:

la mobilità del consumatore tra i diversi fornitori non dovrebbe essere uno scopo assoluto, bensì dipendere sempre dalla scelta del consumatore, che è determinata da una serie di fattori diversi: qualità e varietà dei prodotti e servizi offerti, potenziale complementarità delle offerte, livello di soddisfazione ecc.,

le pratiche di vendita abbinata di prodotti finanziari preassemblati dovrebbero essere esercitate con cautela, e i clienti dovrebbero ricevere informazioni chiare e trasparenti. Quando si offrono prodotti di questo tipo, se ne deve garantire la tracciabilità (24).

4.1.14

Infine, le AEV devono dare sempre la preferenza alle pratiche che risultano migliori per i clienti. Le priorità devono essere:

ridurre la complessità dell’attuale quadro normativo,

assicurare alle AEV le risorse necessarie per svolgere le proprie attività,

promuovere una migliore alfabetizzazione finanziaria dei consumatori.

8.   Occorre considerare altre prove o altri sviluppi in relazione alla concorrenza e alle scelte, a livello transfrontaliero, nell’ambito dei servizi finanziari al dettaglio?

4.1.15

Il Libro verde comprende bene le tendenze attualmente dominanti, ossia una debole concorrenza transfrontaliera nel settore dei servizi finanziari al dettaglio e una scelta limitata di prodotti finanziari per i consumatori.

4.2    Aiutare i consumatori nell’acquisto di prodotti finanziari a livello transfrontaliero.

4.2.1   Far sì che essi conoscano l’offerta disponibile.

4.2.1.1

Fornire ai consumatori informazioni migliori e aiutarli nel processo di cambiamento.

9.   Quale sarebbe il canale più idoneo per sensibilizzare i consumatori circa i diversi servizi finanziari al dettaglio e prodotti assicurativi disponibili in tutta l’Unione?

4.2.1.1.1

È indubbiamente essenziale migliorare l’alfabetizzazione finanziaria e l’accessibilità della consulenza finanziaria: i consumatori dovrebbero non solo disporre di informazioni accessibili, ma anche essere in grado di comprenderle o, in alternativa, di avere accesso a servizi di consulenza corretti e di qualità.

4.2.1.2

Nonostante la crescente tendenza dei consumatori a ricorrere ai servizi digitali per reperire informazioni, una gran parte di essi continua a preferire un contatto personale soprattutto durante la trattativa sui prodotti. Tuttavia, dato lo stato attuale delle conoscenze, dei comportamenti e delle preferenze del consumatore, le banche potrebbero concepire canali più adatti per migliorare la conoscenza dei consumatori in materia di servizi finanziari – ad esempio, un sito web per tutta l’UE specificamente rivolto ai consumatori. Quanto alle fonti di finanziamento di un siffatto sito web, esse andrebbero discusse ulteriormente, ma al riguardo si potrebbero unire gli sforzi delle amministrazioni nazionali, degli enti locali e di altri aggregatori di dati. Nel creare un tale strumento, bisognerà tener conto del fatto che i comparatori di prodotti assicurativi si collocano principalmente in un contesto di comprensione culturale nazionale. Sarà pertanto molto difficile, per un comparatore di prodotti assicurativi unico per tutta l’UE, riuscire a rispondere efficacemente alla diversità degli utilizzatori/clienti europei, e ciò specialmente quando la comparazione riguardi il rischio che l’assicurazione è intesa a coprire, rischio che è necessariamente legato a un determinato contesto (culturale, giuridico, fiscale, sociale ecc.) nazionale e locale.

10.   Cos’altro si può fare per agevolare la distribuzione transfrontaliera dei prodotti finanziari mediante intermediari?

4.2.1.2.1

Il CESE appoggia gli interventi intesi a rendere il mercato più efficiente, flessibile e trasparente, e approva il fatto che l’iniziativa normativa in esame sia incentrata su una migliore tutela dei consumatori. Considera che una migliore qualità dei servizi che accompagnano la prestazione di servizi finanziari potrebbe essere ottenuta anche utilizzando meglio i vantaggi dati dalla digitalizzazione e sfruttando il potenziale offerto da diversi intermediari, con personale ben formato e qualificato e una metodologia adeguata per fornire un’informazione completa, obiettiva e comparabile per la scelta del consumatore.

11.   Occorrono ulteriori interventi per incoraggiare la comparabilità e/o agevolare il passaggio a servizi finanziari al dettaglio da parte di fornitori con sede nello stesso Stato membro o in un altro Stato membro? In caso affermativo, che tipo di interventi e per quali segmenti di prodotti?

4.2.1.2.2

L’informazione fornita deve essere precisa, comprensibile e significativa per gli utenti. Occorre evitare di sommergere i consumatori di informazioni oppure di semplificare eccessivamente la realtà al fine di enfatizzare il maggiore rendimento di un prodotto. Un buon esempio in tal senso è la pratica, seguita nel Regno Unito, consistente nel cambiare il fornitore dei servizi finanziari, dove l’accuratezza del cambio tra la banca mandante e quella ricevente è garantita da un terzo soggetto indipendente, il quale si assicura, entro sette giorni lavorativi, che il processo si svolga in modo semplice e trasparente per il consumatore. Un’altra buona pratica è costituita dalla portabilità dei mutui ipotecari, introdotta nel 2006 in Italia (25).

4.2.1.3

Affrontare il problema delle spese complesse e proibitive delle transazioni estere.

12.   Cos’altro si può fare a livello di UE per affrontare il problema di commissioni eccessive applicate sui pagamenti transfrontalieri (ad esempio bonifici) con valute diverse all’interno dell’Unione?

4.2.1.4

Il regolamento UE n. 924/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio (26) ha già eliminato le differenze tra le commissioni applicabili ai pagamenti transfrontalieri in euro e quelle per i corrispondenti pagamenti in euro a livello nazionale. Si potrebbe condurre una valutazione ad hoc per verificare se l’applicazione di tale disposizione a tutte le valute all’interno dell’UE (ossia l’allineamento delle commissioni transfrontaliere e di quelle nazionali per i pagamenti in una determinata valuta) sarebbe opportuna e apporterebbe benefici ai consumatori. Per quanto riguarda le informazioni da fornire all’utente di servizi di pagamento, ai sensi della nuova direttiva in materia (seconda direttiva sui servizi di pagamento — 2nd Payment Service Directive — PSD2) (27) i prestatori di tali servizi sono tenuti ad informare l’utente, prima che questi sia vincolato da un contratto o un’offerta, su «tutte le spese dovute dall’utente al suo prestatore di servizi di pagamento» nonché — nel caso in cui l’operazione implichi una conversione valutaria — sul «tasso di cambio effettivo o di riferimento da applicare all’operazione di pagamento». La medesima direttiva detta disposizioni analoghe anche riguardo alle informazioni che i prestatori di servizi di pagamento sono tenuti a fornire al pagatore e al beneficiario una volta che l’operazione è stata eseguita. Il CESE ritiene che non siano necessarie ulteriori iniziative, dato che la PSD2 pone già chiari requisiti di trasparenza per i prestatori di servizi di pagamento. Inoltre, l’applicazione del suddetto regolamento relativo ai pagamenti transfrontalieri potrebbe essere estesa ad altre valute diverse dall’euro all’interno dell’UE.

13.   Oltre agli obblighi di informativa esistenti  (28) , occorrono ulteriori interventi per garantire che i consumatori siano a conoscenza delle commissioni di conversione della valuta addebitate loro per le transazioni transfrontaliere?

4.2.1.5

Il CESE ritiene che la PSD2 ponga chiari requisiti di trasparenza che consentiranno sia ai pagatori che ai beneficiari di essere debitamente informati sul tasso di cambio applicato prima e dopo l’esecuzione di un’operazione transfrontaliera. La direttiva deve essere recepita nel diritto nazionale entro il 13 gennaio del 2018, per cui non sono necessarie ulteriori iniziative.

4.2.2   Accedere ai servizi finanziari da tutta Europa.

14.   Cosa si può fare per limitare la discriminazione immotivata basata sulla residenza nel settore finanziario al dettaglio, compreso il settore assicurativo?

L’offerta di servizi finanziari al dettaglio oltre confine è difficoltosa e può rivelarsi economicamente svantaggiosa per gli operatori interessati. Le differenze culturali tra consumatori per quanto concerne la propensione al rischio, il comportamento, l’esperienza e l’alfabetizzazione finanziaria potrebbero risultare troppo rilevanti. Le banche sono ben consapevoli del fatto che la fiducia è un aspetto chiave delle relazioni finanziarie, ragion per cui possono preferire l’instaurazione di rapporti con clienti che condividono le loro conoscenze e hanno aspettative da loro comprensibili. In ogni caso, l’armonizzazione delle norme elencate nella risposta alla domanda n. 2 potrà essere di grande aiuto in questo senso.

4.2.2.1

Per gli assicuratori, la residenza è un aspetto importante da considerare perché:

nel decidere, ad esempio, in merito alle condizioni e alle tariffe dell’assicurazione sulla casa, è necessario tener conto di fattori locali quali il clima o la sismicità. In mancanza di una determinata massa critica, è impossibile fornire servizi in maniera redditizia, e i modelli attuariali presentano un notevole margine di errore quando il numero degli eventi utilizzati per i calcoli non è sufficientemente elevato; inoltre, nella copertura dei rischi attraverso la riassicurazione, i modelli riassicurativi assegnano alla copertura prezzi diversi a seconda della località.

Questi elementi fanno sì che l’offerta di servizi e prodotti assicurativi oltre confine sia oggettivamente più difficile che nei paesi in cui vi è un volume sufficiente di operazioni – ragion per cui nella considerazione di tali elementi non bisognerebbe ravvisare una discriminazione basata sulla residenza del cliente.

La prestazione transfrontaliera di determinati prodotti assicurativi è molto difficile, ed anzi quasi impossibile nei casi in cui le esigenze reali dei clienti che i prodotti sono intesi a soddisfare dipendono in larga misura da specificità culturali e da differenze nel comportamento e nei fattori di rischio determinate esclusivamente a livello nazionale.

Ai fini della prestazione di questi servizi, inoltre, occorrerebbe tenere conto anche dell’aspetto psicologico. In concreto, infatti, il servizio di assicurazione viene prestato in un momento di difficoltà per l’assicurato. In una tale circostanza, è prevedibile che il cliente abbia bisogno di sostegno e comprensione. Se ha stipulato un contratto per il prodotto assicurativo su Internet con una compagnia che ha sede all’estero e che magari utilizza una lingua diversa dalla sua, il cliente potrebbe provare un senso di insicurezza nel momento in cui ha bisogno di questo sostegno.

In alcuni Stati membri, poi, i clienti tendono a preferire il risarcimento per equivalente del danno subito, mentre in altri Stati membri preferiscono il risarcimento in forma specifica.

4.2.2.2

Aumentare la portabilità dei prodotti.

15.   Che cosa si può fare a livello di UE per agevolare la portabilità dei prodotti finanziari al dettaglio, ad esempio, le assicurazioni sulla vita e le assicurazioni sanitarie private?

4.2.2.2.1

In linea di massima, i prodotti assicurativi che offrono una rendita o il versamento di un capitale sarebbero più facilmente trasferibili rispetto a quelli che forniscono un servizio o la gestione delle richieste di indennizzo.

4.2.2.2.2

I prodotti assicurativi vita sono già portabili, seppure entro certi limiti, nel senso che l’assicurato è coperto durante i suoi viaggi all’estero, tranne nel caso in cui si rechi in paesi ad alto rischio. L’assicurazione sulla vita stipulata in un determinato luogo garantisce copertura al cliente a prescindere dalla sua ubicazione. Ma resta ancora il caso in cui il titolare della polizza si sposti in un altro paese non per viaggiare ma per risiedervi in via permanente. In una situazione di questo tipo, l’assicurato dovrebbe poter mantenere la sua polizza, adeguandone il premio o la copertura. In tutti questi casi si tratterebbe di prodotti assicurativi intesi a erogare una determinata somma di denaro.

4.2.2.2.3

I prodotti assicurativi di altro tipo non sono di per sé facilmente portabili, in quanto le loro condizioni sono intrinsecamente legate ad elementi specifici di un determinato paese. Ad esempio, nel caso dell’assicurazione sanitaria, la configurazione e la tariffazione del prodotto dipendono in larga misura dalla copertura fornita dal sistema sanitario pubblico del paese in cui viene stipulata la polizza.

4.2.2.2.4

A questo proposito si pone anche una questione di scala: adeguare il prodotto specificamente per il cliente alle effettive condizioni di cui potrebbe aver bisogno quando vive all’estero è teoricamente possibile, ma comporterebbe la rinuncia alla possibilità di realizzare economie di scala. Il prodotto sarebbe eccessivamente personalizzato per il suo caso specifico, e il soggetto che lo fornisce risulterebbe meno competitivo rispetto agli operatori effettivamente «locali». In questo caso, la soluzione migliore sarebbe quella di promuovere la cooperazione tra compagnie di assicurazione presenti in più paesi europei.

4.2.2.3

Un altro caso di prodotti assicurativi che forniscono servizi è quello dell’assicurazione sulla casa e sull’automobile. Per i prodotti che offrono copertura per la riparazione di un danno o in caso di sinistro automobilistico, è necessario che la compagnia di assicurazione abbia stipulato accordi con fornitori di servizi in tutto il paese, il che richiede una certa scala per essere sostenibile sul piano commerciale. Tuttavia, un’opzione praticabile consiste nel promuovere la cooperazione con compagnie (di assicurazione) locali per offrire tale servizio anche in altri paesi.

4.2.2.4

Agevolare l’accesso e il riconoscimento dell’assicurazione di responsabilità professionale a livello transfrontaliero.

16.

Cosa si può fare a livello di UE per agevolare l’accesso per i fornitori di servizi all’assicurazione di responsabilità professionale obbligatoria e il relativo riconoscimento transfrontaliero?

4.2.3

Un modo per consentire l’accesso all’assicurazione di responsabilità professionale obbligatoria su base transfrontaliera sarebbe quello di armonizzarne gli importi e le condizioni.

4.2.3.1

Avere fiducia per trarre vantaggio dalle opportunità offerte in altri paesi europei.

4.2.3.2

Agevolare l’accesso e il riconoscimento dell’assicurazione di responsabilità professionale a livello transfrontaliero.

17.   Occorrono ulteriori interventi a livello di UE per migliorare la trasparenza e la comparabilità dei prodotti finanziari (in particolare mediante soluzioni digitali) al fine di rafforzare la fiducia dei consumatori?

4.2.3.2.1

Uno dei possibili strumenti utili per rendere i consumatori più consapevoli è costituito, ad avviso del CESE, dai siti web indipendenti che forniscono informazioni sui singoli prodotti e servizi, consentendone il confronto, offerti dai diversi prestatori nei vari Stati membri. Il CESE appoggia con forza l’idea di realizzare un sito web ufficiale dedicato, gestito da un amministratore designato a livello legislativo, con gli operatori tenuti ad aggiornare periodicamente essi stessi le informazioni relative alla rispettiva offerta, oppure attraverso una rete creata da organizzazioni di consumatori negli Stati membri. Si potrebbero anche collegare diversi siti web in un sistema interconnesso, decentralizzato.

Quando le soluzioni digitali vengono utilizzate a scopo comparativo, le piattaforme devono fornire informazioni chiare riguardo alla comparazione di prodotti equivalenti e ai possibili rischi del loro utilizzo per i consumatori. Quando le differenze sono più numerose di quelle comparabili mediante la piattaforma (le piattaforme si concentrano di solito soprattutto sul prezzo), le caratteristiche che non vengono comparate devono essere indicate chiaramente. E devono essere elencate anche tutte le condizioni significative ai fini della differenziazione dei prodotti. I consumatori dovrebbero essere avvisati in modo chiaro circa i rischi che l’uso delle piattaforme di comparazione può comportare (rischi connessi, ad esempio, all’aggregazione dei loro dati personali).

4.2.3.2.2

Infine, la comparazione dovrebbe basarsi su parametri significativi e non essere fuorviante. L’utilizzo dei dati personali va assolutamente limitato al minimo necessario per offrire un valore aggiunto ai consumatori, mentre le informazioni fornite devono essere chiare e facilmente comprensibili.

4.2.3.3

Migliorare gli strumenti di ricorso per i servizi finanziari al dettaglio.

18.   Occorre adottare misure per accrescere la sensibilizzazione dei consumatori nei confronti della FIN-NET e la relativa efficacia nel contesto dell’attuazione della direttiva sulla risoluzione alternativa delle controversie?

4.2.3.3.1

La risoluzione extragiudiziale delle controversie è una procedura notevolmente più flessibile del procedimento giudiziario: più economica, più rapida e con assai minori formalità. Una tale procedura è particolarmente utile proprio a livello internazionale; e, poiché si desidera che l’offerta e la domanda di servizi finanziari transfrontalieri aumentino, il ruolo della FIN-NET dovrebbe essere rafforzato. Purtroppo, in questa fase la consapevolezza dei consumatori riguardo alle possibilità offerte dalla FIN-NET è relativamente bassa, e occorrerebbe adottare misure per migliorare questa situazione. Inoltre, non tutti gli Stati membri dell’UE — soltanto 22 su 28 — sono anche membri della FIN-NET (29). Se la situazione dovesse rimanere tale, è evidente che la FIN-NET non potrà essere utilizzata come un’infrastruttura che agevoli la creazione di un mercato unico dei servizi finanziari. Al riguardo dovrebbero essere prese in attenta considerazione le possibilità offerte dall’introduzione di un obbligo normativo in tal senso.

19.   I consumatori hanno un accesso idoneo ai risarcimenti finanziari in caso di vendita fraudolenta di prodotti finanziari al dettaglio e assicurazioni? In caso negativo, come si può intervenire per garantire detto accesso?

4.2.3.3.2

Nella maggioranza dei casi, un tale accesso non esiste. Il concetto di vendita fraudolenta risulta ancora poco compreso e trova una limitata applicazione pratica a causa della sua formulazione poco chiara e della scarsa esperienza in materia delle autorità di regolamentazione (30). I test per determinare l’idoneità dei prodotti finanziari per i consumatori sono, per molti aspetti, puramente formali e non conducono alla scelta dei prodotti più adatti per loro.

4.2.3.3.3

Se si vuol garantire l’accesso ai risarcimenti pecuniari, occorre introdurre una definizione univoca, precisa e applicabile nella pratica di «vendita fraudolenta» e adottare una prassi normativa paneuropea che sanzioni le vendite di questo tipo (31).

4.2.3.4

Tutela delle vittime in caso di assicuratori di autoveicoli insolventi.

20.   Occorre intervenire per garantire che le vittime di incidenti stradali siano coperte da fondi di garanzia di altri Stati membri qualora la compagnia assicurativa divenga insolvente?

4.2.3.5

Un esempio di buona pratica in questo campo proviene dalla Spagna: in quel paese, infatti, un apposito organismo denominato «Consorcio de Compensación de Seguros» funge da assicuratore nel caso in cui nessuna compagnia assicurativa abbia accettato di coprire il rischio o possa comunque erogare l’indennizzo (ad esempio in caso di insolvenza, e sempre in via sussidiaria). La garanzia offerta da questo organismo è applicabile esclusivamente ai soggetti spagnoli. Al fine di garantire che le vittime di incidenti stradali beneficino dello stesso livello di copertura, la Commissione europea dovrà chiedere a tutti gli Stati membri un sistema di garanzia analogo. Si potrebbe considerare di estendere un simile strumento su scala europea ai paesi in cui esso non esiste.

4.2.3.6

Aumentare la trasparenza e la comparabilità delle assicurazioni accessorie.

21.   Quali ulteriori misure possono essere adottate per migliorare la trasparenza sui prodotti assicurativi accessori e per garantire che i consumatori possano compiere decisioni informate prima di acquistare tali prodotti? Nel settore del noleggio auto, occorre adottare misure specifiche in merito ai prodotti opzionali?

4.2.3.6.1

La nuova direttiva sulla distribuzione assicurativa (32) ha rafforzato gli obblighi di trasparenza nelle informazioni per i distributori di prodotti assicurativi, e in particolare — sebbene con talune restrizioni (soglia) — per gli intermediari di prodotti assicurativi accessori. Inoltre, nel 2015 cinque grandi società di autonoleggio si sono impegnate a migliorare i loro siti web per informare meglio i consumatori sui prodotti assicurativi e le coperture opzionali. Queste iniziative rappresentano dei passi avanti positivi. Gli Stati membri avranno tempo fino al 23 febbraio 2018 per recepire la direttiva sulla distribuzione assicurativa, ed è quindi troppo presto per capire se siano necessarie ulteriori misure. Allo stesso tempo è opportuno che la Commissione verifichi se le società di autonoleggio abbiano tenuto fede ai loro impegni, non soltanto per quanto riguarda i prodotti assicurativi, e consideri ulteriori misure volte a rafforzare la trasparenza e a prevenire un danno per i consumatori.

4.2.3.6.2

Nel caso del settore dell’autonoleggio, è importante tenere conto del fatto che i requisiti dei prodotti assicurativi aggiuntivi sono spesso differenziati in funzione del profilo di rischio della persona che noleggia il veicolo (in genere collegato a un limite della carta di credito) o a seconda della proporzione di sinistri automobilistici o di altre caratteristiche del mercato dello Stato membro. In ogni caso, le informazioni precontrattuali e gli sforzi volti a fornire diverse offerte comparabili sono importanti per i consumatori, ragion per cui sarebbe opportuno attendere che sia data piena attuazione ai requisiti di questa direttiva prima di valutare se siano necessarie ulteriori misure.

4.3    Creare nuove opportunità di mercato per i fornitori.

4.3.1   Affrontare le sfide e cogliere le opportunità offerte dalla digitalizzazione.

4.3.1.1

Aiutare le imprese a fare buon uso della digitalizzazione.

22.   Cosa si può fare a livello di UE per aiutare le imprese a creare e fornire servizi finanziari digitali innovativi in tutta Europa, con adeguati livelli di sicurezza e protezione dei consumatori?

4.3.1.1.1

Il CESE accoglie con favore il fatto che vengano promossi servizi finanziari digitali innovativi in tutta Europa. Osserva però che le banche sono i principali fornitori di servizi finanziari e che anch’esse devono essere incoraggiate a cogliere attivamente le opportunità offerte dalla rivoluzione digitale. A tal fine, esse devono essere soggette alle stesse norme valide per i loro concorrenti che offrono servizi analoghi, e ciò comporta la necessità di sottoporre a revisione gli elementi fondamentali della regolamentazione bancaria nella maggior parte dei settori, affinché siano garantite condizioni eque di concorrenza in termini di:

requisiti prudenziali,

fornitura dei servizi di pagamento,

applicazione dei requisiti relativi alle procedure di identificazione del cliente e alla prevenzione del riciclaggio di denaro,

raccomandazioni riguardanti la sicurezza durante l’esecuzione dei pagamenti,

livello avanzato di sicurezza elettronica.

4.3.1.2

Abilitare la firma e la verifica dell’identità elettroniche.

23.   Occorrono ulteriori interventi per migliorare l’applicazione della normativa antiriciclaggio a livello di UE, in particolare per garantire che i fornitori di servizi possano identificare i clienti a distanza mantenendo le norme del quadro attuale?

4.3.1.2.1

Esistono tuttora molte differenze tra il quadro normativo sull’identificazione elettronica e i requisiti per l’identificazione del cliente e la prevenzione del riciclaggio di denaro. Le normative vigenti richiedono l’identificazione e la valutazione personali del cliente affinché questi sia accettato su base permanente. Requisiti simili limitano lo sviluppo di servizi finanziari pienamente digitalizzati, ponendo significativi ostacoli all’accettazione di nuovi consumatori e determinando un aumento dei costi.

4.3.1.2.2

Occorrono ulteriori interventi per rimediare all’assenza di un meccanismo paneuropeo per l’identificazione e la firma elettroniche nell’UE a causa delle differenze nelle prassi nazionali: benché la normativa fissi principi comuni in materia di firma elettronica negli Stati membri, il modo in cui tali principi vengono applicati a livello nazionale dagli operatori locali impedisce il riconoscimento transfrontaliero delle firme digitali; gli operatori digitali locali non sono interconnessi, e ciò limita la loro capacità di offrire ai consumatori europei servizi finanziari interamente digitalizzati.

24.   Occorrono ulteriori interventi per promuovere l’adozione e l’impiego dell’identificazione e delle firme elettroniche nei servizi finanziari al dettaglio, comprese le norme di sicurezza?

4.3.1.2.3

Sì, occorrono ulteriori interventi per quanto riguarda:

il sostegno alla creazione di agenzie di certificazione indipendenti che verifichino l’identità dei clienti di servizi digitali e conducano indagini per l’identificazione personale del cliente,

il chiarimento degli aspetti contraddittori tra le regole in materia di identificazione digitale, e le procedure di prevenzione del riciclaggio di denaro e di identificazione personale dei clienti,

l’avvio di una cooperazione tra le imprese finanziarie e le autorità europee e nazionali per l’elaborazione di principi comuni, in materia di identificazione digitale delle firme, che possano essere applicati sia dalle amministrazioni pubbliche che dalle imprese finanziarie,

la considerazione della possibilità di adottare un’identificazione e una firma digitali europee uniformi, che eventualmente diventino la base dell’identificazione dei consumatori anche da parte degli istituti finanziari.

4.3.1.3

Migliorare l’accesso e la fruibilità dei dati finanziari.

25.   A Suo avviso, quali dati occorrono per valutare l’affidabilità creditizia?

4.3.1.3.1

Benché vi sia accordo di principio riguardo a quali aspetti della situazione finanziaria dei clienti debbano essere considerati al fine di valutarne l’affidabilità creditizia, i creditori si affidano al proprio giudizio di esperti e a metodologie interne di valutazione e gestione per ogni singola richiesta. Bisognerebbe evitare di adottare misure che obblighino le banche a condividere le informazioni da esse acquisite riguardanti l’affidabilità creditizia dei propri clienti. Allo stesso tempo, i dati grezzi (non ancora elaborati) potrebbero essere condivisi, con il consenso del cliente interessato e nel rispetto delle norme UE in materia di protezione dei dati. Ciò migliorerebbe la comparabilità della valutazione dell’affidabilità creditizia.

26.   Il maggiore uso di dati personali di natura finanziaria e non da parte delle imprese (incluse quelle tradizionalmente non finanziarie) necessita di ulteriori interventi per favorire l’offerta di servizi o per garantire la tutela dei consumatori?

4.3.1.3.2

Gli istituti finanziari si sforzano di acquisire una maggiore familiarità con il comportamento dei consumatori, in modo da poter diversificare e personalizzare i prodotti e i servizi in maniera più efficace. Ciononostante, non esistono regole chiare sui modi in cui i dati raccolti devono essere utilizzati, neanche quando i consumatori hanno dato il loro consenso al riguardo. Il CESE reputa opportuno garantire una maggiore chiarezza riguardo all’applicabilità delle norme in questo campo, in modo da proteggere i consumatori e nel contempo offrire loro la possibilità di trarre vantaggio dalle innovazioni finanziarie.

27.   Occorre rafforzare i requisiti circa il formato, il contenuto o l’accessibilità dei registri assicurativi dei sinistri (ad esempio in merito al periodo coperto o al contenuto) per garantire che le imprese siano in grado di fornire servizi transfrontalieri?

4.3.1.3.3

I registri assicurativi contengono dati personali sensibili dei clienti. Una compagnia di assicurazione sulla casa non può trasmettere tali informazioni ad altre parti interessate, ma solo al cliente vero e proprio. Spetta poi al cliente fornire la sua storia assicurativa a una nuova compagnia di assicurazione. Questo non significa creare un ostacolo ai servizi transfrontalieri, dato che il cliente può portare il suo registro assicurativo in un altro paese di sua scelta. Allo stesso tempo, la Commissione, in collaborazione con l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), dovrebbe studiare modalità intese a promuovere la standardizzazione degli scambi dei registri dei sinistri tra le compagnie assicurative e l’accettazione dei reciproci sistemi di bonus-malus.

4.3.1.4

Favorire l’offerta di servizi post-vendita.

28.   Occorrono ulteriori interventi per aiutare le imprese a fornire servizi post-contrattuali in un altro Stato membro senza una filiale o succursale?

4.3.1.4.1

I servizi post-contrattuali forniti in un altro Stato membro non dovrebbero differenziarsi da quelli forniti nel paese in cui sono disponibili i relativi prodotti. Ciò significa che, nell’offerta transfrontaliera dei prodotti finanziari, il prodotto e i relativi servizi post-contrattuali andrebbero considerati come parti integranti di un unico servizio. Occorre assicurarsi che questo principio sia rispettato, altrimenti i consumatori subiranno un trattamento diseguale. È importante che le autorità di regolamentazione competenti vigilino sul rispetto di questo principio.

4.3.1.4.2

Le piattaforme che sostengono le imprese (aziende) nell’offerta transfrontaliera dei loro prodotti dovrebbero includere anche sezioni adibite ai servizi post-contrattuali. Un modo concreto di mettere le imprese in condizione di offrire tali servizi post-contrattuali consiste nell’incoraggiarle a raggrupparsi e a lavorare insieme per ottenere dimensioni di scala sufficienti.

4.3.1.5

Convergenza delle procedure per insolvenza delle persone fisiche, valutazione immobiliare ed escussione delle garanzie.

29.   Occorrono ulteriori interventi per incoraggiare i finanziatori ad erogare prestiti o mutui transfrontalieri?

4.3.1.5.1

Il problema di fondo in questo campo riguarda la riscossione coattiva dei crediti nel caso in cui il mutuatario non adempia le sue obbligazioni contrattuali. E ciò fa sì che attualmente i finanziatori non considerino l’offerta di mutui ipotecari transfrontalieri una prospettiva attraente. Sono pertanto necessari ulteriori interventi per stimolare in tal senso il mercato interno dell’UE.

4.3.1.5.2

I mutui e i prestiti ipotecari sono tra i prodotti finanziari la cui offerta transfrontaliera si scontra con il maggior numero di difficoltà e di ostacoli. Anzi, è probabile che, se si considera l’intera gamma dei prodotti finanziari al dettaglio, questi siano quelli per i quali il processo di superamento degli ostacoli sarà più lungo. Di conseguenza, in questa fase iniziale, è meglio concentrare gli sforzi per acquisire esperienza pratica e fornire stimoli in relazione ad altri servizi finanziari al dettaglio per i quali si riscontrano meno ostacoli.

4.3.2

Conformità ai diversi requisiti normativi negli Stati membri ospitanti.

4.3.2.1

Agevolare la conformità delle imprese ai requisiti giuridici applicabili in altri Stati membri.

30.   Occorre intervenire a livello di UE affinché i governi degli Stati membri o le autorità nazionali competenti offrano assistenza pratica (ad esempio mediante sportelli unici) al fine di agevolare le vendite transfrontaliere di servizi finanziari, in particolare per imprese o prodotti innovativi?

4.3.2.1.1

Nei vari Stati membri si riscontra un’applicazione discontinua, incoerente e contraddittoria delle normative europee in diversi campi – ad esempio, ma non soltanto, nell’offerta di prodotti di investimento. Occorre pertanto richiedere l’assistenza delle autorità nazionali al fine di eliminare la sovraregolamentazione (gold-plating).

Un’altra iniziativa valida è costituita dalla rete SOLVIT, che assiste le imprese a livello UE nella risoluzione di problemi con le autorità pubbliche che non applicano correttamente le normative europee, mentre gli «sportelli unici» offrono assistenza alle imprese riguardo agli obblighi che l’offerta transfrontaliera di servizi comporta (33).

4.3.2.1.2

Mettendo a frutto l’esperienza maturata da SOLVIT, occorre adoperarsi per giungere a una soluzione mirata in modo specifico ai prodotti finanziari, volta a migliorare la cooperazione e il coordinamento tra gli organismi nazionali di regolamentazione – i quali dovrebbero anche aiutare le imprese innovative a comprendere i loro obblighi.

31.   Quali misure sarebbero più utili affinché le imprese possano usufruire della libertà di stabilimento oppure della libertà di prestazione di servizi per prodotti innovativi (come ad esempio una cooperazione semplificata tra le autorità di vigilanza del paese d’origine e del paese ospitante)?

4.3.2.2

Usufruire appieno della libertà di stabilimento.

Per gli assicuratori, è spesso necessario essere presenti sul territorio al fine di conoscere meglio i rischi da coprire esistenti sul posto ed i clienti locali. La libertà di stabilirsi in loco è dunque essenziale per le imprese di assicurazione e quindi anche per le società di mutua assicurazione. Tuttavia, l’assenza di un riconoscimento europeo delle forme di impresa dell’economia sociale, comprese le mutue assicuratrici, impedisce alle imprese di questo tipo di stabilirsi negli Stati membri in cui tale forma giuridica non è riconosciuta, frenando così la loro attività transfrontaliera nonché lo sviluppo dei mercati e della concorrenza. Il CESE esorta quindi la Commissione europea, il Consiglio dell’UE, il Parlamento europeo e gli Stati membri a portare avanti il riconoscimento del modello mutualistico nell’Unione europea.

4.3.2.3

Creare regimi autonomi o maggiormente armonizzati a livello di UE.

32.   Per quali prodotti dei servizi finanziari al dettaglio la standardizzazione o i regimi opt-in potrebbero rivelarsi più efficaci nel superamento delle differenze normative tra gli Stati membri?

4.3.2.3.1

Dal punto di vista della distribuzione transfrontaliera, i seguenti aspetti sono meritevoli di particolare attenzione:

l’identificazione dei clienti mediante certificati elettronici. Il CESE ritiene necessario che, per l’offerta di servizi finanziari a distanza, sia istituito un registro europeo [tenuto ad esempio dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA)] degli emittenti accreditati di certificati elettronici,

la possibilità, per i fornitori di servizi finanziari, di conoscere la storia creditizia dei clienti. Tenere un registro creditizio a livello UE è di cruciale importanza per l’offerta transfrontaliera di servizi finanziari, in particolare quelli riguardanti l’erogazione di crediti,

le procedure di escussione delle garanzie reali fornite per la concessione di un prestito. Risorse e sforzi dovrebbero essere incanalati verso la realizzazione di un quadro normativo europeo uniforme in materia di escussione delle garanzie nell’offerta transfrontaliera di servizi finanziari,

per quanto riguarda i prodotti assicurativi, quelli che forniscono indennizzi sono più facili da standardizzare: il cliente riceve una somma di denaro, indipendentemente dal suo luogo di residenza; la compagnia deve solo essere in grado di valutare il rischio. L’assicurazione vita sarebbe un buon esempio in tal senso. Tuttavia, per i prodotti assicurativi che offrono un servizio (ad esempio, la riparazione di danni fisici), la standardizzazione e la portabilità non sono possibili. Ciò vale in particolare per determinati prodotti come quelli assicurativi sanitari.

33.   Occorrono ulteriori interventi a livello di UE in merito al principio di «localizzazione del rischio» nella normativa assicurativa e per chiarire le regole sull’«interesse generale» nel settore assicurativo?

4.3.2.3.2

Il rischio viene di norma «localizzato» nel luogo di residenza abituale della persona assicurata, con alcune eccezioni nel caso di beni immobili, riguardo ai quali il rischio è localizzato nella loro ubicazione effettiva. Tale principio è in genere standardizzato in tutto il mondo, e da esso derivano effetti giuridici e fiscali per le parti interessate. Il CESE reputa che il principio della localizzazione del rischio in campo assicurativo sia idoneo allo scopo. Tuttavia, è dell’avviso che le norme di «interesse generale» debbano essere rivedute, in quanto offrono agli Stati membri la possibilità di adottare normative che rischiano di ostacolare la distribuzione transfrontaliera dei prodotti assicurativi.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 133 del 14.4.2016, pag. 17.

(2)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 93 e GU C 181 del 21.6.2012, pag. 99. Inoltre, la situazione dovrebbe essere migliorata adesso che la direttiva sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori dovrebbe essere stata recepita dagli Stati membri (GU L 165 del 18.6.2013, pag. 63 e GU L 165 del 18.6.2013, pag. 1).

(3)  COM(2016) 56 final; COM(2016) 57 final; GU L 173 del 12.6.2014, pag. 1; GU L 257 del 28.8.2014, pag. 1.

(4)  GU C 191, del 29.6.2012, pag. 80.

(5)  COM(2007) 226 final.

(6)  GU C 151 del 17.6.2008, pag. 1.

(7)  GU L 257 del 28.8.2014, pag. 214; GU L 60 del 28.2.2014, pag. 34; GU L 337 del 23.12.2015, pag. 35; GU L 26 del 2.2.2016, pag. 19; GU L 173 del 12.6.2014, pag. 349.

(8)  GU C 318 del 29.10.2011, pag. 24.

(9)  GU L 337 del 23.12.2015, pag. 35; GU L 60 del 28.2.2014, pag. 34.

(10)  COM(2015) 468 final.

(11)  Cfr. la nota a piè di pagina 2.

(12)  All’interno dell’UE, il livello dell’alfabetizzazione finanziaria varia considerevolmente: in media, il 52 % della popolazione adulta è finanziariamente alfabetizzato, e i livelli più alti (almeno il 65 %) si riscontrano in Danimarca, in Germania, nei Paesi Bassi e in Svezia, mentre molto più basse sono le percentuali registrate nei paesi dell’Europa meridionale - Grecia (45 %), Spagna (49 %), Italia (37 %) e Portogallo (26 %) - e altrettanto basse quelle rilevate nei paesi che hanno aderito all’UE dal 2004 in poi, quali la Bulgaria (35 %), Cipro (35 %) e la Romania (22 %). A livello mondiale, la popolazione dell’Unione europea risulta (con una media, si è detto, del 52 %) meno alfabetizzata di quelle degli Stati Uniti (57 %), del Canada (68 %) e dell’Australia (64 %). Fonte dei dati: L. Klapper, A. Lusardi e P. van Oudheusden, Financial Literacy Around the World [«L’alfabetizzazione finanziaria nel mondo»], 2015.

(13)  In un suo parere sulla tutela dei consumatori nelle vendite di prodotti assicurativi e pensionistici, l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA) osserva che, prima di acquistare tali prodotti online, gli utenti non effettuano le necessarie ricerche di informazioni (parere dell’EIOPA sulla vendita su Internet di prodotti assicurativi e pensionistici, EIOPA-BoS-14/198, 28 gennaio 2015).

(14)  A. Lusardi e P. Tufano, Debt Literacy, Financial Experiences, and Overindebtedness [«Alfabetizzazione creditizia, esperienza finanziaria e sovraindebitamento»], Journal of Pension Economics and Finance, vol. 14, IV numero speciale, ottobre 2015, pagg. 332-368.

(15)  J. R. Behrman, O. S. Mitchell, C. K. Soo e D. Bravo, The Effects of Financial Education and Financial Literacy: How Financial Literacy Affects Household Wealth Accumulation [«Gli effetti dell’educazione e dell’alfabetizzazione finanziarie: come l’alfabetizzazione finanziaria incide sull’accumulazione patrimoniale delle famiglie»], American Economic Review: Papers & Proceedings, vol. 102(3), 2012, pagg. 300-304.

(16)  M. Abreu e V. Mendes, Financial Literacy and Portfolio Diversification [«Alfabetizzazione finanziaria e diversificazione del portafoglio»], Quantitative Finance, vol. 10(5), 2010, pagg. 515-528.

(17)  T. Jappelli e M. Padula, Investment in financial literacy and saving decisions [«Investimento in alfabetizzazione finanziaria e decisioni di risparmio»], CFS working paper n. 2011/07.

(18)  http://ec.europa.eu/consumers/consumer_evidence/consumer_scoreboards/10_edition/docs/cms_10_factsheet_en.pdf

(19)  Federazione europea investitori e utenti di servizi finanziari, Pension Savings: The Real Return [«Risparmi pensionistici: i rendimenti reali»], rapporto di ricerca di Better Finance, edizione 2015.

(20)  Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali (EIOPA), Consultation Paper on the creation of a standardised PanEuropean Personal Pension product (PEPP) [«documento di consultazione sulla creazione di un prodotto pensionistico personale paneuropeo standardizzato (PEPP)»], 2015.

(21)  Direttiva 2016/97/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 gennaio 2016, sulla distribuzione assicurativa (rifusione) (GU L 26 del 2.2.2016, pag. 19).

(22)  Come quelli indicati, ad esempio, nell’allegato 1 del parere d’iniziativa del CESE sul tema Educazione finanziaria e consumo responsabile (GU C 318 del 29.10.2011, pag. 24).

(23)  Nella comunicazione Legiferare meglio per ottenere risultati migliori - Agenda dell’UE, COM(2015) 215 final, pag. 7, la Commissione definisce il gold-plating nei seguenti termini: «[…] spesso gli Stati membri recepiscono il diritto dell’UE andando oltre quanto strettamente richiesto dall’atto legislativo (“gold-plating”)»; e, in quello stesso paragrafo, aggiunge che «ciò può aumentare i vantaggi, ma può anche aggiungere costi inutili, erroneamente attribuiti alla legislazione dell’UE, per le imprese e le autorità pubbliche». La sezione INT sta elaborando una relazione informativa sul tema Pratiche di recepimento, che tratta specificamente dell’aggiunta di disposizioni nazionali a quelle contenute nelle direttive dell’UE, e anche il Parlamento europeo sta conducendo uno studio sul tema Il gold-plating nei fondi strutturali e d’investimento europei.

(24)  GU C 82, del 3.3.2016, pag. 1.

(25)  Tale misura non ha comportato alcun onere finanziario per i consumatori, e grazie ad essa ogni anno centinaia di migliaia di famiglie e PMI sfruttano l’opportunità che essa offre per rinegoziare i loro mutui ipotecari, risparmiando così migliaia di euro. Tale pratica ha inoltre ispirato l’adozione della direttiva 2014/17/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014 2014, sul credito ipotecario (GU L 60 del 28.2.2014, pag. 34).

(26)  GU L 266 del 9.10.2009, pag. 11.

(27)  GU L 319 del 5.12.2007, pag. 1.

(28)  GU L 271 del 9.10.2002, pag. 16; GU L 176 del 27.6.2013, pag. 338; GU L 267 del 10.10.2009, pag. 7; GU L 319 del 5.12.2007, pag. 1;. [COM(2013) 547 final – C7-0230/2013 – 2013/0264 (COD)]. Cfr. articolo 59 e articolo 60, paragrafo 3.

(29)  Attualmente la FIN-NET ha 56 membri, quasi tutti appartenenti a Stati membri dell’UE, e continua a ricevere domande di adesione da parte di nuovi organismi - un processo, questo, che dovrebbe diventare ancora più rapido dopo l’adozione della direttiva sulla risoluzione alternativa delle controversie (direttiva ADR).

(30)  Il concetto di vendita fraudolenta è illustrato in dettaglio al punto 3.7. Questo problema sarà parzialmente superato con l’applicazione della direttiva MiFID e il test di stabilità che essa prevede per alcuni tipi di prodotti. Cfr. la nota a piè di pagina 3.

(31)  GU C 271 del 19.9.2013, pag. 61 e GU C 18 del 19.1.2011, pag. 24.

(32)  GU L 26 del 2.2.2016, pag. 19.

(33)  http://ec.europa.eu/internal_market/eu-go/index_it.htm


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso un quadro normativo moderno e più europeo sul diritto d’autore»

[COM(2015) 626 final]

(2016/C 264/06)

Relatore:

Denis MEYNENT

La Commissione europea, in data 22 dicembre 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso un quadro normativo moderno e più europeo sul diritto d’autore

[COM(2015) 626 final]

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 216 voti favorevoli, 3 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE deplora che nella comunicazione in esame la Commissione non formuli proposte più concrete e si limiti ad elencare dei possibili percorsi senza pronunciarsi; tale impostazione incide negativamente sulla buona organizzazione del dibattito.

1.2

Il diritto d’autore rimane uno strumento fondamentale di protezione e di equa remunerazione degli autori e dei partecipanti alla diffusione di opere e spettacoli attraverso le reti digitali interconnesse.

1.3

Il CESE rivolge un appello in favore della rapida ratifica del trattato di Marrakech; dovrebbero altresì essere prioritarie le eccezioni in materia d’insegnamento, di ricerca scientifica e di condivisione delle conoscenze; il Comitato è inoltre favorevole alla digitalizzazione delle opere orfane.

1.4

Il CESE ritiene che l’unificazione europea delle disposizioni in materia di copia privata sia possibile e auspicabile. Una parte consistente dei proventi del prelievo per copia privata dovrebbe essere orientata logicamente al finanziamento della creazione letteraria e artistica e alla promozione della diversità culturale, e verso i beni comuni in materia di istruzione e di ricerca, ad esempio.

1.5

Il CESE raccomanda di istituire un contesto giuridico che favorisca ad un tempo la creazione di opere protette dal diritto d’autore e la partecipazione di nuovi modelli di licenze e di nuovi modelli commerciali alla costruzione del mercato unico europeo, salvaguardando nel contempo la libertà contrattuale e il diritto degli autori e dei creatori a beneficiare appieno dei frutti della loro creazione.

1.6

Il CESE ritiene che il regolamento costituisca lo strumento privilegiato della costruzione del mercato unico digitale; occorrerebbe anche consolidare la normativa esistente.

1.7

Il CESE incoraggia la Commissione a intraprendere studi e ricerche approfonditi sui modelli commerciali legati alle licenze libere, sulla loro importanza economica attuale e potenziale, sui redditi e sui posti di lavoro che esse potrebbero generare nei vari settori, nonché sulle eventuali proposte legislative che sarebbero utili per la loro promozione e uso.

1.8

Il CESE ritiene che la diversità culturale dell’Europa sia al centro dell’identità europea e dovrebbe essere favorita e promossa tra gli Stati membri.

1.9

Nella lotta contro le violazioni del diritto d’autore, occorre far cessare e sanzionare prioritariamente le violazioni su scala commerciale; la cooperazione e lo scambio di informazioni tra i servizi di repressione e le amministrazioni giudiziarie degli Stati membri sono indispensabili a tal fine.

1.10

Occorre affrontare il problema del trasferimento di valore nell’ambiente in linea, che beneficia attualmente intermediari autoproclamati che evitano il consenso e la remunerazione dei creatori.

2.   Le proposte della Commissione

2.1

Il piano d’azione in esame è diretto a modernizzare le norme europee sul diritto d’autore. Nella sua comunicazione, la Commissione illustra gli elementi essenziali per realizzare la sua strategia per un mercato unico digitale: ampliare l’accesso ai contenuti in tutta l’Unione, prevedere eccezioni al diritto d’autore, creare un mercato più giusto e lottare contro la pirateria commerciale, incoraggiando al contempo l’unificazione nel lungo termine del diritto d’autore.

2.2

La comunicazione presenta in particolare una proposta di regolamento sulla portabilità transfrontaliera dei servizi di contenuti online (1) che costituirebbe un nuovo diritto per i consumatori europei e che dovrebbe diventare una realtà nel 2017, anno in cui saranno abolite le tariffe di roaming nell’Unione.

3.   Introduzione

3.1

I movimenti digitali tra Stati europei sono molto scarsi (4 % del totale), mentre la maggior parte dei servizi digitali sono situati negli Stati Uniti e il resto dei movimenti avviene all’interno dei confini nazionali. Per il momento, il mercato unico digitale europeo è molto poco sviluppato. Le barriere rimangono e sono in particolare d’impedimento agli scambi culturali per molte minoranze linguistiche europee distribuite da una parte e dall’altra di diversi confini nazionali.

3.2

Nel suo programma «Un nuovo inizio per l’Europa» (2), il presidente della Commissione ha indicato tra le priorità la realizzazione di un mercato unico digitale connesso per tutti gli Stati dell’UE, senza discriminazioni nazionali.

3.3

Il diritto d’autore è la chiave di volta giuridica della creazione e la base della remunerazione degli autori, creatori, interpreti e altri titolari di diritti e, più in generale, dell’ecosistema delle attività e delle industrie culturali e creative. Il diritto d’autore è un diritto territoriale, diverso da uno Stato membro all’altro. Esso conferisce ovunque dei diritti esclusivi e sostanziali ai titolari del diritto, che percepiscono dei redditi non soltanto dalle licenze, ma anche per la semplice eventualità che l’opera potrebbe essere copiata su altri supporti o data a un terzo dall’acquirente di una licenza, senza necessità di provare che una copia sia stata effettivamente realizzata (prelievi per copia privata e tassazione dei supporti vergini che potrebbero essere utilizzati per copiare illegalmente): addirittura si dà rilievo penale a determinati atti degli utilizzatori, pur commessi in buona fede e onesti, mentre invece in altri Stati tali atti sono ammessi.

3.4

Le eccezioni e le limitazioni al diritto d’autore sono minime in tutti gli Stati. Concepito al tempo della stampa su carta e per le tecnologie dell’epoca, in primo luogo l’edizione di libri e quindi la pubblicazione di giornali e riviste e di spartiti musicali, il diritto d’autore non è più completamente in fase con l’epoca della civiltà del digitale e delle reti interconnesse a banda larga, in permanente evoluzione, e deve essere precisato. In altri settori, come le nuove pratiche d’accesso alla musica e alle creazioni audiovisive, la complessità della gestione dei diritti è aumentata, a causa della frammentazione del repertorio, cui dovrebbe rimediare la nuova direttiva sulla gestione collettiva dei diritti d’autore (3). Dal disco di cera al dvd, poco era cambiato, soprattutto in materia di distribuzione o di prestito delle opere. Le nuove tecnologie hanno completamente trasformato il modello e la quasi totalità dei negozi di dischi e dvd sono spariti a vantaggio di nuove forme di distribuzione o di prestito digitale online. Lo stesso vale per il cinema, la televisione e tutte le forme di espressione artistica che possono essere messe online.

3.5

L’assenza di un’evoluzione significativa del diritto applicabile impedisce di sfruttare appieno tutte le potenzialità offerte dalla digitalizzazione delle opere e dalle creazioni immateriali e poi dalla loro circolazione, in un Internet che si sviluppa e si globalizza molto rapidamente.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE deplora che nella comunicazione in esame la Commissione non formuli proposte più concrete e si limiti ad elencare dei possibili percorsi senza pronunciarsi; tale impostazione incide negativamente sulla buona organizzazione del dibattito.

4.2

Nel suo parere del 26 ottobre 2006 (4), il CESE invitava in particolare la Commissione a formulare proposte per la promozione e la protezione delle licenze libere, in particolare la LGPL per la documentazione tecnica o la licenza Creative Commons per le opere letterarie e artistiche. Nonostante l’importanza di tale questione — la stragrande maggioranza dei server e dei parchi di server nel mondo operano sotto licenze libere come Debian o GPL per GNU/Linux - è giocoforza constatare che nessuna proposta in tal senso è stata avanzata dalla Commissione da allora.

4.3

Ciò è pregiudizievole allo sviluppo dei movimenti di dati e servizi extrafrontalieri nel mercato unico europeo. Le «Creative Commons» e il pubblico dominio costituiscono infatti nuovi territori universali forniti dalla digitalizzazione e dal sistema interconnesso mentre la frammentazione del diritto erige altrettanti ostacoli delle barriere di confine agli scambi transfrontalieri.

4.4

La legislazione deve consentire di liberare le potenzialità fantastiche di Internet per gli autori e creatori da una parte e gli utenti dall’altra, piuttosto che creare vincoli e camicie di forza. La normativa europea dovrebbe consentire di togliere quanti più ostacoli possibile sulla via degli scambi transfrontalieri relativi alle lingue minoritarie all’interno dell’Unione europea e per un accesso più facile ai servizi e alle opere.

4.5

Invece di temere tali sviluppi, i titolari di diritti dovrebbero piuttosto coglierne le opportunità. Libero non significa automaticamente gratuito, e i software liberi per esempio consentono un business model diverso, basato sul servizio e creatore di posti di lavoro, a differenza di certe pratiche attuali che privilegiano la rendita del proprietario e la sua tutela giuridica.

4.6

Il CESE incoraggia ancora una volta la Commissione a intraprendere studi e ricerche approfonditi sui modelli commerciali legati alle licenze libere, sulla loro importanza economica attuale e potenziale, sui redditi e sui posti di lavoro che esse potrebbero generare nei vari settori, nonché sulle eventuali proposte legislative che sarebbero utili per la loro promozione e uso.

4.7

Le esperienze come la messa online sotto licenze libere di pubblicazioni scientifiche, di rapporti di ricerca effettuati con il contributo di sovvenzioni pubbliche, di serie di corsi universitari per compensare il costo sproporzionato degli studi superiori in alcuni Stati, come l’insieme dei corsi offerti dal MIT, meritano particolare attenzione e devono essere studiate in vista della loro possibile applicabilità nell’UE (corsi aperti online e di massa — MOOC). In questa prospettiva, l’istruzione superiore e la cultura divengono beni comuni che favoriscono la realizzazione della società della conoscenza di cui auspichiamo lo sviluppo nell’UE.

4.8

Il modo di produzione cambia e i beni e servizi immateriali distribuiti dalle reti interconnesse costituiscono un nuovo orizzonte dello sviluppo economico e della creazione di posti di lavoro e di imprese innovative. I modelli di consumo hanno cominciato a cambiare e questi nuovi modelli si impongono rapidamente, ma occorre mantenere la lucidità: nonostante tutto ciò il mercato unico europeo non esiste ancora per quanto riguarda i centri fornitori di servizi immateriali attuali. Ciò è dovuto anzitutto alle preferenze e pratiche culturali diverse tra gli Stati membri, alla lingua parlata dai consumatori e anche alla frammentazione del diritto d’autore che non favorisce lo sviluppo del mercato europeo né la creazione di licenze multiterritoriali o addirittura europee.

4.9

Il CESE raccomanda di istituire un contesto giuridico che favorisca ad un tempo la creazione di opere protette dal diritto d’autore e la partecipazione di nuovi modelli di licenze e di nuovi modelli commerciali alla costruzione del mercato unico europeo, salvaguardando nel contempo la libertà contrattuale e il diritto degli autori e dei creatori a beneficiare appieno dei frutti della loro creazione. Questi nuovi modelli possono essere sviluppati parallelamente a modelli presenti nei trattati dell’Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI). Tale questione dovrebbe essere parte integrante dell’agenda digitale che la Commissione ha annunciato nel maggio 2015 e del piano di modernizzazione del diritto d’autore all’esame.

4.10

Un’altra barriera è quella delle eccezioni; il CESE rivolge un appello agli Stati membri perché ratifichino il più rapidamente possibile il trattato di Marrakech che stabilisce un’eccezione per le persone colpite da cecità o ipovedenti. L’UE ha firmato tale trattato, ma soltanto gli Stati membri possono ratificarlo individualmente in vista della sua entrata in vigore. Il CESE raccomanda alla Commissione di seguire il parere del Parlamento europeo del 9 luglio 2015 e di incoraggiare gli Stati membri a ratificare al più presto questo trattato importante, la cui negoziazione è stata molto difficile di fronte agli atteggiamenti conservatori di certe parti in causa. Il Comitato esorta pressantemente il Consiglio europeo a fare tutto il possibile per accelerare il processo di ratifica.

4.11

È anche opportuno rafforzare la produzione di opere accessibili alle persone affette da cecità e ipovedenti, che non hanno accesso attualmente a oltre il 95 % dei libri.

4.12

Dovrebbero essere prese in considerazione altre eccezioni legate all’era digitale e delle reti, in particolare per quanto riguarda la ricerca pubblica, la digitalizzazione da parte delle biblioteche universitarie e pubbliche delle opere letterarie che sono di pubblico dominio o orfane, il prestito di libri elettronici e di supporti audio e video, tenendo conto del rapido aumento dei lettori di libri elettronici e di una vasta gamma di nuovi supporti. Allo stesso tempo, è importante notare che alcune industrie tecnologiche cercano di riottenere protezione per ciò che è già nel pubblico dominio, restringendo l’accesso in nome di strategie commerciali.

4.13

Anche la suddivisione in zone geografiche ostacola la diffusione delle opere. Ciò interessa tutti gli utilizzatori potenziali, ma soprattutto le minoranze linguistiche così numerose nell’UE, a causa delle differenze tra la carta politica e la carta linguistica dell’Europa, retaggio della storia e conseguenza dei conflitti del XIX e XX secolo. L’ascesa dei discorsi populistici e nazionalistici conferisce una dimensione politica urgente alla soluzione del problema. La Carta europea delle lingue regionali è stata ampiamente ratificata ma, ad esempio, l’impatto culturale di programmi televisivi in lingue regionali è fortemente ridotto dalle attuali barriere.

4.14

Il CESE ritiene che la diversità culturale dell’Europa sia al centro dell’identità europea e dovrebbe essere favorita e promossa tra gli Stati membri.

4.15

Tali questioni sono prioritarie agli occhi del CESE, che incoraggia la Commissione a prendere in considerazione le sue proposte, che non sono in contraddizione con i trattati internazionali sul diritto d’autore e possono aprire nuovi spazi per la realizzazione del mercato unico digitale dell’UE.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Cambiamenti significativi e complementari saranno necessari nel prossimo futuro, facendo riferimento alla strategia in 16 iniziative pubblicata nel maggio 2015 e alle considerazioni generali introduttive che propongono una nuova importante iniziativa per promuovere i beni comuni, l’interoperabilità e i collegamenti transfrontalieri e le licenze libere. Nei suoi pareri sui diritti in materia di contratti digitali (INT/775) e sull’economia della condivisione e l’autoregolamentazione (INT/779), il CESE riconosce l’importanza del diritto d’autore per la corretta definizione dei diritti delle parti interessate nella fornitura di contratti digitali e nell’economia della condivisione.

5.2

Il CESE rileva con interesse che la Commissione precisa chiaramente che le norme del diritto d’autore dell’Unione devono essere adeguate, in modo che tutti gli attori del mercato e tutti i cittadini possano beneficiare del potenziale offerto da questo nuovo ambiente, e che è necessario un quadro giuridico più europeo per superare la frammentazione e gli attriti all’interno di un mercato unico ben funzionante. Il Comitato condivide questo obiettivo, ma rileva che i governi si trincerano in una difesa della territorialità come unico modo per garantire il finanziamento della creazione. Esistono altri mezzi e devono essere esplorati e non si dovrebbero chiudere le porte, non prima almeno che le alternative possano essere obiettivamente studiate.

5.3

Il Comitato non ritiene che l’immobilismo e il rifiuto del cambiamento in materia di diritto d’autore siano una risposta adeguata ai cambiamenti tecnologici e alle innovazioni in materia di servizi e di distribuzione che emergono e si sviluppano necessariamente con i progressi di Internet e delle reti nonché della banda larga. Condivide l’opinione della Commissione secondo cui occorrerà «se necessario, adattare le norme sul diritto d’autore alle nuove realtà tecnologiche perché continuino a svolgere la loro funzione».

5.4

Una grande variabilità si manifesta e può manifestarsi ancora di più in futuro per quanto riguarda le eccezioni che sono strettamente connesse all’insegnamento, alla ricerca e all’accesso alle conoscenze. Ciò può andare dal semplice uso a scopo esemplificativo o illustrativo fino alla messa a disposizione senza limitazioni, in pratica, se non dal punto di vista legale, di opere, di libri o di corsi a fini di insegnamento.

5.5

La direttiva 2001/29 del Parlamento europeo e del Consiglio (5) sul diritto d’autore prevede un elenco delle eccezioni. L’applicazione degli elementi di tale elenco e la loro evoluzione dovrebbero essere discusse secondo le pratiche della democrazia partecipativa, al fine di promuovere le opinioni individuali e collettive e per ottenere un diritto europeo coerente e unificato delle eccezioni, le quali dovranno essere ben precisate e definite per essere più facilmente applicabili. Il CESE condivide il parere della Commissione secondo cui le eccezioni in materia d’insegnamento, di ricerca scientifica e di condivisione delle conoscenze dovrebbero essere prioritarie; allo stesso tempo, dovrebbe essere avviato lo studio di altri beni comuni per preparare il futuro.

5.6

Il CESE ritiene che l’unificazione europea delle disposizioni in materia di copia privata sia possibile e auspicabile. Sosterrà l’azione della Commissione in materia, azione che dovrebbe essere avviata il più rapidamente possibile, in quanto le differenze nazionali costituiscono un ostacolo considerevole al mercato unico dei beni elettronici, se si considera inoltre l’apparizione di nuovi supporti. La coerenza è indispensabile alla libera circolazione dei beni che comportano tali supporti. La distribuzione del gettito derivante dai prelievi sui supporti dovrebbe tener conto del fatto che la maggior parte di questi supporti non sono destinati per natura alla copia di opere protette da un copyright; una parte significativa delle risorse dovrebbe quindi logicamente essere orientata verso il finanziamento della creazione e della promozione della diversità culturale, come già avviene in certi Stati, e verso i beni comuni in materia d’istruzione e di ricerca, per esempio.

5.7

Il Comitato è convinto che il principio di neutralità debba rimanere un lineamento essenziale di Internet per garantire l’uguaglianza rigorosa dei consumatori indipendentemente dal loro potere economico. La neutralità della rete è un principio fondatore di Internet che garantisce che gli operatori delle telecomunicazioni non discriminino le comunicazioni degli utilizzatori, ma restino dei semplici trasmettitori di informazioni. Tale principio permette a tutti gli utenti, indipendentemente dalla loro disponibilità economica, di accedere alla stessa rete nel suo insieme. Tale definizione e l’affermazione della protezione di tale neutralità dovrebbero figurare chiaramente nella legislazione europea.

5.8

Nella lotta contro le violazioni del diritto d’autore, occorre in via prioritaria far cessare e sanzionare le violazioni su scala commerciale, che privano gli autori di una gran parte delle loro entrate. Il Comitato si è già pronunciato a più riprese sui problemi della lotta contro la contraffazione di beni e tutte le forme di violazione del diritto d’autore e dei diritti connessi; rimanda quindi ai suoi precedenti pareri considerando che essi siano tuttora pienamente validi (6).

5.9

Il diritto d’autore rimane uno strumento fondamentale di protezione degli autori e dei partecipanti alla diffusione di opere e spettacoli attraverso le reti digitali interconnesse. Per adeguarsi ai rapidi cambiamenti tecnologici e alle innovazioni in materia di distribuzione e servizi, il diritto d’autore deve evolversi. Questa modernizzazione deve avvenire in un quadro che consenta di garantire i diritti dei creatori e interpreti, la giusta remunerazione del loro sforzo creativo, la loro associazione al successo commerciale delle opere e il mantenimento di un alto livello di protezione e di finanziamento delle opere. In particolare va rivisto lo status giuridico delle piattaforme di servizi online per quanto concerne i diritti d’autore. Sebbene le piattaforme di servizi costituiscano attualmente il portale principale attraverso cui gli utilizzatori accedono al contenuto online, esse dichiarano di essere dei meri intermediari tecnici, rifiutandosi pertanto di remunerare i creatori di contenuti. Ciò compromette l’efficienza del mercato, distorce la concorrenza e trascina verso il basso il valore complessivo dei contenuti culturali online.

5.10

Il rifiuto di adattarsi alla natura globale di Internet, alla banda larga e alle nuove aspettative dei consumatori rischia di compromettere un diritto utile al progresso delle opere dell’ingegno e alla loro diffusione. Occorrerà tuttavia accettare eccezioni giustificate dai diritti di altre parti interessate, le cui esigenze sociali si stanno evolvendo, come le persone con disabilità, gli studenti o le biblioteche pubbliche. Ulteriori evoluzioni saranno necessarie, in vista dell’«europeizzazione» continua del diritto d’autore e dei diritti connessi, da parte degli Stati membri, che detengono di fatto le principali chiavi di accesso giuridiche ai cambiamenti futuri.

5.11

Il CESE ritiene che il regolamento costituisca lo strumento privilegiato per la realizzazione del mercato unico digitale, in quanto la diversità dei diritti nazionali dimostra senza dubbio il blocco quasi totale che essa rappresenta e che occorrerà superare attraverso il dialogo senza discriminazioni tra tutti gli interessati, compresi i rappresentanti delle licenze di software e contenuti liberi e dei nuovi servizi e modelli commerciali che ne derivano. Devono inoltre essere approfonditi l’analisi degli ostacoli alle licenze multiterritoriali e i modi di superarli.

5.12

La forza degli interessi diversi e dei pregiudizi in materia di diritto d’autore è tale che non sarà possibile progredire se non passo dopo passo, sulla base di una valutazione rigorosa e di risposte proporzionate, ma si deve fare di tutto per entrare effettivamente nella società della conoscenza e dell’informazione, che è la sola in grado di far uscire l’Europa dalla recessione e dalla crisi che mettono in pericolo le basi stesse dell’ideale europeo. L’interesse generale deve prevalere su determinati interessi particolari in un’economia sociale di mercato dinamica.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2015) 627 final (cfr. pag. 86 della presente Gazzetta ufficiale).

(2)  http://ec.europa.eu/priorities/sites/beta-political/files/pg_it.pdf

(3)  GU L 84 del 20.3.2014, pag. 72 (GU C 44 del 15.2.2013, pag. 104).

(4)  GU C 324 del 30.12.2006, pag. 8.

(5)  GU L 167 del 22.6.2001, p. 10.

(6)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 72; GU C 44 del 15.2.2013, pag. 104; GU C 68 del 6.3.2012, pag. 28; GU C 376 del 22.12.2011, pag. 66; GU C 376 del 22.12.2011, pag. 62; GU C 18 del 19.1.2011, pag. 105; GU C 228 del 22.9.2009, pag. 52; GU C 306 del 16.12.2009, pag. 7; GU C 182 del 4.8.2009, pag. 36; GU C 318 del 29.10.2011, pag. 32; GU C 324 del 30.12.2006, pag. 8; GU C 324 del 30.12.2006, pag. 7; GU C 256 del 27.10.2007, pag. 3; GU C 32 del 5.2.2004, pag. 15.


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale»

[COM(2015) 634 final — 2015/0287 (COD)]

e alla

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni»

[COM(2015) 635 final — 2015/0288 (COD)]

(2016/C 264/07)

Relatore:

Jorge PEGADO LIZ

Il Consiglio, in data 18 gennaio 2016, e il Parlamento europeo, in data 21 gennaio 2016, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente taluni aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale»

[COM(2015) 634 final — 2015/0287 (COD)]

e alla:

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni»

[COM(2015) 635 final – 2015/0288 (COD)].

La sezione specializzata «Mercato unico, produzione e consumo», incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 146 voti favorevoli, 61 voti contrari e 44 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE sostiene la necessità e l’opportunità di disciplinare alcune delle materie trattate nella comunicazione della Commissione [COM(2015) 633 final], in particolare quelle oggetto della proposta di direttiva concernente taluni aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale.

1.2

Tuttavia, il CESE è dell’avviso che altri fattori da esso individuati non solo siano molto più importanti per quel che riguarda la regolamentazione dei diritti contrattuali nei contratti di vendita online riguardanti beni mobili materiali, oltre che più decisivi e prioritari per gli obiettivi che si pone la Commissione — ossia la creazione di un mercato unico digitale — ma costituiscano anche i principali ostacoli allo sviluppo del commercio transfrontaliero.

1.3

In ogni caso, relativamente alle questioni contemplate, il CESE non concorda con la base giuridica invocata dalla Commissione e propone invece di utilizzare l’articolo 169 del TFUE.

1.4

Ne consegue che, in linea di principio, le misure adottate dovranno basarsi sulle direttive di armonizzazione minima, come risulta dal paragrafo 2, lettera a), e dal paragrafo 4 di tale articolo, come generalmente fa il legislatore europeo.

1.5

Il CESE ritiene che la regolamentazione di queste questioni attraverso due direttive e non mediante un unico strumento sia accettabile soltanto per ragioni di urgenza e di opportunità nella regolamentazione del commercio online di contenuti digitali.

1.6

È altresì dell’avviso che non sia sufficientemente giustificata la scelta attuata di un’armonizzazione totale mirata rispetto ad altre, ad esempio i contratti-modello certificati da un marchio di UE oppure un’armonizzazione minima conformemente all’articolo 169 del TFUE.

1.7

Per quanto riguarda gli aspetti attualmente disciplinati soltanto nella proposta relativa ai contratti di vendita online riguardanti beni mobili materiali, ritiene migliore una loro regolamentazione complessiva, da effettuare al momento della revisione della direttiva 1999/44/CE, della quale rappresentano uno dei capitoli, nel quadro dell’esercizio REFIT relativo al diritto dei consumatori.

1.8

Inoltre, con la proposta sulla vendita online di beni materiali, la Commissione ha creato due sistemi, istituendo un trattamento differente per la vendita di beni online e offline, il che è inaccettabile.

1.9

Se l’intenzione della Commissione venisse confermata nella sua forma attuale, il CESE raccomanda tutta una serie di miglioramenti da apportare al testo delle proposte, allo scopo di non limitare i diritti dei consumatori, assicurando effettivamente un livello di protezione elevato, come previsto dal TFUE;

1.10

insiste in particolare sulla regolamentazione della vendita di contenuti digitali, che considera prioritaria, e relativamente a essa, per motivi pratici, accetta la formula proposta dalla Commissione di armonizzazione massima mirata;

1.11

è in quest’ambito che si riscontrano tuttavia carenze nelle previsioni e difetti nelle disposizioni, che risultano incompatibili con un’armonizzazione massima e creano difficoltà insormontabili per il recepimento e l’applicazione negli Stati membri, a cui il Comitato cerca di ovviare con una serie di proposte specifiche.

2.   Introduzione: una comunicazione, due proposte di direttiva

2.1

Con la già citata comunicazione, la Commissione compie il primo passo nell’attuazione della strategia per il mercato unico digitale per l’Europa (1) e realizza una delle misure più importanti del suo programma di lavoro per il 2015 (2). La proposta è intesa a «migliorare l’accesso online ai beni e servizi in tutta Europa per i consumatori e le imprese», e consiste di due strumenti giuridici:

a)

una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente taluni aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale;

b)

una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni.

2.2

Consapevole del fatto che, da un punto di vista sistematico, i principali aspetti delle due proposte sono strettamente correlati alla direttiva su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo (3), la Commissione ha sottolineato che esse sono «il più possibile coerenti». Ha poi precisato che «ha tuttavia deciso di adottare due strumenti legislativi dato che la specificità dei contenuti digitali richiede che varie disposizioni siano regolamentate diversamente da quelle relative ai beni» e che «il rapido sviluppo tecnologico e commerciale dei contenuti digitali richiederà un riesame dell’applicazione» della direttiva, anche al fine di giustificare l’incorporazione di dette disposizioni «in un unico strumento giuridico, ossia la direttiva relativa alla fornitura di contenuto digitale».

2.3

Con queste due proposte, la Commissione intende conseguire cinque obiettivi:

a)

riduzione dei costi derivanti dalle differenze tra le norme di diritto contrattuale;

b)

certezza del diritto per le imprese;

c)

incentivazione degli acquisti transfrontalieri online nell’UE;

d)

limitazione del danno subito in caso di contenuti digitali difettosi;

e)

equilibrio generale tra gli interessi dei consumatori e quelli delle imprese, e miglioramenti nella vita quotidiana.

2.4

La Commissione ritiene che in entrambi i casi l’armonizzazione «mirata» costituisca il metodo più appropriato. Saranno armonizzate completamente le norme applicabili ai contratti di fornitura di contenuto digitale e di vendita online di beni, nonché i diritti e gli obblighi imperativi delle parti in relazione ai suddetti contratti. Tale armonizzazione riguarda quasi tutte le disposizioni della direttiva, eccetto le norme relative alla formazione, alla validità e all’efficacia dei contratti, comprese le conseguenze della risoluzione del contratto (articolo 1, paragrafo 4, della proposta di direttiva sulla vendita a distanza), nonché taluni aspetti della loro esecuzione.

2.5

La Commissione limita espressamente il campo di applicazione alle disposizioni del diritto contrattuale applicabili alle relazioni tra imprese e consumatori, come indicato nella valutazione d’impatto (pag. 23), non essendovi indizi atti a far ritenere che le differenze in materia di diritto contrattuale impediscano alle imprese dell’UE di acquistare online in altri Stati membri. Riconosce che le PMI, in quanto parti più deboli con minore potere negoziale, incontrano anche difficoltà connesse con il diritto contrattuale, in particolare nell’utilizzo di contenuti digitali. Tuttavia alla luce, in particolare, delle posizioni espresse dalle parti interessate e dagli Stati membri, la Commissione ha deciso di analizzare la questione attraverso altre iniziative annunciate nel quadro della strategia per il mercato unico digitale.

2.6

Quanto allo strumento giuridico prescelto, la Commissione giustifica la sua decisione di optare per una direttiva anziché un regolamento nella convinzione che le direttive costituiscano strumenti più appropriati, nella misura in cui concedono agli Stati membri la libertà di scegliere la forma di recepimento nel diritto nazionale. A suo giudizio, questa opzione, associata a una piena armonizzazione mirata dei diritti imperativi dei consumatori, consentirà di stabilire un giusto equilibrio tra un elevato grado di protezione dei consumatori nell’UE e un significativo aumento delle opportunità per le imprese.

2.7

Secondo la Commissione tali direttive trovano giustificazione economica in alcune ipotesi, tra cui le seguenti:

a)

il mercato europeo del commercio elettronico ha ancora un grande potenziale di crescita da realizzare;

b)

la creazione di un mercato unico digitale stimolerà una crescita supplementare in Europa;

c)

le imprese dell’UE potranno rafforzare la loro competitività vendendo più facilmente su un mercato più ampio di quello costituito dai mercati nazionali;

d)

se i diritti dei consumatori saranno omogenei e il livello di protezione elevato, la loro fiducia in caso di acquisti effettuati all’estero è destinata ad aumentare;

e)

se fossero eliminati gli ostacoli connessi al diritto contrattuale, il numero di imprese dedite alle vendite transfrontaliere online aumenterebbe di circa 122 000 unità. Il commercio transfrontaliero dell’UE potrebbe aumentare di quasi 1 miliardo di euro. Grazie alla maggiore concorrenza nel commercio al dettaglio online, i prezzi al dettaglio caleranno in tutti gli Stati membri (in media, -0,25 % a livello europeo), contribuendo a incrementare direttamente il consumo delle famiglie nell’UE di circa 18 miliardi di euro;

f)

una scelta più ampia di prodotti e servizi porterà a un incremento del benessere dei consumatori. Tra 7,8 e 13 milioni di nuovi consumatori inizierebbero ad effettuare acquisti online transfrontalieri. Si prevede che, complessivamente, il PIL reale dell’UE aumenti di circa 4 miliardi di euro l’anno.

2.8

Tuttavia, per conseguire i suddetti risultati non sono sufficienti le due direttive proposte, che infatti fanno parte di un pacchetto di misure più grande tra le quali la Commissione sottolinea, in particolare:

a)

la proposta di regolamento sulla portabilità transfrontaliera dei servizi di contenuti online;

b)

lo sviluppo di servizi di consegna transfrontaliera di pacchi di elevata qualità;

c)

l’eliminazione del geoblocco;

d)

l’entrata in funzione della piattaforma di risoluzione delle controversie online (4).

2.9

Infine, la Commissione sottolinea l’importanza di «agire ora», prima che sia troppo tardi, poiché un eventuale ritardo nel settore dei contenuti digitali comporta il rischio di veder adottare disposizioni nazionali che si tradurranno in una frammentazione del mercato unico oppure ostacoleranno la partecipazione dei consumatori e dei fornitori alle operazioni transfrontaliere.

3.   Osservazioni generali

3.1

Presumibilmente, le ragioni economiche e psicologiche che spiegano il rapporto tra, da un lato, le misure legislative proposte e l’aumento del volume del commercio elettronico e, dall’altro, le loro necessarie ripercussioni sulla crescita a livello europeo dovrebbero essere indicate nello studio allegato di valutazione d’impatto. Tuttavia, da un’analisi dettagliata di tale documento non risulta evidente né certo che i dati dai quali parte e ai quali arriva siano assolutamente affidabili, che altri fattori non li influenzino e che altre opzioni non potrebbero produrre risultati migliori.

3.1.1

Anche considerando precisi i dati statistici di partenza, secondo i quali il 62 % dei commercianti europei, pari a oltre 122 000 imprese (pag. 10), e più del 13,5 % dei consumatori (pag. 13), ossia da 8 a 13 milioni di persone (che porterebbero il totale a 70 milioni), inizierebbero a effettuare acquisti transfrontalieri online se fossero eliminati i relativi ostacoli e costi addizionali derivanti direttamente dal sistema giuridico attualmente in vigore, non è possibile determinare con certezza quale aumento del volume di affari così prodotto giustificherebbe la conseguente crescita stimata del PIL europeo dello 0,03 %, pari a circa 4 miliardi di euro; è sicuro, invece, che ciascuna impresa dovrà sostenere in media costi pari a 7 000 EUR per adeguare gli strumenti contrattuali al nuovo regime.

3.1.2

D’altro canto, lo studio non spiega in maniera debitamente quantificata perché altri fattori aggiuntivi — ad esempio la questione linguistica o i sistemi fiscali, la qualità, il costo e la disponibilità dei servizi Internet ad alta velocità, il rischio di frode, i costi della giustizia, la sicurezza dei mezzi di pagamento, la certificazione dell’identità e della correttezza dei venditori, la mancanza di fiducia nelle procedure di risoluzione dei conflitti giudiziali ed extragiudiziali — non continueranno ad incidere in modo decisivo sulla scelta di effettuare acquisti online a livello transfrontaliero, forse più dell’attuale sistema giuridico (descritto alle pagine 7 e seguenti e 18 e seguenti della valutazione d’impatto).

3.1.2.1

Sono particolarmente importanti in questo contesto — e quindi menzionati in tutti gli studi richiesti dalla Commissione — i ritardi nel recepimento e la difficoltà di applicazione, oltre che la mancata operatività di taluni sistemi di risoluzione extragiudiziale delle controversie (ADR) istituiti dalla direttiva 2013/11/UE (5) per ragioni spesso legate alla mancanza di mezzi finanziari di taluni Stati membri e, ancor più, all’apparente inefficacia del sistema di risoluzione delle controversie online (ODR) attuato dal regolamento (UE) n. 524/2013 (6), entrato in vigore il 15 febbraio 2016 ed essenziale per il funzionamento di un mercato unico digitale.

3.1.3

Non è chiaro, peraltro, quale sia il peso relativo dell’elasticità dell’offerta e della domanda nel calcolo della saturazione del mercato in termini di concorrenza perfetta, il che, a ogni modo, essendo un’ipotesi puramente teorica, è essenziale per la credibilità del modello; non vanno poi dimenticati i fattori esterni della politica macroeconomica che incidono in modo decisivo sulle decisioni d’acquisto dei consumatori, come le conseguenze delle politiche di austerità rispetto a quelle di crescita di tipo keynesiano, basate sul consumo e sugli investimenti.

3.1.4

Infine, la valutazione effettuata dalla Commissione fa riferimento al modello proposto e non tiene sufficientemente conto delle conseguenze economiche degli altri quattro possibili modelli (valutazione d’impatto, pag. 23 e seguenti), che contribuirebbero anch’essi all’eliminazione dei medesimi ostacoli, in modo da fornire un’analisi comparativa, in particolare l’opzione 5 — un contratto modello europeo facoltativo in combinazione con un marchio di fiducia UE (pag. 25) — pur essendo quella che avrebbe comportato costi limitati e sarebbe semplice e poco onerosa a livello burocratico (pag. 38 e seguenti), ossia quella che meglio corrisponderebbe ai principi del pacchetto «Legiferare meglio» (7) e del programma REFIT (8) e che ha raccolto un sostegno nel quadro delle consultazioni preparatorie.

3.2

La scelta delle direttive di armonizzazione massima, inoltre, non è debitamente giustificata. Il CESE ha affermato, in termini generali, di essere più favorevole all’adozione di regolamenti (da redigere in maniera dettagliata in funzione delle necessità), quando si tratti di armonizzare materie che rientrano nell’ambito del funzionamento del mercato interno; per quanto riguarda le materie che incidono in modo particolare sui diritti dei consumatori, il Comitato ha infatti dichiarato di preferire le direttive di armonizzazione minima, come risulta peraltro da esplicita disposizione del TFUE (articolo 169, paragrafo 4).

3.2.1

Il CESE si è invece dichiarato più volte contrario alla tendenza della Commissione, fattasi prevalente negli ultimi anni, ad adottare direttive di armonizzazione massima, che hanno garantito un livello di protezione ridotto e risposto in modo inadeguato agli interessi degli operatori (9).

3.2.2

Nel caso in esame c’è tutta una serie di questioni che le direttive non trattano e che è essenziale armonizzare, ad esempio: la capacità dei minori di concludere contratti in ambito digitale (tra i 13 e i 16 anni, nell’ultima versione della direttiva sulla protezione dei dati), la definizione di categorie di clausole abusive specifiche per i contratti online (non previste dalla direttiva 93/13/CEE (10)), la recente prassi del pulsante «paga ora» (pay now) nelle pagine di alcune reti sociali senza alcun rinvio al sito di una piattaforma responsabile e l’inserimento auspicabile di una clausola-tipo sulla coregolamentazione.

3.3

Il CESE non considera giustificata neanche la scelta di due direttive invece di una sola, in quanto tale opzione duplica inutilmente le disposizioni giuridiche, comporta maggiori difficoltà di recepimento per rispettare la coerenza con le norme interne di ciascuno Stato membro e obbliga a un maggiore sforzo interpretativo, che sarebbe totalmente superfluo se la lettera della direttiva sulla vendita online di beni materiali fosse presa come base e le specificità della vendita di beni non materiali fossero incluse tra le deroghe al regime di base, in quanto la distinzione tra beni materiali e contenuti digitali, in particolare quando sono collegati tra loro, non è affatto evidente.

3.4

Secondo la Commissione, la scelta dello strumento è avvenuta sulla base di 189 risposte raccolte nell’ambito di: una consultazione di tutte le categorie di portatori di interesse dell’intera l’UE, la consultazione di un gruppo di 22 organizzazioni rappresentative di una vasta gamma di interessi che si è riunito sette volte, seminari con gli Stati membri e riunioni sia con le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa (in seno al comitato di cooperazione per la tutela dei consumatori) che con le autorità nazionali responsabili della politica dei consumatori, nell’ambito della rete sulla politica dei consumatori (maggio 2015), che ha successivamente contestato la validità di tale campione vista la sua scala ridotta (11).

3.4.1

Tuttavia, esaminando i risultati noti e pubblicati (12), non si rileva una maggioranza chiara a favore dell’opzione selezionata: le organizzazioni dei consumatori si oppongono nettamente a qualsiasi forma di applicazione della legge del venditore, mentre la maggior parte delle organizzazioni professionali e degli esponenti del mondo accademico è favorevole a tale opzione. Dal canto suo la maggioranza degli Stati membri ha contestato la necessità di adottare nuovi atti legislativi in materia di acquisti a distanza (che già includono le vendite online) e, in particolare l’adeguatezza delle due direttive, tenendo conto della difficoltà di trarne orientamenti precisi e chiaramente definiti. A prima vista, un’analisi obiettiva delle risposte alle consultazioni farebbe pensare che l’opzione 5 riscuota un consenso generale tra gli operatori e i consumatori — in funzione, ovviamente, del contenuto delle norme contrattuali-tipo che il settore dovrà concordare e del grado di utilizzo e di accettazione del marchio di fiducia da parte delle imprese dell’UE — in particolare perché è quella che comporta meno costi a carico degli operatori.

3.5

Infine, occorre sottolineare che il CESE ha avuto modo di esprimersi in modo approfondito sul tema dei diritti dei consumatori nell’ambiente digitale in diversi pareri, nei quali ha definito un orientamento fondamentale: i diritti riconosciuti nel mondo «fisico» offline (nei contratti faccia a faccia) devono essere consoni all’universo online, fatte salve le caratteristiche specifiche o le forme adeguate alle transazioni di contenuti digitali (immateriali), ma sempre nel senso di un rafforzamento e non di una riduzione o indebolimento dei suddetti diritti. Con la proposta sulla vendita online di beni materiali, la Commissione ha creato due sistemi, istituendo un trattamento differente per la vendita di beni online e offline, il che è inaccettabile.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Le osservazioni generali suesposte non pregiudicano il pieno appoggio del CESE in rapporto alla necessità e opportunità di disciplinare alcune materie trattate nelle proposte di direttiva in esame, in particolare per quanto concerne la vendita online di contenuti digitali. In rapporto alla vendita online di beni materiali, il CESE raccomanda che le opportune misure siano adottate nel quadro del programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione (REFIT). Nelle osservazioni particolari che saranno ora formulate per ciascuna delle proposte, per evidenti limiti di spazio si farà rifermento soltanto ai punti di disaccordo rispetto al testo legislativo proposto.

4.2

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita online e di altri tipi di vendita a distanza di beni [COM(2015) 635 final — 2015/0288 (COD)]

4.2.1

Per quanto concerne la base giuridica e in linea con i pareri precedenti del CESE, i rappresentanti dei consumatori, nonché la maggior parte dei membri del Comitato, ritengono che questa debba essere invece l’articolo 169, paragrafo 2, del TFUE, dato che ad essere in causa è sostanzialmente la definizione dei diritti dei consumatori, oltre che la loro tutela e difesa, e non soltanto il completamento del mercato unico; alcuni membri del CESE, segnatamente i rappresentanti delle libere professioni, sono tuttavia d’accordo con la Commissione, in quanto mettono l’accento sulla realizzazione del mercato unico.

4.2.2

Poiché è stata scelta una direttiva, il CESE ritiene che questa debba puntare all’armonizzazione minima, sulla falsariga dell’attuale direttiva sulle vendite e garanzie (direttiva 1999/44/CE), in quanto la scelta compiuta conduce a una maggiore «frammentazione», a una minore certezza giuridica e a due classi di protezione, dato che i «miglioramenti» ora introdotti andrebbero applicati anche alle vendite nel «mondo fisico».

4.2.3

Vista la complessità della legislazione in materia di tutela dei consumatori, la proposta interagisce con una serie di altre norme integrandole (13), ma richiede uno sforzo d’interpretazione — inutile e difficile — che è contrario alle giudiziose regole del pacchetto Legiferare meglio, oltre a creare maggiori difficoltà di recepimento per l’allineamento con le norme nazionali già esistenti, attraverso le quali erano state recepite e integrate quelle norme comunitarie e che sono differenti da uno Stato membro all’altro.

4.2.4

Pertanto, il CESE preferirebbe che le norme stabilite in questa proposta di direttiva accompagnassero la revisione della direttiva 1999/44/CE nel quadro del programma REFIT.

4.2.5

Sono qui proposte modifiche specifiche per alcune disposizioni della proposta:

4.2.5.1    Articolo 1 — Oggetto

La stipula di contratti online o a distanza per la prestazione di certi servizi non dovrebbe essere esclusa dall’oggetto della direttiva, ad esempio per la locazione di beni (leasing).

4.2.5.2    Articolo 2 — Definizioni

1.

Il concetto di garanzia commerciale dovrebbe coprire anche altre forme di rimedio, altrimenti queste non saranno considerate soggette alle norme di cui all’articolo 15.

2.

Il concetto di articolo mobile materiale non è definito in modo positivo, il che dà adito a interpretazioni differenti da parte degli Stati membri.

3.

Non sono poi esclusi altri tipi di prodotti disciplinati da un’apposita normativa, come i prodotti farmaceutici e i dispositivi medici, che sono esclusi dal campo di applicazione di altre norme in materia di tutela dei consumatori.

4.

Non è indicato se le piattaforme online potranno essere considerate dei «venditori».

5.

Manca inoltre la definizione del concetto di produttore, ai fini della sua responsabilità diretta nei confronti del consumatore a norma dell’articolo 16.

4.2.5.3    Articolo 3 — Livello di armonizzazione

Il livello di armonizzazione dovrebbe essere minimo, con tutto quel che ne consegue necessariamente nel regime.

4.2.5.4    Articoli 4 e 5 — Conformità al contratto

1.

Il criterio di «durabilità» dovrebbe essere integrato (14), con l’effetto di condizionare il periodo di validità della garanzia.

2.

La definizione dei requisiti di conformità deve essere formulata in modo negativo, per esimere espressamente il consumatore dall’obbligo di provare che il bene non è conforme, facendo ricadere l’onere della prova sul venditore.

3.

La formulazione delle eccezioni configura una situazione di esclusione generale della responsabilità del venditore che non può essere invocata nei confronti del consumatore senza pregiudicare il diritto di recesso (applicabile nel caso VW).

4.2.5.5    Articolo 7 — Diritti dei terzi

Aggiungere alla fine «a meno che non sia esplicitamente concordato tra le parti e stabilito chiaramente nelle clausole del contratto».

4.2.5.6    Articolo 8 — Momento rilevante per la determinazione della conformità al contratto e inversione dell’onere della prova

1.

Aggiungere alla fine del paragrafo 2 «… ad eccezione delle situazioni in cui la particolare complessità dell’installazione richieda un periodo più lungo concordato con il venditore».

2.

I diritti che la proposta in esame attribuisce nel rapporto con il venditore dovrebbero essere trasmessi a qualsiasi possessore in buona-fede.

4.2.5.7    Articolo 9 — Rimedi del consumatore per difetto di conformità al contratto

1.

La disposizione esclude, come prima opzione, la possibilità di restituzione immeditata del bene e di rimborso dell’importo pagato, il che sarebbe in contrasto con i diritti dei consumatori riconosciuti, con varianti significative, in più Stati membri (Grecia, Portogallo, Irlanda, Regno Unito, Danimarca, Lituania).

2.

Il concetto di «termine ragionevole» è soggettivo e offre il destro a recepimenti differenti su un punto fondamentale, il che è incompatibile con l’essenza della massima armonizzazione. A titolo di esempio, in paesi come la Bulgaria, la Francia, il Portogallo e il Lussemburgo il termine è di 30 giorni, mentre in Ungheria, Romania, Grecia ed Estonia il termine è di 15 giorni. La disposizione deve stabilire un termine corrispondente a quello massimo praticato in alcuni Stati membri dell’UE, ossia 15 giorni.

3.

Il termine «impossibile» al paragrafo 3, lettera a) deve essere sostituito con «tecnologicamente impossibile».

4.

Analogamente, anche il concetto di «notevoli inconvenienti» è soggettivo e dovrebbe essere soppresso o sostituito con la formula impiegata nella normativa austriaca «il minor inconveniente possibile», e dovrebbe essere accompagnato dalla possibilità di mettere immediatamente a disposizione del consumatore un bene simile, per una sostituzione temporanea, finché non sarà conclusa la riparazione.

5.

La proposta della Commissione non ha tenuto conto del requisito, già previsto in varie legislazioni nazionali (Francia, Malta, Grecia, Romania, Portogallo e Slovenia), che impone ai produttori di mantenere, o di fornire in tempo debito ai venditori, uno stock adeguato di pezzi di ricambio per la durata di vita prevedibile del bene, una questione connessa all’obsolescenza programmata e al periodo di garanzia del pezzo sostituito.

6.

La Commissione dovrebbe stabilire l’obbligo di sostituzione temporanea per il venditore.

4.2.5.8    Articolo 10 — Sostituzione del bene

1.

La Commissione non ha previsto la sospensione della garanzia legale per la durata della riparazione o sostituzione, diversamente da quanto avviene nella maggior parte delle legislazioni nazionali. Lo stesso vale per la durata di eventuali mediazioni, arbitrati o ricorsi per vie legali.

2.

In caso di sostituzione, il bene dovrà beneficiare di un nuovo termine di garanzia, di identico tenore, a partire dalla data della consegna.

4.2.5.9    Articolo 11 — Scelta del consumatore tra riparazione e sostituzione

1.

Il termine «notevoli» deve essere eliminato per i motivi suesposti.

2.

In caso di difetti «ricorrenti», il consumatore deve avere automaticamente la possibilità di rescindere il contratto.

4.2.5.10    Articolo 13 — Diritto del consumatore alla risoluzione del contratto

1.

È altamente discutibile l’obbligo per il consumatore di pagare per l’impiego, il deterioramento o il perimento del bene, in caso di risoluzione del contratto.

2.

Inoltre, la Corte di giustizia dell’UE ha già indicato che, in caso di esercizio del diritto alla sostituzione, al consumatore non può essere richiesto il pagamento di una somma di denaro a titolo di rimborso per l’uso del prodotto difettoso (caso Quelle) (15).

3.

Non è chiaro quale sia la somma da rimborsare quando l’acquisto effettuato riguarda indistintamente vari beni comprati per un prezzo complessivo.

4.2.5.11    Articolo 14 — Termini

Il periodo dovrebbe tenere conto dei termini di garanzia esistenti in alcuni Stati-membri (Finlandia, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito), che prendono in considerazione la durabilità e l’obsolescenza programmata dei prodotti.

4.2.5.12    Articolo 15 — Garanzie commerciali

1.

Aggiungere al paragrafo 1 una nuova lettera, ossia la lettera d), del seguente tenore: «in altre garanzie offerte dal venditore a nome di terzi che riguardino la concessione di una garanzia (assicurazione di attrezzature, garanzie del marchio ecc.)».

2.

Devono inoltre essere riportate le informazioni sulla possibilità di trasferire la garanzia commerciale a terzi.

4.2.5.13    Articolo 16 — Diritto di regresso

1.

La mancata armonizzazione di questo aspetto spalanca la porta a discrepanze nell’applicazione della direttiva, con conseguenze pregiudizievoli per il commercio.

2.

La norma dovrebbe prevedere la responsabilità diretta e solidale del fabbricante nei confronti del consumatore, nel caso quest’ultimo opti per la riparazione o la sostituzione del bene.

3.

Dovrebbe inoltre prevedere che, in caso di regresso del venditore nei confronti del produttore, il primo ha diritto al rimborso integrale delle spese sostenute.

4.

Come nei punti precedenti, bisognerebbe prevedere la responsabilità solidale delle piattaforme online attraverso cui il consumatore ha acquistato il bene.

4.2.5.14    Articolo 17 — Controllo dell’osservanza

La mancata armonizzazione degli aspetti relativi alla vigilanza nell’applicazione della direttiva costituisce uno dei principali ostacoli all’effettiva tutela dei consumatori e a una concorrenza leale.

4.3

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente taluni aspetti dei contratti di fornitura di contenuto digitale [COM(2015) 634 final — 2015/0287 (COD)]

4.3.1

Come affermato dalla stessa Commissione europea, le sezioni riguardanti la motivazione, la consultazione di esperti e le valutazioni di impatto valgono per entrambe le proposte, visto che sono concepite come un pacchetto con obiettivi comuni. Il CESE si asterrà quindi dal ricordare questioni di carattere generale che sono comuni alle due proposte, e si limiterà a formulare osservazioni riguardanti aspetti specifici. È tuttavia importante indicare sin d’ora che, a livello generale, il CESE è d’accordo in linea di massima, segnatamente per quel che riguarda:

a)

una tutela speciale dei consumatori nell’acquisto online di beni immateriali, tenuto conto della crescente complessità dei prodotti, della mancanza di trasparenza nella contrattazione, dei maggiori pericoli per la sicurezza, la riservatezza e la protezione dei dati, delle forme particolari di pratiche sleali e clausole abusive, dei costi occulti, nonché dei prezzi variabili a seconda dell’ubicazione e della minore materialità dei mezzi utilizzati (Internet, cellulari, reti sociali ecc.);

b)

l’impellente necessità di stabilire una chiara regolamentazione in un settore in cui sembra che soltanto uno Stato membro (il Regno Unito) disponga di una normativa specifica per questo tipo di contratti;

c)

l’opportunità di portare avanti un’armonizzazione massima, con un livello elevato di protezione dei consumatori, limitatamente ai contratti tra impresa e consumatore (B2C), un obiettivo che peraltro sarebbe sempre perseguito più efficacemente con un regolamento;

d)

la necessità di definire in modo uniforme la natura giuridica di questo tipo di contratti;

e)

la necessità di un approccio globale a tutta una serie di altre misure delineate nella strategia per il mercato unico digitale, tra cui — in particolare — le iniziative connesse alla portabilità transfrontaliera dei contenuti, il ruolo delle piattaforme, la libera circolazione dei dati, l’iniziativa europea per le nuvole informatiche, gli oneri legati all’IVA, nonché altre azioni volte a garantire la portabilità e l’interoperabilità dei contenuti, alla luce dell’entrata in funzione della piattaforma di risoluzione delle controversie online (16) e della revisione del regolamento (CE) n. 2006/2004, del 27 ottobre 2004, sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori;

f)

la necessità di badare in particolare alla protezione delle persone in rapporto al trattamento dei dati personali, una materia che è disciplinata dalla direttiva 1995/46/CE del 24 ottobre 1995 (relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati) (17) e dalla direttiva 2002/58/CE del 12 luglio 2002 (sul trattamento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche) (18). Queste norme sono pienamente applicabili alla fornitura di contenuti digitali, nella misura in cui hanno implicazioni per il trattamento di dati personali;

g)

la revisione del pacchetto normativo per i servizi di comunicazione elettronica;

h)

la necessità di accordare un ruolo di primo piano ai contratti di cloud computing.

4.3.2

Sono qui proposte modifiche specifiche per alcune disposizioni della proposta, che si compone di 24 articoli (e non 20, come erroneamente indicato in alcune versioni linguistiche, cfr. punto 5):

4.3.2.1    Articolo 1 — Oggetto

La chiara natura di contratto per la prestazione di servizi, come indicato nell’oggetto e ben evidenziato nelle definizioni di «contenuto digitale» e «fornitura» di cui all’articolo 2, paragrafi 1 e 10 della proposta di direttiva in esame, rafforza la raccomandazione già avanzata per l’articolo 1 della precedente proposta di direttiva.

4.3.2.2    Articolo 2 — Definizioni

Si ripropone la raccomandazione di includere i singoli liberi professionisti nel campo di applicazione soggettivo relativo alla definizione di consumatore.

4.3.2.3    Articolo 3 — Campo di applicazione

1.

Il CESE può accettare che il pagamento sia fatto in natura («una controprestazione non pecuniaria»), purché questo concetto sia definito con precisione riguardo al contenuto, e, in caso di fornitura di dati a carattere personale o di altri dati, sarà necessario specificare quali e in che condizioni e circostanze.

2.

Sarà inoltre necessario chiarire se certi servizi — come la televisione a pagamento («pay TV»), Google e Facebook Messenger — sono compresi, e se certe piattaforme fisiche di accesso oppure l’Internet delle cose rientrano tra i beni materiali o immateriali.

3.

Non è chiaro se l’esclusione di cui al punto 5, lettera a) riguardi le cure sanitarie, i servizi del gioco d’azzardo o i servizi finanziari. Tale questione richiede un ulteriore chiarimento, per evitare l’incertezza giuridica.

4.

Non è chiaro se nel campo di applicazione siano compresi anche i cosiddetti «pagamenti occulti», ossia i servizi che sono forniti a titolo gratuito ma che possono, nel corso della loro esecuzione, inglobare altri servizi che sono in effetti già pagati.

5.

Il campo di applicazione relativo ai dati il cui trattamento è necessario — ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4 — deve comprendere non solo l’esecuzione, ma anche la «stipula del contratto»; il trattamento di tali dati dovrebbe essere autorizzato conformemente alle norme previste nella legislazione in materia di protezione dei dati personali.

6.

È inoltre fondamentale chiarire la differenza tra, da un lato, prodotti e servizi forniti online e, dall’altro, quelli che sono totalmente inglobati in beni materiali, come avviene per i cosiddetti «dispositivi indossabili» (wearables) o per l’Internet delle cose, in cui il processo avviene perlopiù a livello digitale, indipendentemente dall’esistenza — alla base — di un bene materiale.

7.

Bisogna precisare che i servizi di data centre, segnatamente quelli di cloud computing, vanno chiaramente identificati nella proposta in esame, indipendentemente dal fatto che siano gratuiti o soggetti a una controprestazione, dato che spesso sono associati ad altri servizi o prodotti forniti ai consumatori, con il rischio - quindi - di essere esclusi dal campo di applicazione della direttiva.

8.

È inoltre necessario chiarire nell’ambito di questo strumento se è compresa la combinazione tra servizi di contenuto digitale e servizi di comunicazione, come Facebook Messenger o Google Hangout, dato che tali servizi non sono attualmente regolamentati dalla direttiva 2002/21/CE sui servizi di comunicazione elettronica ed è opinione diffusa che alcuni di questi servizi debbano essere considerati servizi di comunicazione elettronica, con una tutela maggiore per il consumatore.

9.

Analogamente, non è chiara la distinzione tra le situazioni in cui i dati personali ottenuti riguardano soltanto l’esecuzione del contratto oppure il soddisfacimento di obblighi di legge. Per questo motivo il CESE propone, come misura precauzionale, l’applicazione della direttiva a tutti i servizi che siano prestati mediante la fornitura di dati personali, escludendo soltanto quelli in cui il fornitore dimostri espressamente che tali dati riguardano unicamente l’esecuzione del contratto o il soddisfacimento di obblighi di legge.

10.

Sempre in riferimento al punto 4, sarà necessario chiarire quando la raccolta di dati personali è rivolta unicamente all’esecuzione del contratto o al soddisfacimento di obblighi di legge, tenuto conto che in altri settori — come quello delle telecomunicazioni o dell’energia — i dati personali, la cui raccolta è autorizzata per l’esecuzione del contratto, sono spesso utilizzati per campagne commerciali delle imprese; in particolare, bisognerà chiarire se è applicabile una controprestazione non pecuniaria.

4.3.2.4    Articolo 4 — Livello di armonizzazione

Il CESE accoglie le ragioni della proposta di un’armonizzazione massima, poiché viene garantito il livello di tutela più alto per i consumatori.

4.3.2.5    Articolo 5 — Fornitura del contenuto digitale

Non è chiara la coincidenza tra l’obbligo di cui al punto 2, riguardante la fornitura immediata dei contenuti, e quanto disposto dalla direttiva 2011/83/UE, che per una fornitura immediata richiede il consenso del consumatore, ma prevede anche un diritto di recesso di 14 giorni [articolo 16, lettera m), della direttiva]. È quindi auspicabile un’armonizzazione delle regole in questo settore, allo scopo di eliminare il rischio di una sovrapposizione delle norme a danno di imprese e consumatori.

4.3.2.6    Articolo 6 — Conformità

1.

Al paragrafo 1, sopprimere «se del caso».

2.

Al paragrafo 1, lettera b), al posto di «ad ogni uso particolare voluto dal consumatore» inserire «ad ogni uso particolare a cui è destinato dal consumatore o a cui il consumatore intenda legittimamente destinarlo».

3.

Al paragrafo 2, lettera b), sopprimere «se del caso».

4.3.2.7    Articolo 9 — Onere della prova

Al paragrafo 3, sopprimere le parole «possibile e».

4.3.2.8    Articolo 11 — Rimedio per la mancata fornitura

La formulazione dell’articolo non tiene conto del modo di fornitura dei contenuti attraverso pacchetti temporanei; ad esempio, il mancato accesso a un film è difficile da quantificare in maniera proporzionale nel quadro del prezzo totale del pacchetto. Non viene inoltre considerata la possibilità (preferita dagli utenti) di fornire altri contenuti con lo stesso livello di prezzo.

4.3.2.9    Articolo 12 — Rimedi per difetto di conformità al contratto

Al punto 2, sostituire l’espressione «entro un periodo di tempo ragionevole» con la frase «senza indebito ritardo».

4.3.2.10    Articolo 13 — Risoluzione del contratto

1.

Al paragrafo 2, lettera b), sostituire la frase «il fornitore adotta tutte le misure in suo potere per astenersi» con le parole «il fornitore deve astenersi».

2.

Le lettere c), d) ed e) sono strettamente connesse alla regolamentazione del diritto d’autore (copyright) che non è ancora disponibile.

4.3.2.11    Articolo 16 — Diritto di recedere dai contratti a lungo termine

Il periodo deve essere di soli 6 mesi.

Bisogna indicare espressamente che è senza alcun costo.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Parere del CESE pubblicato sulla GU C 71 del 24.2.2016, pag. 65.

(2)  COM(2014) 910 final.

(3)  GU L 171 del 7.7.1999, pag. 12.

(4)  GU L 165 del 18.6.2013, pag. 1.

(5)  GU L 165 del 18.6.2013.

(6)  Cfr. nota 5.

(7)  Parere del CESE pubblicato sulla GU C 13 del 15.1.2016, pag. 192.

(8)  Parere del CESE pubblicato sulla GU C 230 del 14.7.2015, pag. 66.

(9)  Cfr. i pareri del CESE pubblicati sulla GU C 108 del 30.4.2004, pag. 81, sulla GU C 317 del 23.12.2009, pag. 54, e sulla GU C 181 del 21.6.2012, pag. 75.

(10)  Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, così come modificata dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25.10.2011.

(11)  Parere del CESE pubblicato sulla GU C 383 del 17.11.2015, pag. 57.

(12)  http://ec.europa.eu/justice/newsroom/contract/opinion/

(13)  Direttiva 2011/83/UE (GU L 304 del 22.11.2011, pag. 64); direttiva 2009/125/CE (GU L 285 del 31.10.2009, pag. 10); direttiva 2010/30/UE del 19.5.2010 (GU L 153 del 18.6.2010, pag. 1).

(14)  Cfr. il parere del CESE pubblicato sulla GU C 67 del 6.3.2014, pag. 23.

(15)  Caso C-404/06 — Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (Prima Sezione) del 17 aprile 2008, http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1461850459727&uri=CELEX:62006CC0404

(16)  GU L 165 del 18.6.2013, pag. 1.

(17)  GU L 281 del 23.11.1995, pag. 31.

(18)  GU L 201 del 31.7.2002, pag. 37.


ALLEGATO

I.

Il punto seguente è stato modificato a seguito di una proposta di emendamento di compresso che l’Assemblea ha approvato; tuttavia, almeno un quarto dei voti espressi era a favore del mantenimento della formulazione originale (articolo, paragrafo 4, del RI):

a)   Punto 3.4.1

Tuttavia, esaminando i risultati noti e pubblicati, non si rileva una maggioranza chiara a favore dell’opzione selezionata: le organizzazioni dei consumatori si oppongono nettamente a qualsiasi forma di applicazione della legge del venditore, mentre alcune le organizzazioni professionali e alcuni esponenti del mondo accademico sono favorevoli a tale opzione. Dal canto suo la maggioranza degli Stati membri ha contestato la necessità di adottare nuovi atti legislativi in materia di acquisti a distanza (che già includono le vendite online) e, in particolare l’adeguatezza delle due direttive, tenendo conto della difficoltà di trarne orientamenti precisi e chiaramente definiti. A prima vista, un’analisi obiettiva delle risposte alle consultazioni farebbe pensare che l’opzione 5 riscuota un consenso generale tra gli operatori e i consumatori — in funzione, ovviamente, del contenuto delle norme contrattuali-tipo che il settore dovrà concordare e del grado di utilizzo e di accettazione del marchio di fiducia da parte delle imprese dell’UE — in particolare perché è quella che comporta meno costi a carico degli operatori.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

115

Voti contrari:

91

Astensioni:

18

II.

Le seguente proposti di emendamento di compromesso, pur essendo state respinte dall’Assemblea, hanno tuttavia raccolto un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 4, del RI):

b)   Punto 4.2.1

Per quanto concerne la base giuridica e in linea con i pareri precedenti del CESE, la maggior parte dei membri del Comitato, compresi i rappresentanti dei consumatori, nonché la maggior parte dei membri del Comitato, ritengono che questa debba essere invece l’articolo 169, paragrafo 2, del TFUE, dato che ad essere in causa è sostanzialmente la definizione dei diritti dei consumatori, oltre che la loro tutela e difesa, e non soltanto il completamento del mercato unico; alcuni membri del CESE, segnatamente i rappresentanti delle libere professioni, sono tuttavia d’accordo con la Commissione, in quanto mettono l’accento sulla realizzazione del mercato unico necessità che gli imprenditori dispongano di una serie di regole chiare da rispettare.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

110

Voti contrari:

110

Astensioni:

10

L’articolo 56, paragrafo 6, del RI in del CESE stabilisce che, se nel corso di una votazione vi è parità tra voti favorevoli e voti contrari, il voto decisivo spetta al presidente di seduta. Sulla base di questa disposizione, il presidente di seduta há deciso di respingere la proposta di emendamento di compromesso.

c)   Punto 4.2.2

Poiché è stata scelta una direttiva, la maggior parte dei membri del CESE, compresi i rappresentanti dei consumatori, presso il CESE ritiene ritengono che questa debba puntare all’armonizzazione minima, sulla falsariga dell’attuale direttiva sulle vendite e garanzie (direttiva 1999/44/CE), in quanto la scelta compiuta conduce a una maggiore «frammentazione» e a una minore certezza giuridica. I rappresentanti delle libere professioni al CESE sono tuttavua d’accordo con la proposta di applicare la massima armonizzazione, per ragioni di chiarezza nell’applicazione dei diritti nel mercato unico.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

102

Voti contrari:

115

Astensioni:

14

d)   Punto 4.2.5.3

Articolo 3 — Livello di armonizzazione

La maggior parte dei membri del CESE, compresi i rappresentanti dei consumatori, afferma che il livello di armonizzazione dovrebbe essere minimo, con tutto quel che ne consegue necessariamente nel regime. I rappresentanti delle libere professioni sono invece favorevoli a una massima armonizzazione.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

112

Voti contrari:

114

Astensioni:

12

e)   Punto 4.2.5.4

Articoli 4 e 5 — Conformità al contratto

1.

Il criterio di «durabilità» dovrebbe essere integrato, con l’effetto di condizionare il periodo di validità della garanzia.

2.

La maggior parte dei membri del CESE, compresi i rappresentanti dei consumatori, afferma affermano che la definizione dei requisiti di conformità deve essere formulata in modo negativo, per esimere espressamente il consumatore dall’obbligo di provare che il bene non è conforme, facendo ricadere l’onere della prova sul venditore. I rappresentanti delle libere professioni raccomandano che la definizione dei requisiti di conformità sia formulata in modo generale. Il criterio principale per la determinazione della conformità dovrebbe essere quello di stabilire se i beni corrispondono a quanto convenuto (ad esempio per quanto riguarda il tipo, la quantità, la qualità e altre caratteristiche).

3.

La formulazione delle eccezioni configura una situazione di esclusione generale della responsabilità del venditore che non può essere invocata nei confronti del consumatore senza pregiudicare il diritto di recesso (applicabile nel caso VW).

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

99

Voti contrari:

126

Astensioni:

13

f)   Punto 4.2.5.7

Articolo 9 — Rimedi del consumatore per difetto di conformità al contratto

1.

I rappresentanti dei consumatori osservano che la La disposizione esclude, come prima opzione, la possibilità di restituzione immeditata del bene e di rimborso dell’importo pagato, il che sarebbe in contrasto con i diritti dei consumatori riconosciuti, con varianti significative, in più Stati membri (Grecia, Portogallo, Irlanda, Regno Unito, Danimarca, Lituania). I rappresentanti delle libere professioni concordano — in linea con l’armonizzazione massima — con la scelta di escludere tale opzione.

2.

I rappresentanti dei consumatori ritengono che il Il concetto di «termine ragionevole»è abbia carattere soggettivo e offre offra il destro a recepimenti differenti su un punto fondamentale, il che è incompatibile con l’essenza della massima armonizzazione. A titolo di esempio, in paesi come la Bulgaria, la Francia, il Portogallo e il Lussemburgo il termine è di 30 giorni, mentre in Ungheria, Romania, Grecia ed Estonia il termine è di 15 giorni. La disposizione deve stabilire un termine corrispondente a quello massimo praticato in alcuni Stati membri dell’UE, ossia 15 giorni. I rappresentanti delle libere professioni affermano che il concetto di «termine ragionevole» costituisce una formulazione giuridica oggettiva che, al tempo stesso, lascia un margine per l’applicazione a fattispecie diverse.

3.

Il termine «impossibile» al paragrafo 3, lettera a) deve essere sostituito con «tecnologicamente impossibile».

4.

Analogamente, i rappresentanti dei consumatori ritengono che anche il concetto di «notevoli inconvenienti»è abbia carattere soggettivo e dovrebbe debba essere soppresso o sostituito con la formula impiegata nella normativa austriaca «il minor inconveniente possibile», e dovrebbe nonché essere accompagnato dalla possibilità di mettere immediatamente a disposizione del consumatore un bene simile, per una sostituzione temporanea, finché non sarà conclusa la riparazione. I rappresentanti delle libere professioni osservano che si tratta di una formulazione giuridica nota, che lascia un margine per l’applicazione a fattispecie diverse.

5.

La proposta della Commissione non ha tenuto conto del requisito, già previsto in varie legislazioni nazionali (Francia, Malta, Grecia, Romania, Portogallo e Slovenia), che impone ai produttori di mantenere, o di fornire in tempo debito ai venditori, uno stock adeguato di pezzi di ricambio per la durata di vita prevedibile del bene, una questione connessa all’obsolescenza programmata e al periodo di garanzia del pezzo sostituito.

6.

La Commissione dovrebbe stabilire l’obbligo di sostituzione temporanea per il venditore.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

100

Voti contrari:

135

Astensioni:

2

g)   Punto 4.2.5.10

Articolo 13 — Diritto del consumatore alla risoluzione del contratto

1.

È altamente discutibile l’obbligo per il consumatore di pagare per l’impiego, il deterioramento o il perimento del bene, in caso di risoluzione del contratto.

2.

Inoltre, la Corte di giustizia dell’UE ha già indicato che, in caso di esercizio del diritto alla sostituzione, al consumatore non può essere richiesto il pagamento di una somma di denaro a titolo di rimborso per l’uso del prodotto difettoso (caso Quelle).

3.

Non è chiaro quale sia la somma da rimborsare quando l’acquisto effettuato riguarda indistintamente vari beni comprati per un prezzo complessivo.

4.

I rappresentanti delle libere professioni chiedono l’inserimento della disposizione di cui all’articolo 3, paragrafo 6, della direttiva 1999/44/CE, ai sensi della quale un difetto di conformità minore non conferisce al consumatore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

110

Voti contrari:

118

Astensioni:

18

h)   Punto 4.2.5.10

Articolo 13 — Diritto del consumatore alla risoluzione del contratto

1.

Secondo la maggior parte dei membri del CESE, compresi i rappresentanti dei consumatori, è È altamente discutibile l’obbligo per il consumatore di pagare per l’impiego, il deterioramento o il perimento del bene, in caso di risoluzione del contratto. I rappresentanti delle libere professioni appoggiano tuttavia questa disposizione.

2.

Inoltre, la Corte di giustizia dell’UE ha già indicato che, in caso di esercizio del diritto alla sostituzione, al consumatore non può essere richiesto il pagamento di una somma di denaro a titolo di rimborso per l’uso del prodotto difettoso (caso Quelle).

3.

Non è chiaro quale sia la somma da rimborsare quando l’acquisto effettuato riguarda indistintamente vari beni comprati per un prezzo complessivo.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

101

Voti contrari:

132

Astensioni:

10

i)   Punti 1.3 e 1.4

1.3

In ogni caso, relativamente alle questioni contemplate, i rappresentanti dei consumatori il CESE non concordano con la base giuridica invocata dalla Commissione e propone propongono invece di utilizzare l’articolo 169 del TFUE. Ne consegue che, in linea di principio, le misure adottate dovranno basarsi sulle direttive di armonizzazione minima, come risulta dal paragrafo 2, lettera a), e dal paragrafo 4 di tale articolo, come generalmente fa il legislatore europeo.

1.4

Ne consegue che, in linea di principio, le misure adottate dovranno basarsi sulle direttive di armonizzazione minima, come risulta dal paragrafo 2, lettera a), e dal paragrafo 4 di tale articolo, come generalmente fa il legislatore europeo. Tuttavia, i rappresentanti delle libere professioni concordano con la base giuridica invocata dalla Commissione, poiché sono in gioco questioni relative al mercato interno e le imprese hanno bisogno di una serie di regole chiare da rispettare.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

111

Voti contrari:

123

Astensioni:

12


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici in relazione all’attuale crisi nel settore dell’asilo»

[COM(2015) 454 final]

(2016/C 264/08)

Relatore:

Erik SVENSSON

La Commissione europea, in data 14 ottobre 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici in relazione all’attuale crisi nel settore dell’asilo»

[COM(2015) 454 final].

La sezione specializzata «Mercato unico, produzione e consumo», incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 220 voti favorevoli, 1 voto contrario e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

In un contesto in cui le amministrazioni aggiudicatrici sono sottoposte a una notevole pressione dato che devono risolvere i problemi urgenti provocati dalla crisi dei rifugiati e dei richiedenti asilo, il CESE prende atto della comunicazione della Commissione che fornisce precisazioni ma non contiene alcuna modifica.

1.2

Il CESE confida che sia la direttiva attualmente in vigore che la nuova direttiva possano offrire un margine di manovra sufficiente per una gestione più rapida, prevedendo la possibilità di ridurre drasticamente i termini per la presentazione delle offerte e di ricorrere all’aggiudicazione diretta.

1.3

Tuttavia, il CESE sottolinea l’importanza di:

assicurare un elevato grado di trasparenza e presentare una documentazione estremamente dettagliata,

non utilizzare la flessibilità legislativa in modo inappropriato,

perseguire soluzioni che permettano una successiva integrazione e aiuti supplementari,

assicurare che i contratti aggiudicati nelle situazioni di urgenza siano assegnati per un periodo di tempo limitato.

1.4

Non si può sottolineare abbastanza l’importanza del settore non profit in quanto va ad integrare l’aggiudicazione degli appalti pubblici. Grazie all’impegno di tale settore, molti paesi sono stati in grado di aiutare e sostenere un numero molto maggiore di persone di quanto non sarebbe stato possibile altrimenti.

1.5

Il CESE ritiene che sia importante ridurre le procedure burocratiche che determinano ritardi nelle procedure di appalto, nonostante il fatto che il quadro legislativo consenta una migliore gestione.

1.6

A causa di nuove e crescenti minacce, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di bandire appalti distinti per le misure di sicurezza e le soluzioni assicurative.

1.7

Il CESE sottolinea che nel caso dei rifugiati che scelgono di non chiedere asilo si presenta un problema analogo poiché anche in questo caso vi è l’urgente necessità di prestare servizi di assistenza, cura e protezione.

1.8

Il CESE sottolinea che, nel caso degli appalti pubblici legati alla crisi dei richiedenti asilo e dei rifugiati, occorre tenere conto anche di altri servizi che preparano e favoriscono la futura integrazione.

1.9

Il CESE chiede e raccomanda alla Commissione di chiarire la comunicazione anche per quanto riguarda l’aggiudicazione degli appalti pubblici nel contesto della crisi dei rifugiati oppure di elaborare un’ulteriore comunicazione che affronti la tematica degli appalti pubblici in risposta alla crisi dei rifugiati.

2.   Sintesi del documento della Commissione

2.1

L’Unione europea affronta attualmente numerose sfide in relazione a un afflusso improvviso e in rapida crescita di richiedenti asilo. Gli Stati membri devono tra l’altro soddisfare adeguatamente e tempestivamente i bisogni più immediati di tali richiedenti (alloggi, beni e servizi). La normativa europea in materia di appalti pubblici offre tutti gli strumenti necessari per soddisfare detti bisogni grazie alle disposizioni dell’attuale direttiva 2004/18/CE (1) (in appresso «la direttiva») e della più recente direttiva sugli appalti pubblici 2014/24/UE (2).

2.2

La comunicazione in esame non crea alcuna nuova disposizione legislativa. Essa comprende l’interpretazione della Commissione sulle disposizioni riguardanti: i) appalti di infrastrutture, per esempio gli alloggi, che possono essere messe a disposizione sia mediante la locazione di fabbricati esistenti che non richiedono notevoli adeguamenti (ossia lavori) sia mediante l’edificazione ex novo o la ristrutturazione di fabbricati esistenti, per cui è prevista una soglia di 5 186 000 EUR; ii) appalti di forniture quali tende, container, indumenti, coperte, letti e generi alimentari, con una soglia di 135 000 EUR (in precedenza 134 000 EUR) o 209 000 EUR (in precedenza 207 000 EUR) a seconda della natura dell’amministrazione aggiudicatrice; iii) appalti di servizi come pulizia, servizi sanitari, ristorazione, sicurezza, ai quali si applicano le medesime soglie previste per gli appalti di forniture. Sebbene la direttiva si applichi pienamente a tutti i servizi, sono previste delle disposizioni particolari per il «regime alleggerito» (un regime speciale per i servizi sociali e altri servizi specifici). Per i servizi assoggettabili a tale regime la soglia è stata fissata a 750 000 EUR.

2.3

Per gli appalti che rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva, l’amministrazione aggiudicatrice può scegliere di aggiudicare l’appalto seguendo una procedura aperta o ristretta. Il termine minimo di presentazione delle offerte nelle procedure aperte è di 52 giorni, ma può essere ridotto a 40 giorni se si utilizzano i mezzi elettronici. Nelle procedure ristrette i termini di scadenza sono di 37 giorni per la presentazione delle domande di partecipazione e ulteriori 40 giorni per la presentazione delle offerte dopo che l’amministrazione aggiudicatrice ha selezionato i candidati invitati a presentare un’offerta.

Se sussiste un’urgenza, la direttiva prevede una notevole riduzione dei termini generali con la possibilità di optare per a) la procedura ristretta «accelerata» in cui il termine per la presentazione delle domande di partecipazione è di 15 giorni e il termine per la presentazione delle offerte di 10 giorni, o per b) la «procedura negoziata senza previa pubblicazione» che permette di aggiudicare appalti per soddisfare i bisogni dei richiedenti asilo anche nei casi di maggiore urgenza.

2.4

Le amministrazioni aggiudicatrici dovranno valutare caso per caso la procedura da scegliere per l’aggiudicazione di appalti volti a soddisfare le necessità immediate dei richiedenti asilo (alloggi, beni e servizi).

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE prende atto della comunicazione della Commissione e concorda con la sua posizione generale secondo cui gli Stati membri devono essere in grado di soddisfare tempestivamente i bisogni più immediati dei richiedenti asilo.

3.1.1

Il CESE constata che la comunicazione in esame non contiene modifiche ma fornisce precisazioni e chiarimenti costruttivi.

3.2

A giudizio del CESE, è estremamente utile e opportuno che la Commissione si esprima proprio in questo momento sull’applicabilità delle norme in vigore, dato che molti paesi hanno accolto, anche se in misura diversa, un numero mai registrato prima di richiedenti asilo e che le amministrazioni aggiudicatrici, a livello sia nazionale che regionale, sono sottoposte a forti pressioni.

3.3

Il CESE condivide l’opinione espressa dalla Commissione nella comunicazione secondo cui le disposizioni della vigente direttiva 2004/18/CE e quelle della più recente direttiva 2014/24/UE, che dovrà essere recepita nel diritto nazionale entro il 18 aprile di quest’anno, sono sostanzialmente sufficienti per far fronte al numero crescente dei richiedenti asilo e alla maggiore pressione temporale provocati dall’attuale situazione in materia di asilo.

3.3.1

È della massima importanza che le norme in materia di appalti pubblici non costituiscano un ostacolo alla possibilità di far fronte a questa situazione e di fornire la protezione prevista dalla normativa in materia di asilo. Questo rischio è più evidente nei settori dell’alloggio, dei servizi sanitari, della sicurezza e della ristorazione.

3.3.2

Il CESE confida che la nuova direttiva e, pertanto, anche le nuove disposizioni nazionali, possano offrire un margine di manovra sufficiente per una gestione più rapida, prevedendo la possibilità di ridurre drasticamente i termini per la presentazione delle offerte.

3.3.3

In caso di estrema urgenza vi è inoltre la possibilità di ricorrere all’aggiudicazione diretta anche al di sopra della soglia stabilita.

3.4

Secondo il CESE, tuttavia, è di cruciale importanza assicurare un elevato grado di trasparenza e presentare una documentazione estremamente dettagliata qualora si ricorra a una procedura accelerata o all’aggiudicazione diretta.

3.4.1

Per garantire che la legge sugli appalti pubblici continui a godere del sostegno delle imprese, dei sindacati e delle altre organizzazioni della società civile, è di fondamentale importanza che nessuna delle parti - autorità o fornitori - utilizzi la flessibilità delle disposizioni in un modo inappropriato. Per questo motivo è molto importante che già durante la procedura si preveda la possibilità di un eventuale riesame. Per garantire una corretta attuazione si potrebbe prendere in considerazione una procedura di valutazione a posteriori (valutazione ex post).

3.4.2

È essenziale sottolineare l’importanza, anche in situazioni di urgenza, di perseguire soluzioni che permettano una successiva integrazione e aiuti supplementari. Questo vale in particolare per i gruppi vulnerabili, quali i minori non accompagnati, le donne in stato di gravidanza e le persone con disabilità.

3.5

Va sottolineato che, nei casi di estrema urgenza come quelli che stanno vivendo alcuni paesi dell’UE a seguito della crisi nel settore dell’asilo, vi è sempre il rischio che sia le amministrazioni aggiudicatrici che i fornitori cerchino delle «scorciatoie».

3.6

È importante limitare nel tempo l’aggiudicazione di contratti in situazioni di urgenza («procedura ristretta accelerata» o «procedura negoziata senza previa pubblicazione»), di modo da poter tornare quanto prima alle normali condizioni operative.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

È fondamentale sottolineare che il settore non-profit ha fornito un contributo significativo, in aggiunta all’aggiudicazione degli appalti pubblici. Questo è stato determinante per i paesi che hanno accolto il maggior numero di richiedenti asilo, ad esempio la Germania e la Svezia. Senza il contributo del settore non profit non avremmo potuto far fronte al numero dei richiedenti asilo registrato in questi paesi.

4.1.1

Anche gli operatori che altrimenti avrebbero maggiori difficoltà ad aggiudicarsi dei contratti (ad esempio, le organizzazioni senza fini di lucro) hanno ora la possibilità di ricorrere all’aggiudicazione diretta.

4.2

Benché il quadro normativo permetta una reazione tempestiva, (troppo) spesso le autorità spesso hanno bisogno di tempi troppo lunghi. Le procedure burocratiche possono determinare ritardi nelle procedure di appalto.

4.3

Potrebbe essere utile citare l’esempio concreto dello Stato membro dell’UE che, in proporzione alle sue dimensioni e assieme alla Germania, ha accolto il maggior numero di richiedenti asilo provenienti essenzialmente dalla Siria.

4.3.1

Nel novembre 2015 il governo svedese ha esaminato l’opportunità di modificare la legislazione per far fronte alla situazione di estrema difficoltà creatasi con l’arrivo dei richiedenti asilo.

4.3.2

L’amministrazione aggiudicatrice svedese ha ribattuto che le norme in materia di appalti previste dalla direttiva UE permettono sia una reazione tempestiva in casi di estrema urgenza sia la tutela dell’interesse generale e un adeguato bilanciamento degli interessi.

4.4

Affinché le amministrazioni aggiudicatrici possano garantire la qualità e la necessaria rapidità, esse dovrebbero, secondo il CESE, effettuare un sondaggio di mercato che permetta di individuare i fornitori possibili e disponibili nonché i costi previsti, prima che la situazione diventi critica.

4.5

Il CESE sottolinea l’importanza che l’amministrazione aggiudicatrice non rinvii la conclusione dei contratti bensì che vi proceda con la rapidità richiesta dalle circostanze.

4.6

Dall’esperienza emerge che i costi per la sicurezza e le assicurazioni sono aumentati in misura significativa (fino a tre volte) a causa delle minacce e degli eventi verificatisi.

4.7

Al fine di ridurre le incertezze nel settore degli appalti e accrescere la disponibilità di soluzioni possibili, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di bandire appalti distinti per le misure di sicurezza e le soluzioni assicurative.

5.   Commenti e osservazioni sulle questioni che non vengono affrontate nella comunicazione della Commissione

5.1

Il CESE sottolinea che nel caso dei rifugiati che scelgono di non chiedere asilo si presenta un problema analogo. Anche in questo caso vi è infatti l’urgente necessità di prestare servizi di assistenza, cura e protezione nonché di soddisfare i bisogni umani più fondamentali.

5.2

Il CESE è dell’avviso che, per quanto riguarda gli appalti pubblici nel settore degli alloggi, dell’assistenza e dei servizi sia per i richiedenti asilo che per altri rifugiati, occorre tenere conto anche di servizi che preparano alla vita quotidiana e a un’eventuale integrazione futura e favoriscono tali processi. Tali servizi urgenti comprendono le formazioni linguistiche e, nella migliore delle ipotesi, l’avviamento professionale.

5.2.1

Attualmente esistono già alcuni esempi concreti di appalti nel settore della formazione linguistica, della formazione alla guida e di altre attività importanti che vengono assicurati dal settore non profit, dalle chiese e dalle associazioni.

5.3

Nei paesi con deboli finanze pubbliche, in cui vi è il rischio che le autorità non paghino per i servizi prestati sulla base di contratti, è fondamentale che i pagamenti siano effettivamente eseguiti.

5.4

Infine, il CESE ritiene essenziale che la Commissione chiarisca la comunicazione alla luce del più ampio contesto, esaminando anche l’aggiudicazione degli appalti pubblici nel quadro della crisi sia dei richiedenti di asilo che dei rifugiati, oppure elaborando un’ulteriore comunicazione sull’aggiudicazione degli appalti pubblici in risposta alla crisi dei rifugiati.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134 del 30.4.2004, pag. 114; parere del CESE: GU C 193 del 10.7.2001, pag. 7).

(2)  Direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE (GU L 94 del 28.3.2014, pag. 65; parere del CESE: GU C 191 del 29.6.2012, pag. 84).


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/77


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi»

[COM(2015) 750 final – 2015/0269 (COD)]

(2016/C 264/09)

Relatore:

Paulo BARROS VALE

Il Consiglio e il Parlamento europeo, in data 14 dicembre 2015, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 91/477/CEE del Consiglio, relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi»

[COM(2015) 750 final – 2015/0269 (COD)].

La sezione specializzata «Mercato unico, produzione e consumo», incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 176 voti favorevoli, 8 voti contrari e 20 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Se le questioni relative alle armi sono sempre oggetto di controversia, i tragici avvenimenti occorsi in Europa spingono verso una discussione ancor più accesa su questo argomento. Tuttavia, l’esame sulla revisione della direttiva deve necessariamente essere compiuto in modo più imparziale e obiettivo, analizzando in maniera equilibrata le questioni relative alla sicurezza e al mercato, e lasciando l’aspetto essenziale della lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata ad altri dibattitti più consoni alla gravità del tema.

1.2

Secondo uno studio sulle armi da fuoco dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC) (1), si stima che nel 2007 fossero in circolazione circa 875 milioni di armi, di cui solo il 3 % e il 23 % erano rispettivamente in possesso delle forze di polizia e delle forze armate. In un’industria di queste dimensioni, spetta al legislatore trovare e imporre i mezzi migliori per attenuare la pericolosità latente nel possesso di un numero così elevato di armi.

1.3

Il CESE appoggia l’adozione della direttiva in esame che chiarisce le definizioni e introduce nuovi requisiti e regole più coerenti per la marcatura e la distruzione delle armi, oltre a proporre azioni che si ritiene possano contribuire ad aumentare la sicurezza dei cittadini.

1.4

L’Unione europea ha prodotto una nutrita legislazione in molti settori, ma questo non vale per l’industria degli armamenti, in cui le regole imposte sono rimaste al di sotto di quello che sarebbe possibile per garantire la sicurezza e la tracciabilità delle armi, nonché per rintracciare le persone coinvolte in atti delittuosi. Occorre quindi essere determinati negli obiettivi da raggiungere in un settore così delicato come quello della sicurezza.

1.5

Vista l’importanza della tracciabilità non solo delle armi ma anche delle munizioni, secondo il CESE nel medio/lungo periodo andrà valutata la possibilità di spingere l’industria a evolvere in modo da far marcare i proiettili in maniera indelebile e in un punto che non si distrugga con l’uso. Se tecnicamente possibile, questi e altri dati riguardanti le armi, che andranno messi a disposizione in banche dati interoperabili dalle forze dell’ordine, contribuirebbero notevolmente a migliorare l’efficienza delle indagini. Queste banche dati non devono limitarsi a fungere da registro nazionale, ma devono piuttosto costituire una banca dati a livello europeo, alimentata e consultata dalle autorità di ciascuno Stato membro.

1.6

Secondo il CESE, l’Europa potrebbe valutare la possibilità di seguire l’esempio australiano e britannico nei suoi programmi di acquisto di armi e, quindi, riuscire a ritirare dalla circolazione molte migliaia di armi. Può non essere provato il collegamento diretto tra il numero di armi in circolazione e la quantità di reati, ma statisticamente le probabilità che vengano commessi reati, si verifichino incidenti, e persino che le armi finiscano in mano a delinquenti, sarebbero minori.

1.7

L’evoluzione tecnologica della stampa a 3D è fonte di pericolo, in quanto consente di produrre, senza alcuna possibilità di controllo o tracciatura, armi che sono letali quanto quelle fabbricate con metodi più tradizionali. Occorre aggiungere che queste armi sono in gran parte prodotte con materiali che non sono rilevabili con i sistemi di sicurezza tradizionali. È urgente inserire questo tema nell’agenda in materia di sicurezza degli Stati affinché, di comune accordo, possano essere adottate misure che impediscano la proliferazione di armi letali senza alcun tipo di controllo.

2.   Contesto della proposta

2.1

In un contesto che suscita particolare preoccupazione in rapporto alla sicurezza, la Commissione propone una modifica della direttiva 91/477/CEE (2), già modificata dalla direttiva 2008/51/CE (3), relativa al controllo dell’acquisizione e della detenzione di armi.

2.2

Tale modica è inquadrabile nel contesto dell’agenda europea sulla sicurezza, presentata il 28 aprile 2015, che è volta a garantire una risposta efficace e coordinata a livello europeo alle minacce alla sicurezza. L’agenda europea sulla sicurezza ha individuato nelle differenze tra le legislazioni nazionali un ostacolo all’efficacia dei controlli e alla cooperazione tra le forze di polizia degli Stati membri, e ha chiesto la revisione sia della normativa sulle armi da fuoco che delle regole per la disattivazione di tali armi.

2.3

L’obiettivo della direttiva consiste nel facilitare il funzionamento del mercato interno in materia di armi da fuoco - senza pregiudicare la sicurezza dei cittadini - attraverso la definizione di norme da adottare lungo tutto il ciclo di vita delle armi da fuoco, dalla produzione fino alla loro distruzione.

2.4

La direttiva stabilisce i requisiti minimi che ogni Stato membro deve imporre per quanto concerne l’acquisizione, la detenzione e il trasferimento di armi di varie categorie, comprese quelle destinate alle attività di caccia e di tiro a segno.

2.5

Quale base per la revisione dell’attuale quadro giuridico, sono state condotti tre studi in merito all’adeguatezza della legislazione in vigore ed è stata tratta la conclusione che è opportuno sia adottare norme minime a livello dell’UE sul traffico illecito di armi che rivedere la direttiva vigente in modo da:

armonizzare le norme di marcatura delle armi;

adottare norme e procedure comuni, e introdurre obblighi di registrazione per le armi da fuoco disattivate;

definire procedure riguardanti la convertibilità delle armi d’allarme, di quelle da segnalazione e delle riproduzioni;

promuovere lo scambio di conoscenze tra gli Stati membri, nonché la creazione e la manutenzione di banche dati sulla fabbricazione, detenzione e disattivazione delle armi;

definire un approccio concordato per la classificazione delle armi da fuoco destinate alla caccia o al tiro a segno.

2.6

La Commissione ha sentito le parti interessate, ossia i rappresentati delle associazioni europee dei fabbricanti di armi da fuoco e munizioni a uso civile, i soggetti operanti nel commercio di armi per uso civile, i cacciatori, i collezionisti, le ONG, gli istituti di ricerca ecc. Gli Stati membri e le ONG hanno convenuto sull’utilità dell’attuale direttiva allo scopo di impedire lo sviamento delle armi da fuoco verso il mercato illegale, mentre i soggetti del settore privato hanno espresso preoccupazione riguardo alla modifica delle categorie di armi da fuoco e al relativo impatto sulle piccole e medie imprese.

2.7

Secondo le parti interessate consultate dalla Commissione, la riattivazione delle armi disattivate rappresenta una delle principali fonti delle armi utilizzate per scopi criminosi e, a loro avviso, per combattere questa pratica è prioritario armonizzare le regole sulla disattivazione.

2.8

La necessità dello scambio di informazioni tra Stati membri, l’armonizzazione delle definizioni e l’elaborazione di norme minime per gli orientamenti riguardanti la disattivazione delle armi costituiscono punti di convergenza tra le parti interessate consultate.

3.   Osservazioni generali

I tragici avvenimenti degli ultimi tempi hanno accelerato il dibattito sul commercio e sull’impiego delle armi. Poiché tuttavia non si può confondere la sicurezza dei cittadini, che è sempre più minacciata dal terrorismo, con la detenzione di armi, è urgente combattere con convinzione il permissivismo nella messa a disposizione delle armi da fuoco che continua a porre in mano a gruppi radicali, alla criminalità organizzata e a persone disturbate con motivazioni incomprensibili, i mezzi per perpetrare crimini orrendi. Non bisogna infine dimenticare la criminalità in generale, i suicidi e gli incidenti dovuti ad armi da fuoco.

3.1

I chiarimenti ora proposti migliorano notevolmente la direttiva precedente e sono quindi accolti favorevolmente dal CESE. Queste proposte non hanno lo scopo di bandire le armi da fuoco, bensì di armonizzare le norme applicate per quanto riguarda l’acquisizione e la detenzione di armi durante tutto il loro ciclo di vita, in modo da regolamentare il mercato e garantire la sicurezza.

Il CESE, dopo aver consultato le parti interessate, in particolare le forze di polizia, i rappresentanti dell’industria, del commercio, dei consumatori, dei collezionisti, e le ONG attive nel campo della sicurezza dei cittadini, ritiene tuttavia che la legislazione debba ambire a qualcosa di più in questo campo, tenuto conto dei problemi che persistono sul piano della sicurezza. La Commissione non deve legiferare solo in risposta immediata ai recenti fatti di terrorismo, ma piuttosto farlo con il proposito di risolvere la questione della sicurezza delle armi da fuoco legali.

3.2

Sono stati condotti vari studi sul controllo delle armi. Alcuni indicano che le restrizioni in materia di armi riducono la violenza (4), gli incidenti (5) e i suicidi (6), menti altri sostengono che l’autorizzazione a detenere armi, se concessa a cittadini senza precedenti penali e problemi di salute mentale, porta a una riduzione dei reati violenti, senza che al tempo stesso si registri un aumento significativo dei suicidi o degli incidenti (7).

3.2.1

In materia di controllo delle armi, il caso australiano è paradigmatico. Dopo che un uomo era entrato in un caffè e aveva assassinato 35 persone e ferito altre 23 con due armi, nel 1997 l’Australia ha dato inizio a quella che è considerata - a memoria d’uomo - una delle più grandi riforme della normativa sull’impiego e la detenzione di armi, i cui effetti sono osservabili nella diminuzione dei decessi causati da armi da fuoco. Questo paese ha bandito alcuni tipi di armi, ha introdotto l’obbligo di un motivo legittimo per il possesso di un’arma (che non può essere esclusivamente l’autodifesa) e ha finanziato un programma di acquisto di armi da parte dello Stato. Questa iniziativa ha contribuito al ritiro dalla circolazione di circa 700 000 armi e, assieme ad altre restrizioni, ha fatto diminuire drasticamente il tasso degli omicidi commessi con armi da fuoco (8).

3.2.2

Il programma di acquisto di armi attuato dall’Australia era basato sull’idea che la grande disponibilità di armi permette agli impulsi omicidi delle persone di tradursi più facilmente in atto commettendo un eccidio.

3.2.3

Analogamente all’Australia, dopo l’uccisione di 15 persone in sparatorie accidentali nelle quali ne rimasero ferite altre 15, anche il Regno Unito ha vietato l’impiego di alcuni tipi di arma, ha introdotto l’obbligo di registrazione per i proprietari e ha finanziato un programma per l’acquisto di armi. In questo caso, l’effetto prodotto non è stato uguale a quello dell’Australia per quanto riguarda il rapporto tra numero di decessi e armi da fuoco (9).

3.2.4

L’ultimo grande studio sul controllo delle armi, pubblicato nel febbraio 2016, ha esaminato altri 130 studi condotti in 10 diversi paesi tra il 1950 e il 2014 (10). Gli autori ritengono che, pur non essendo dimostrato che le leggi restrittive riducono la violenza, i dati raccolti lasciano intendere che, in certi paesi, l’applicazione di leggi volte a restringere l’accesso a vari tipi di armi si associa alla riduzione del numero di decessi dovuti ad armi da fuoco. Inoltre, l’imposizione di leggi che hanno inasprito le condizioni per l’acquisizione di armi da fuoco (ad esempio, il controllo dei precedenti penali) o l’accesso alle armi (ad esempio, l’immagazzinamento) è rispettivamente associata a un calo degli omicidi per motivi passionali e delle morti accidentati di bambini.

3.3

Tenendo conto di questi esempi e studi, il CESE sostiene che vanno applicate norme rigorose per quanto riguarda il conseguimento della licenza di porto d’armi, l’acquisizione di armi e munizioni, il divieto di taluni tipi di armi, la disattivazione e persino i programmi per l’acquisto di armi da parte degli Stati membri in vista della loro distruzione.

4.   Osservazioni particolari

4.1

L’iniziativa rispetta i principi di sussidiarietà e proporzionalità. La forma della direttiva è corretta, in quanto si dubita che gli Stati membri siano disposti ad accettare un regolamento.

4.2

La direttiva proposta modifica vari articoli di quella precedente, apportando chiarimenti e introducendo nuovi requisiti che migliorano notevolmente il testo legislativo precedente e sono pertanto accolti favorevolmente dal CESE.

4.3

Il CESE appoggia l’introduzione dell’obbligo di effettuare esami medici, che vertano sulla salute sia fisica che mentale e siano basati su criteri di qualità e requisiti minimi europei, prima del rilascio o del rinnovo delle autorizzazioni per il porto d’armi, una prassi già adottata in alcuni Stati membri. Rileva, tuttavia, che la direttiva potrebbe altresì imporre che venga seguita una formazione per il maneggio delle armi da fuoco, e che siano rispettati dei requisiti per l’immagazzinamento sicuro (segnatamente, in apposite casse, come già previsto in alcuni Stati membri) e il trasporto in sicurezza delle armi e dei loro componenti.

4.4

L’Unione europea è stata in grado di produrre una nutrita legislazione in molti campi. Assume valore di paradigma il caso dell’industria automobilistica, che è stata obbligata a conformarsi ai requisiti in materia di sicurezza (degli occupanti e a livello ambientale) con ingenti investimenti in ricerca e sviluppo. Per quanto riguarda la marcatura delle armi e dei relativi componenti, vengono altresì estesi i concetti. Secondo il CESE, nel medio/lungo periodo si potrebbe andare ancora un passo più in là nella marcatura dei proiettili, valutando la possibilità di imporre all’industria una marcatura indelebile in un punto che non si distrugga con l’uso, ad esempio all’interno delle munizioni, allo scopo di permetterne la piena tracciabilità. Di norma, è il proiettile - e non l’arma - a rimanere sulla scena del crimine e questa marcatura può costituire una fonte importante d’informazioni per le indagini della polizia.

4.5

Per quanto riguarda le banche dati sulle armi da fuoco, il CESE appoggia la nuova formulazione, che estende l’ambito delle registrazioni fino alla distruzione delle armi da fuoco. Si tratta di un valore aggiunto e di uno strumento importante sia nei controlli che nelle indagini. La Commissione dovrà sostenere le autorità affinché questi registri siano messi a disposizione in tempo reale in tutti gli Stati membri, facilitando la produzione delle prove e rendendo possibile lo scambio rapido ed efficiente delle informazioni riguardanti i dati che portano all’identificazione e localizzazione delle armi da fuoco.

4.6

Nella categoria delle armi proibite sono inoltre comprese le armi da fuoco semiautomatiche per uso civile «somiglianti ad armi da fuoco automatiche». Il concetto di «somigliante» non appare sufficientemente oggettivo, giacché bisogna invece definire criteri chiari in rapporto alla «somiglianza» che devono far ricomprendere tali armi nella categoria delle armi da fuoco proibite.

4.7

Le armi d’allarme e quelle da segnalazione, le armi a salve e quelle acustiche, oltre che le loro riproduzioni, sono ora contemplate nella categoria C, ossia le armi da fuoco soggette a dichiarazione. Benché tale disposizione sia già prevista in alcune legislazioni nazionali, il CESE nutre dubbi sulla pertinenza di questa aggiunta, dato che non soltanto tali armi non sono classificate come «armi da fuoco» secondo il protocollo delle Nazioni Unite, ma verranno anche generati costi amministrativi considerevoli qualora la legislazione considerata non abbia ancora stabilito l’obbligatorietà della dichiarazione, e tutto questo per un tipo di armi che non sembra presentare un rischio molto grande per la sicurezza dei cittadini.

4.8

I rischi per la sicurezza dei cittadini legati a queste e ad altre armi - ad esempio, quelle ad aria compressa - dovrebbero essere oggetto di uno studio che valuti la pericolosità di tali armi e le possibilità di una loro trasformazione in armi ben più letali. Questo studio potrebbe servire da base per imporre nuove norme, sia tecniche che di legge, in materia di sicurezza, trasformazione, conversione, disattivazione e distruzione delle armi.

4.9

In una società digitale bisogna tenere d’occhio il commercio elettronico per la sua pericolosità nelle operazioni riguardanti armi e munizioni. Facebook e Instagram hanno annunciato restrizioni alla vendita di armi sulle loro reti sociali, vietando agli utenti di realizzare o rendere note operazioni riguardanti armi nelle loro bacheche, nei gruppi di discussione o in messaggi privati. Secondo il CESE, il commercio elettronico di alcuni tipi di armi e munizioni, pur non essendo vietato, dovrebbe essere consentito soltanto agli armaioli e agli intermediari e andrebbero permesse solo le operazioni condotte di persona, per assicurare in questo modo il controllo rigoroso da parte delle autorità competenti.

4.10

Con l’innovazione tecnologica sono arrivate le stampanti a 3D e questa nuova tecnologia si è interessata anche alle armi, giacché su Internet sono subito state pubblicate le istruzioni e i programmi che consentono di creare, stampandola, un’arma con capacità letale. In assenza di un qualsiasi tipo di normativa che disciplini la creazione - tramite stampa - di armi, questa tecnologia rappresenta una minaccia reale che non è stata ancora tenuta nel debito conto. I paesi dovrebbero unire le loro forze per discutere questo tema, monitorare la rete o anche controllare gli acquisiti di materiali che possono essere utilizzati per la produzione di questo tipo di armi, nonché prendere seriamente in considerazione il divieto della loro produzione.

4.11

Nella direttiva è prevista la facoltà, per gli Stati membri, di autorizzare gli organismi interessati all’aspetto culturale e storico delle armi, e riconosciuti come tali, a mantenere nelle loro collezioni permanenti le armi da fuoco della categoria A acquisite prima dell’entrata in vigore della direttiva, purché disattivate. Il CESE sostiene che occorre prevedere un regime speciale per l’applicazione della direttiva alle collezioni depositate nei musei la cui attività è debitamente riconosciuta come importante dagli Stati membri, purché non siano messi a repentaglio la sicurezza o l’ordine pubblico. Tale regime stabilirebbe norme rigorose per l’esposizione, la registrazione, l’immagazzinamento e il maneggio delle armi, ma eviterebbe la distruzione delle armi di categoria A con valore storico rilevante.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, Study on Firearms 2015 - A study on the transnational nature of and routes and modus operandi used in trafficking in firearms (Uno studio di natura transnazionale sulle rotte e il modus operandi del traffico di armi da fuoco).

(2)  Direttiva 91/477/CE: GU L 256 del 13.9.1991, pag. 51; parere del CESE: GU C 35 dell’8.2.1988, pag. 25.

(3)  Direttiva 2008/51/CE: GU L 179 dell’8.7.2008, pag. 5; parere del CESE: GU C 318 del 23.12.2006, pag. 83.

(4)  Hepburn, Lisa; Hemenway, David. Firearm availability and homicide: A review of the literature (Disponibilità di armi da fuoco e omicidi: esame della letteratura in materia). Aggression and Violent Behavior: A Review Journal (Aggressioni e comportamenti violenti: esame della situazione). 2004; 9:417-40 citato dalla Scuola di salute pubblica T.H. Chan dell’Università di Harvard sul sito http://www.hsph.harvard.edu/hicrc/firearms-research/guns-and-death/.

(5)  Miller, Matthew; Azrael, Deborah; Hemenway, David. Firearm availability and unintentional firearm deaths (Disponibilità di armi da fuoco e morti accidentali). Accident Analysis and Prevention (Analisi e prevenzione degli incidenti). 2001; 33:477-84 citato dalla Scuola di salute pubblica T.H. Chan dell’Università di Harvard sul sito http://www.hsph.harvard.edu/hicrc/firearms-research/gun-threats-and-self-defense-gun-use/.

(6)  Miller, Matthew; Hemenway, David. Gun prevalence and the risk of suicide: A review (Il predominio delle armi e il rischio di suicidio: esame della situazione). Rivista di politica sanitaria dell’Università di Harvard. 2001; 2:29-37, citato dalla Scuola di salute pubblica T.H. Chan dell’Università di Harvard sul sito http://www.hsph.harvard.edu/hicrc/firearms-research/gun-ownership-and-use/.

(7)  John R. Lott., Jr. e David B. Mustard. Crime, Deterrence, and Right-to-Carry Concealed Hand Guns (Reati, misure deterrenti e diritto di trasportare armi manuale da fuoco nascoste), Università di Chicago, facoltà di giurisprudenza maggio 1998.

(8)  Alpers, Philip, Amélie Rossetti e Marcus Wilson. 2016. Guns in Australia: Total Number of Gun Death (Le armi in Australia: numero complessivo di vittime per armi da fuoco). Scuola di salute pubblica dell’Università di Sydney. GunPolicy.org, 7 marzo. Consultato il 10 marzo 2016. Sul sito: http://www.gunpolicy.org/firearms/compareyears/10/total_number_of_gun_deaths

(9)  Alpers, Philip, Marcus Wilson, Amélie Rossetti e Daniel Salinas. 2016. Guns in the United Kingdom: Total Number of Gun Death (Le armi nel Regno Unito: numero complessivo di vittime per armi da fuoco). Scuola di salute pubblica dell’Università di Sydney. GunPolicy.org, 23 febbraio. Consultato il 10 marzo 2016. Sul sito: http://www.gunpolicy.org/firearms/compareyears/192/total_number_of_gun_deaths

(10)  Julian Santaella-Tenorio, Magdalena Cerdá, Andrés Villaveces, e Sandro Galea, What Do We Know About the Association Between Firearm Legislation and Firearm-Related Injuries? (Cosa si sa del collegamento fra le norme in materia di armi da fuoco e i ferimenti da esse causati?.) Pubblicato dalla Oxford University Press a nome della scuola di salute pubblica Johns Hopkins Bloomberg.


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/82


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ad alcuni aspetti di diritto societario (codificazione)»

[COM(2015) 616 final - 2015/0283 (COD)]

(2016/C 264/10)

Relatore:

Jorge PEGADO LIZ

Correlatori:

Roger BARKER e Christophe LEFEVRE

Il Consiglio, in data 29 aprile, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 50, paragrafo 1, e del medesimo articolo, paragrafo 2, lettera g), del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ad alcuni aspetti di diritto societario (codificazione)»

[COM(2015) 616 final - 2015/0283 (COD)].

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 aprile 2016.

Nella sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 223 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva senza riserve l’esercizio di consolidamento, di codificazione e, quindi, di semplificazione realizzato con la proposta di direttiva relativa a taluni aspetti del diritto societario [COM(2015) 616 final], esercizio che è in linea con le raccomandazioni da esso formulate a più riprese nei suoi pareri.

1.2

In seguito ad un’attenta disamina di ciascuno dei testi consolidati e di ciascuna delle proposte di nuovi testi codificati, il CESE può garantire di non aver riscontrato alcun errore formale, fatti salvi i rilievi segnalati al punto 4.2.

1.3

Il CESE raccomanda di inserire, nella tabella di concordanza che figura nell’allegato IV, due colonne che permettano di stabilire il confronto non solo tra gli articoli dei testi non codificati e quelli dei nuovi testi, ma anche nell’altro senso, ossia tra i nuovi articoli e i precedenti.

1.4

Il CESE avrebbe inoltre auspicato un’operazione più ambiziosa, che puntasse a codificare aspetti del diritto societario tuttora disseminati in una serie di altri atti legislativi, e in particolare quelli menzionati nelle direttive elencate al punto 4.4.

1.5

Il CESE auspica che, allorché si procederà ad una revisione sostanziale del nuovo testo, saranno prese nella dovuta considerazione le proposte che esso ha già avuto modo di formulare nel corso del tempo in merito a ciascuna delle direttive interessate da questo esercizio di codificazione, e in particolare le proposte formulate nei pareri citati al punto 4.8.

2.   Oggetto e scopo della proposta della Commissione

2.1

Nella relazione introduttiva alla proposta della Commissione [COM(2015) 616 final, del 3 dicembre 2015] si legge:

«lo scopo della presente proposta è quello di avviare la codificazione della sesta direttiva del Consiglio del 17 dicembre 1982 basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del trattato e relativa alle scissioni delle società per azioni (82/891/CEE), undicesima direttiva del Consiglio del 21 dicembre 1989 relativa alla pubblicità delle succursali create in uno Stato membro da taluni tipi di società soggette al diritto di un altro Stato (89/666/CEE), direttiva 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 ottobre 2005 relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali, direttiva 2009/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009 intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 48, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, direttiva 2011/35/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 relativa alle fusioni delle società per azioni, direttiva 2012/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 sul coordinamento delle garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all’articolo 54, secondo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa».

2.2

Trattandosi di una codificazione, la Commissione si premura di sottolineare che «[l]a nuova direttiva sostituisce le varie direttive che essa incorpora, preserva in pieno la sostanza degli atti oggetto di codificazione e pertanto non fa altro che riunirli apportando unicamente le modifiche formali necessarie ai fini dell’opera di codificazione», il che non impedisce che questa codificazione non sia realizzata «nel pieno rispetto dell’iter di adozione della legislazione dell’Unione». Questa constatazione giustifica l’elaborazione del presente parere da parte del CESE, anche se si tratta di «un metodo di lavoro accelerato che consent[e] la rapida adozione degli atti di codificazione», come previsto da «un accordo interistituzionale del 20 dicembre 1994» concluso tra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione - accordo tuttora in vigore nonché rafforzato dal più recente accordo interistituzionale siglato tra le tre istituzioni (1).

2.3

L’obiettivo perseguito con questo lavoro di compilazione, sistematizzazione e codificazione del diritto societario europeo è infatti quello di semplificare l’interpretazione, il recepimento, l’applicazione e l’attuazione delle norme dell’Unione europea che disciplinano questo ambito del diritto.

2.4

In un gran numero di suoi pareri il CESE ha proposto, raccomandato e sollecitato che l’azione del legislatore europeo andasse in questa direzione, e ha sempre sostenuto gli sforzi diretti a conseguire tale obiettivo. Pertanto, il CESE non può che concordare pienamente con l’esercizio intrapreso dalla Commissione nella proposta di direttiva in esame, in particolare perché si tratta di un ambito del diritto in cui la semplificazione apporterà benefici a tutte le parti interessate: le imprese, i lavoratori, i consumatori e i cittadini in genere, ma anche — e soprattutto — i magistrati, gli avvocati, i notai e, più in generale, tutti i professionisti che operano nel settore dell’applicazione del diritto societario.

3.   Origine e sviluppo del diritto societario nell’Unione europea

3.1

Nel trattato di Roma del 1957 che ha istituito la Comunità economica europea (CEE) si trovano già le basi giuridiche di un embrionale diritto societario, contenute nei soli articoli da 48 a 66 TCEE. L’idea di un ravvicinamento delle legislazioni nazionali su taluni aspetti del diritto societario emerge però soltanto con il trattato firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, e in particolare nella nuova formulazione degli articoli da 94 a 97 (inseriti dall’Atto unico europeo) sul ravvicinamento delle legislazioni ai fini della realizzazione del mercato unico, e nella nuova formulazione degli articoli da 39 TCE a 55 TCE (che sostituiscono gli articoli da 48 TCEE a 66 TCEE).

3.2

Ecco quindi che, a partire dalla prima direttiva n. 68/151/CEE del Consiglio, del 9 marzo 1968, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 58, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi ( GU L 65 del 14.3.1968, pag. 8 ), decine di direttive, regolamenti e raccomandazioni hanno cercato di «disciplinare» alcuni aspetti del diritto societario in Europa attinenti alla realizzazione di un mercato unico, ravvicinando le legislazioni nazionali oppure sforzandosi di armonizzarle, ma senza mai pretendere di istituire un vero e proprio «codice unificante» del diritto societario europeo.

3.3

L’esercizio intrapreso dalla Commissione con la presente proposta di direttiva non ambisce neppure a codificare tutte le direttive relative ai vari aspetti del diritto societario, ma si concentra soltanto sugli aspetti di tale diritto che formano oggetto delle seguenti sei direttive:

sesta direttiva del Consiglio, del 17 dicembre 1982, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del trattato e relativa alle scissioni delle società per azioni (82/891/CEE);

undicesima direttiva del Consiglio, del 21 dicembre 1989, relativa alla pubblicità delle succursali create in uno Stato membro da taluni tipi di società soggette al diritto di un altro Stato (89/666/CEE);

direttiva 2005/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 ottobre 2005, relativa alle fusioni transfrontaliere delle società di capitali;

direttiva 2009/101/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell’articolo 48, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi;

direttiva 2011/35/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 aprile 2011, relativa alle fusioni delle società per azioni;

direttiva 2012/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, sul coordinamento delle garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all’articolo 54, secondo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa.

3.4

Questo esercizio di codificazione è stato effettuato sulla base di un consolidamento preliminare, in 23 lingue ufficiali, dei testi delle direttive 82/891/CEE, 89/666/CEE, 2005/56/CE, 2009/101/CE, 2011/35/UE e 2012/30/UE e degli atti che le hanno modificate: la concordanza tra la precedente e la nuova numerazione nel testo consolidato è illustrata in un’apposita tabella che figura nell’allegato IV della futura direttiva.

4.   Valutazione della proposta

4.1

Come già indicato all’inizio del presente parere, il CESE approva pienamente l’esercizio di consolidamento, di codificazione e, quindi, di semplificazione del testo realizzato dalla Commissione nella proposta di direttiva.

4.2

In seguito ad un’attenta disamina di ciascuno dei testi consolidati e di ciascuna delle proposte di nuovi testi codificati, il CESE può garantire di non aver riscontrato alcun errore formale, fatti salvi i rilievi seguenti:

[NdT: il rilievo non riguarda la versione italiana della proposta di direttiva];

nella proposta di direttiva non è stato codificato il paragrafo 2 dell’articolo 10 della direttiva 89/666/CEE;

la Commissione dovrebbe confermare se i riferimenti a determinati testi legislativi di cui ai considerando 48, 62, 65, 66 e 80 corrispondano effettivamente alle disposizioni più recenti adottate negli ambiti di cui si parla (ad esempio, al considerando 48 il riferimento alla direttiva sugli «abusi di mercato» andrebbe aggiornato con un riferimento al regolamento sugli «abusi di mercato» [regolamento (UE) n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e che abroga la direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE della Commissione];

al titolo del Capo III andrebbe precisato che la pubblicità in questione è realizzata «a beneficio della tutela di terzi»; nel caso invece che detta pubblicità vada egualmente a vantaggio degli azionisti, alla lettera f) dell’articolo 13 non si dovrebbero pertanto menzionare anche le direttive 2013/24/UE e 2014/95/UE?

4.3

Il CESE raccomanda di inserire, nella tabella di concordanza che figura nell’allegato IV, due colonne che consentano di stabilire il confronto non solo tra gli articoli dei testi non codificati e quelli dei nuovi testi, ma anche nell’altro senso, ossia tra i nuovi articoli e i precedenti.

4.4

Il CESE avrebbe inoltre auspicato un’operazione più ambiziosa, che puntasse a codificare aspetti del diritto societario tuttora disseminati in una serie di altri atti legislativi, e in particolare quelli menzionati nelle seguenti direttive:

direttiva 2010/76/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, che modifica le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per quanto riguarda i requisiti patrimoniali per il portafoglio di negoziazione e le ricartolarizzazioni e il riesame delle politiche remunerative da parte delle autorità di vigilanza;

direttiva 2007/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 luglio 2007, relativa all’esercizio di alcuni diritti degli azionisti di società quotate;

direttiva 2004/25/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, concernente le offerte pubbliche di acquisto;

direttiva 2001/86/CE del Consiglio, dell’8 ottobre 2001, che completa lo statuto della società europea per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori;

direttiva 2009/102/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, in materia di diritto delle società, relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio;

ottava direttiva 84/253/CEE del Consiglio, del 10 aprile 1984, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del trattato, relativa all’abilitazione delle persone incaricate del controllo di legge dei documenti contabili;

settima direttiva 83/349/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1983, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del trattato e relativa ai conti consolidati;

quarta direttiva 78/660/CEE del Consiglio, del 25 luglio 1978, basata sull’articolo 54, paragrafo 3, lettera g), del trattato e relativa ai conti annuali di taluni tipi di società.

4.5

Nell’allegato III, punto 45, del suo programma di lavoro per il 2015 (COM(2014) 910 final), la Commissione aveva tuttavia annunciato anche la codificazione della direttiva 2009/102/CE in materia di diritto delle società, relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio.

4.6

Il CESE si compiace inoltre nell’apprendere che la Commissione avrebbe già preso in considerazione talune raccomandazioni formulate dal gruppo di lavoro sulla semplificazione del diritto societario nell’ambito dell’iniziativa SLIM (Simpler Legislation for the Internal Market — Semplificare la legislazione per il mercato interno) relativa alla semplificazione della prima e della seconda direttiva in materia di diritto societario, nelle direttive 2003/58/CE e 2006/68/CE.

4.7

Benché il Comitato abbia avuto occasione di elaborare un parere in merito a ciascuna delle direttive interessate dall’esercizio di codificazione della Commissione, le raccomandazioni formulate in tali pareri non sono sempre state prese in considerazione nella loro interezza; il CESE auspica del pari che la Commissione tenga debitamente conto, allorché procederà ad una revisione sostanziale del nuovo testo, delle proposte che il Comitato stesso ha già avuto modo di formulare nel corso del tempo e che non hanno trovato spazio nel lavoro di codificazione in esame.

4.8

I pareri in questione sono in particolare i seguenti:

parere del 24.9.1987, GU C 319 del 30.11.1987, pag. 61, relatore: Jean PARDON;

parere del 28.4.2004, GU C 117 del 30.4.2004, pag. 43, relatrice: María Candelas SÁNCHEZ MIGUEL;

parere del 30. 5.2007, GU C 175 del 27.7.2007, pag. 33, relatrice: María Candelas SÁNCHEZ MIGUEL;

parere del 25. 2.2009, GU C 218 dell’11.9.2009, pag. 27, relatrice: María Candelas SÁNCHEZ MIGUEL;

parere del 15. 6.2011, GU C 248 del 25.8.2011, pag. 118, relatore: Miklós PÁSZTOR;

parere del 12.12.2012, GU C 44 del 15.2.2013, pag. 68, relatrice: Lena ROUSSENOVA.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+COMPARL+PE-575.118+03+DOC+PDF+V0//IT


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che garantisce la portabilità transfrontaliera dei servizi di contenuti online nel mercato interno»

[COM(2015) 627 final — 2015/0284 (COD)]

(2016/C 264/11)

Relatore:

Bernardo HERNÁNDEZ BATALLER

Il Consiglio, in data 8 gennaio 2016, e il Parlamento europeo, in data 21 gennaio 2016, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che garantisce la portabilità transfrontaliera dei servizi di contenuti online nel mercato interno

[COM(2015) 627 final — 2015/0284 (COD)].

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 162 voti favorevoli, 6 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato apprezza l’iniziativa della Commissione volta ad affrontare la cosiddetta «portabilità transfrontaliera». Essenzialmente, la portabilità transfrontaliera consiste nel permettere agli utenti e ai consumatori che accedono legalmente a servizi audiovisivi online nel loro Stato di residenza, di continuare a usufruire di questi servizi quando si recano temporaneamente in un altro Stato membro dell’UE.

1.2

Il Comitato è inoltre d’accordo sull’utilizzo di un regolamento per disciplinare la portabilità, in quanto si tratta di un’attività transfrontaliera. Sembra altresì logico introdurre un periodo di vacatio legis, trascorso il quale siano considerate inapplicabili le clausole restrittive della portabilità incluse nei contratti esistenti. In quest’ottica, si ritiene che sei mesi costituiscano un arco di tempo ragionevole affinché i fornitori dei servizi interessati possano adeguare i loro sistemi di offerta in funzione della nuova situazione.

1.3

Il CESE ritiene necessario stabilire in modo chiaro il concetto di «Stato membro di residenza» dell’abbonato, in modo che gli altri Stati membri dell’UE possano essere considerati, per definizione, i paesi in cui gli abbonati possono temporaneamente soggiornare. Il mero riferimento alla residenza abituale di cui all’articolo 2 potrebbe non essere sufficiente, e sarebbe quindi necessario valutare altri criteri relativi alla transitorietà, all’ambiente di vita ecc. (redigendo un elenco non esaustivo di indicatori), per dare un valore concreto al legame temporale basato sulla residenza. In ogni caso, secondo il Comitato, quando si è clienti o abbonati a un servizio e l’utente risulta legato a uno Stato membro identificato attraverso il suo indirizzo IP, la connessione a Internet o un altro indicatore equivalente, bisognerebbe garantire la portabilità transfrontaliera.

1.4

Per quanto riguarda la natura e le condizioni dei servizi portabili, è chiaro che la proposta prende in esame tali servizi, siano essi a pagamento o gratuiti, anche se in quest’ultimo caso si aggiunge la condizione della «verifica» dello Stato membro di residenza. Per quanto riguarda in particolare i servizi gratuiti, il Comitato ritiene che bisognerebbe garantire la portabilità di tali servizi quando lo Stato membro sia «verificabile», ossia quando possa essere verificato, purché questo non implichi un costo aggiuntivo per il prestatore.

1.5

Nella parte dispositiva andrebbe stabilito espressamente che qualsiasi impoverimento o degrado dell’offerta che si ripercuota sulle prestazioni, sul catalogo e sull’accessibilità in termini di dispositivi e numero di utenti sarà considerato inadempimento del servizio. Occorre inoltre garantire una qualità minima di accesso, almeno quella che può essere considerata standard o di riferimento nello Stato membro di soggiorno temporaneo ed è disponibile tramite le linee locali, allo scopo di evitare pratiche e condizioni abusive di sovrapprezzo per l’accesso garantito standard o della classe «premium». Limitarsi a informare l’utente del livello di qualità di cui potrà usufruire non può essere considerato sufficiente. Tali obblighi devono essere espressamente enunciati negli articoli e non solo nei considerando del regolamento.

2.   Introduzione

2.1

Il documento del 15 luglio 2014 sugli orientamenti politici per la Commissione europea indicava come priorità numero 2 la creazione di un «mercato unico digitale connesso» e su tale base è stata adottata la Strategia per il mercato unico digitale in Europa  (1). Il CESE ha accolto favorevolmente questa priorità (2) ritenendo che possa dare un nuovo impulso a una politica digitale nell’Unione europea.

2.2

Concretamente, la Commissione proponeva tra l’altro di «impedire i geoblocchi ingiustificati», affinché i consumatori e le imprese possano godere di tutti i benefici del mercato unico in termini di scelta e di prezzi più bassi.

2.3

La Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad) ha recentemente adottato un aggiornamento dei principi direttivi dell’ONU per la protezione dei consumatori, con l’intento di rinnovarli alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici, compreso il commercio elettronico e il cosiddetto «consumo digitale», nel cui contesto occorrerebbe rafforzare la tutela della vita privata online e includere il principio secondo cui i consumatori hanno diritto a una protezione equa.

2.4

Nella messa a punto della suddetta strategia del mercato unico digitale, la Commissione ha anche adottato una comunicazione relativa alla modernizzazione delle norme sul diritto d’autore e sui contratti per le vendite online e la fornitura di contenuti digitali, in merito alla quale il CESE esprimerà a tempo debito il proprio punto di vista.

2.5

Nel medesimo contesto si inserisce la proposta di regolamento sulla «portabilità transfrontaliera», concetto che indica la possibilità, per l’utente di un servizio di contenuti online di uno Stato membro dell’UE, di accedere a tali contenuti quando si sposta temporaneamente in un altro Stato membro. Tale portabilità è considerata un importante passo in avanti verso un ampliamento dell’accesso degli utenti ai contenuti audiovisivi, in cui la Commissione ravvisa un obiettivo essenziale per lo sviluppo della strategia del mercato unico digitale.

2.6

La difficoltà o l’impossibilità per i cittadini europei abbonati ai suddetti servizi di continuare ad accedervi quando si trovano in un altro Stato membro, non è dovuta a ragioni tecnologiche, ma a un blocco geografico connesso alle prassi di concessione in licenza da parte dei titolari dei diritti o alle pratiche commerciali dei fornitori dei servizi. La portabilità transfrontaliera ha risentito anche dell’alto costo del roaming per i consumatori e gli utenti europei, cui porrà termine una proposta adottata dalla Commissione.

3.   Contenuto della proposta

3.1

L’obiettivo principale della proposta di regolamento in esame, formulato nel suo articolo 1, è garantire la portabilità transfrontaliera dei servizi di contenuti online nel mercato interno. Vale a dire che ogni utente dell’UE che riceva legalmente tali contenuti nel suo paese di residenza potrà accedervi anche quando si trova temporaneamente in un altro Stato membro.

3.2

L’articolo 2 contiene definizioni riguardanti la natura del servizio e i soggetti coinvolti: «abbonato», «consumatore», «Stato membro di residenza», «temporaneamente presente», «servizio di contenuti online», «portabile». Riguardo ai servizi di contenuti online viene precisato che può trattarsi di servizi di media audiovisivi o servizi che forniscono accesso a opere, altri materiali protetti, o trasmissioni di organismi di radiodiffusione. Tali servizi possono essere prestati in modo lineare o su richiesta, con o senza pagamento da parte dell’utente.

3.3

L’articolo 3 della proposta dispone che l’obbligo, previsto per i fornitori di servizi portabili, di consentire la loro portabilità in altri Stati non implica che debbano essere mantenuti i livelli di qualità offerti nello Stato membro di residenza, salvo nel caso in cui il fornitore si impegni espressamente a farlo. Il fornitore dovrà tuttavia informare gli abbonati in merito alla qualità della prestazione.

3.4

L’articolo 4 stabilisce che la prestazione di un servizio online, l’accesso ad esso e la sua fruizione si considerano come avvenuti nello Stato di residenza, anche ai fini della disciplina in materia di audiovisivo, proprietà intellettuale e protezione dei dati.

3.5

L’articolo 5 sancisce l’inapplicabilità delle disposizioni contrattuali, pattuite tra i titolari dei diritti e i fornitori di servizi o tra questi ultimi e i loro clienti, che siano in contrasto con l’obbligo di portabilità transfrontaliera. I titolari dei diritti potranno richiedere che il fornitore di servizi si avvalga di strumenti, che dovranno essere ragionevoli e proporzionati, per verificare che il servizio sia prestato conformemente al regolamento.

3.6

L’articolo 6 dispone che il trattamento dei dati personali degli abbonati sia effettuato conformemente alla normativa europea in materia (direttive 95/46/CE e 2002/58/CE) (3).

3.7

L’articolo 7 prevede che il regolamento si applichi non solo ai contratti conclusi successivamente alla sua entrata in vigore, ma anche, retroattivamente, a quelli già stipulati e ai diritti acquisiti prima della data di applicazione del regolamento nel caso in cui riguardino la prestazione del servizio, l’accesso allo stesso o la sua fruizione.

3.8

L’articolo 8 stabilisce che il regolamento diventerà applicabile sei mesi dopo la sua pubblicazione.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato apprezza l’iniziativa della Commissione volta ad affrontare la cosiddetta «portabilità transfrontaliera», vale a dire — essenzialmente — permettere agli utenti e ai consumatori di accedere ai servizi di contenuti audiovisivi online a cui sono abbonati in uno Stato membro dell’UE quando si recano temporaneamente in un altro Stato membro.

4.2

Il CESE ritiene che questa misura sia importante, nel quadro della strategia della Commissione volta all’attuazione del mercato unico digitale, in quanto elimina gli ostacoli alla libera prestazione dei servizi e alla libera concorrenza tra imprese. Oltre a trattare aspetti commerciali, essa può rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale, facilitando l’integrazione dei diversi gruppi della società civile organizzata.

4.3

In tale contesto, la proposta di regolamento presentata dalla Commissione il 9 dicembre scorso si ripropone di eliminare gli ostacoli alla portabilità transfrontaliera, obbligando i fornitori a garantire tale portabilità quando i servizi in questione vi si prestino sotto il profilo giuridico e siano portabili nel rispettivo mercato nazionale.

4.4

La scelta dello strumento giuridico (regolamento) sarebbe giustificata dalla dimensione sovranazionale dell’attività da regolamentare e dalla necessità di un’applicazione simultanea e secondo modalità analoghe in tutti gli Stati membri. La proposta si allinea al disposto dell’articolo 56 del TFUE, che vieta le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in un altro Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione.

4.5

Il CESE considera pertinente la base giuridica prescelta, relativa al mercato interno (articolo 114 del TFUE), data la portata e la natura intrinsecamente transfrontaliere dei servizi cui si riferisce la proposta di regolamento e l’esigenza di coerenza con altre politiche dell’Unione, specie per quanto riguarda gli aspetti culturali (articolo 167 del TFUE) e la protezione dei consumatori (articolo 169 del TFUE). È importante che la proposta sia interpretata conformemente al diritto al rispetto della vita privata e familiare, al diritto alla protezione dei dati di carattere personale, alla libertà di espressione e alla libertà d’impresa.

4.6

La proposta include i contenuti distribuiti da organismi di radiodiffusione o da fornitori di servizi della società dell’informazione, in modo lineare o su richiesta, forniti mediante download, streaming o qualsiasi altra tecnica, da grandi imprese o PMI, a pagamento (abbonamento) o gratuitamente, in quest’ultimo caso a condizione che lo Stato membro di residenza dell’utente registrato venga verificato (ad esempio attraverso l’indirizzo IP o la connessione Internet). Altri beni e servizi oggetto di transazione transfrontaliera, che si avvalgono di contenuti puramente audiovisivi solo in maniera accessoria, non rientrerebbero nel campo di applicazione del regolamento.

4.7

La proposta mira quindi a soddisfare in modo più efficace le aspettative e le esigenze dei cittadini nel contesto digitale, garantendo loro, quando si spostano da uno Stato membro all’altro, la fruizione dei contenuti audiovisivi cui hanno legalmente accesso. Essa è intesa inoltre a conciliare lo sviluppo del mercato dei contenuti audiovisivi con il mantenimento di un elevato livello di protezione per i titolari dei diritti (i diritti d’autore e quelli connessi, compresi i diritti relativi alla trasmissione di avvenimenti di grande importanza e di notizie).

4.8

La Commissione ricorda, a tale proposito, i benefici che l’iniziativa può garantire sia ai richiedenti che, nel lungo periodo, ai fornitori. Nella relazione introduttiva della proposta viene sottolineato che la portabilità transfrontaliera, oltre a contribuire a promuovere gli interessi dei consumatori, comporta vantaggi di vario tipo per i titolari di diritti di creazione, interpretazione ed esecuzione, e per quanti eseguono attività di riproduzione, comunicazione al pubblico e messa a disposizione di contenuti audiovisivi, poiché offre loro una maggiore certezza giuridica e una maggiore capacità di soddisfare le richieste dell’utenza.

4.9

In ogni caso, per quanto riguarda i fornitori e i titolari, la Commissione, rispondendo di certo alle preoccupazioni espresse da questi segmenti del mercato durante il periodo di consultazione pubblica, pone l’accento in particolare sui loro diritti e sulle loro attività. Viene quindi specificato che la proposta non influisce in modo sostanziale sulla concessione in licenza dei diritti né sui modelli di attività d’affari; che essa, rendendo inapplicabili le clausole contrattuali in contrasto con l’obbligo di assicurare la portabilità, non obbligherà a rinegoziare i contratti di licenza; che (per quanto riguarda i settori dei contenuti audiovisivi e dei contenuti sportivi premium) la portabilità non estende la gamma di utenti del servizio e non mette di per sé in discussione l’esclusività territoriale delle licenze.

4.10

Nella parte dispositiva della proposta — precisamente, all’articolo 5, paragrafo 2 — bisognerebbe stabilire, oltre alla ragionevolezza e proporzionalità dei mezzi impiegati per verificare che il servizio di contenuti online sia fornito adeguatamente, che tali «strumenti efficaci» devono rispettare o risultare conformi ai principi e diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, i quali dovrebbero essere espressamente specificati.

4.11

La prestazione del servizio attraverso la portabilità transfrontaliera è equiparata a quella fornita nel paese di residenza; si tratta, quindi, di una finzione giuridica che riguarda il diritto d’autore e i diritti connessi, la riproduzione, la comunicazione al pubblico, la messa a disposizione o il riutilizzo, il catalogo di contenuti, i dispositivi previsti, il numero di utenti permessi e la gamma di funzionalità. Sarebbe opportuno specificare che va in ogni caso rispettata la neutralità tecnologica. Andrebbero inoltre chiariti il campo di applicazione e le definizioni della proposta di regolamento, specialmente per quanto concerne la definizione dell’ambito soggettivo, che deve in ogni caso essere basato su criteri chiari e identificabili, essendo tali criteri necessari per garantire la certezza del diritto e la prevedibilità della norma.

4.11.1

Tuttavia, tale obbligo:

è limitato o subordinato al rispetto di talune condizioni di proporzionalità nei casi in cui si ritiene che possa dar luogo a costi sproporzionati per i fornitori di servizi. L’obbligo di garantire la portabilità non vige pertanto per i servizi il cui fornitore non verifica lo Stato membro di residenza dei propri abbonati,

inoltre viene limitato l’obbligo di garantire il rispetto dei diritti dei titolari,

soprattutto, non vengono imposte misure volte a garantire nello Stato di soggiorno temporaneo un livello di qualità - nella prestazione di servizi di contenuti online - che sia simile a quello offerto nello Stato di residenza, a meno di un esplicito impegno in tal senso da parte del prestatore di servizi; la qualità non dovrebbe essere tuttavia inferiore a quella disponibile quando si accede alle linee locali nel paese di soggiorno temporaneo. L’argomentazione addotta è che questa garanzia di qualità potrebbe implicare costi aggiuntivi sproporzionati per i prestatori di servizi, se si tiene conto delle differenze esistenti tra gli Stati membri per quanto riguarda la capacità e le infrastrutture di telecomunicazione.

4.12

In relazione a quest’ultimo punto, la combinazione tra - da un lato - la deroga all’obbligo di garantire uno standard di qualità e - dall’altro - la possibilità di offrire servizi premium che garantirebbero tale qualità in cambio di un sovrapprezzo potrebbe incentivare talune pratiche abusive da parte dei prestatori di servizi, che consisterebbero nel ridurre o degradare la qualità del servizio di base e nel convertire il contenuto quasi in un prodotto di base, mentre il profitto viene associato alla tariffa chiesta per il servizio. Nella parte dispositiva della proposta bisognerebbe quanto meno indicare esplicitamente che la qualità offerta non dovrebbe in ogni caso essere inferiore a quella disponibile quando si accede alle linee locali nel paese di soggiorno temporaneo.

4.13

Va infine segnalata l’intenzione della Commissione di applicare il regolamento con effetto retroattivo. Questo comporta, per quanto riguarda gli accordi negoziati in passato dalle parti, che le clausole e le condizioni in contrasto con la portabilità o volte a limitarla sono considerate nulle. In forma complementare, vengono promossi gli accordi tra le suddette parti per l’attuazione del principio della portabilità transfrontaliera.

4.14

Il CESE propone una nuova definizione di servizio «parzialmente portabile», da applicare ai servizi on line qualitativamente sensibili nei casi in cui la bassa qualità di Internet renda i servizi di contenuti online inutilizzabili per gli abbonati in particolari zone. Un’applicazione simile di tale termine è stata presentata a pagina 8 della valutazione d’impatto (4).

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2015) 192 final.

(2)  GU C 71 del 24.2.2016, pag. 65.

(3)  GU C 281 del 23.11.1995, pag. 31 e GU L 201 del 31.7.2002, pag. 37.

(4)  SWD(2015) 270 final.


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/91


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda le esenzioni per i negoziatori per conto proprio di merci»

[COM(2015) 648 final – 2015/0295 (COD)]

(2016/C 264/12)

Relatore:

John WALKER

Il Parlamento europeo, in data 18 gennaio 2016, e il Consiglio, in data 12 gennaio 2016, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda le esenzioni per i negoziatori per conto proprio di merci

[COM(2015) 648 final – 2015/0295 (COD)].

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 224 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE riconosce l’esigenza di modificare il regolamento (UE) n. 575/2013 sui requisiti patrimoniali e approva le modifiche proposte.

1.2

Il Comitato esprimerà a tempo debito la sua posizione sul regolamento modificato.

2.   Introduzione

2.1

I punti seguenti, ripresi dal preambolo della proposta di regolamento, illustrano in modo conciso l’obiettivo della Commissione.

2.2

Il regolamento (UE) n. 575/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio esenta le imprese di investimento la cui attività principale sia esclusivamente la fornitura di servizi di investimento o operazioni collegate agli strumenti finanziari di cui ai punti 5, 6, 7, 9 e 10 della sezione C dell’allegato I della direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che al 31 dicembre 2006 non rientravano nell’ambito di applicazione della direttiva 93/22/CEE («negoziatori per conto proprio di merci») dai requisiti in materia di grandi esposizioni e dai requisiti in materia di fondi propri. Tali esenzioni si applicano fino al 31 dicembre 2017.

2.3

Il regolamento (UE) n. 575/2013 impone inoltre alla Commissione di preparare, entro il 31 dicembre 2015, una relazione in merito a un regime appropriato per la vigilanza prudenziale dei negoziatori per conto proprio di merci. Lo stesso regolamento stabilisce altresì che la Commissione rediga, entro la stessa data, una relazione in merito a un regime appropriato per la vigilanza prudenziale delle imprese di investimento in genere. Se del caso, tali relazioni devono essere seguite da proposte legislative.

2.4

Il riesame del trattamento prudenziale delle imprese di investimento («riesame delle imprese di investimento»), che concerne anche i negoziatori per conto proprio di merci, è attualmente in corso, ma non è ancora stato completato. Il completamento del riesame e l’adozione della nuova normativa che si renda eventualmente necessaria alla luce di tale riesame si concluderanno solo dopo il 31 dicembre 2017.

2.5

Con il regime vigente, dopo il 31 dicembre 2017 i negoziatori per conto proprio di merci saranno soggetti ai requisiti in materia di grandi esposizioni e ai requisiti in materia di fondi propri. Ciò potrebbe costringerli ad aumentare in misura significativa l’importo dei fondi propri che devono avere per proseguire le proprie attività e potrebbe pertanto aumentare i costi inerenti allo svolgimento di tali attività.

2.6

La decisione di applicare i requisiti in materia di grandi esposizioni e i requisiti in materia di fondi propri ai negoziatori per conto proprio di merci non dovrebbe derivare dalla scadenza dell’esenzione. Al contrario, tale decisione dovrebbe essere accuratamente motivata, basata sulle conclusioni del riesame delle imprese d’investimento e chiaramente espressa nella legislazione.

2.7

Pertanto dovrebbe essere stabilita una nuova data limite di applicazione delle esenzioni. Il regolamento (UE) n. 575/2013 dovrebbe essere modificato di conseguenza.

3.   Il punto di vista del CESE

3.1

Il CESE accetta il fatto che, come si evince dal precedente punto 2.7, il regolamento all’esame prevede unicamente di modificare la data limite portandola dal 31 dicembre 2017 al 31 dicembre 2020.

3.2

Il CESE deplora che la Commissione non sia stata capace di rispettare i termini che si era imposta, come ricordato al punto 2.4 del presente parere. Ritiene comunque che i requisiti prudenziali debbano essere stabiliti sulla base di un’analisi e di un riesame particolareggiati. Le esenzioni attualmente in vigore per i negoziatori di merci non dovrebbero essere abrogate solo perché un termine arbitrario non è stato rispettato.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/93


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale»

[COM(2016) 25 final — 2016/0010 (CNS)]

e alla

«Proposta di direttiva del Consiglio recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno»

[COM(2016) 26 final — 2016/0011 (CNS)]

(2016/C 264/13)

Relatore:

Petru Sorin DANDEA

Correlatore:

Roger BARKER

Il Consiglio, in data 9 e 10 febbraio 2016, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 113 e 115 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2011/16/UE per quanto riguarda lo scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale

[COM(2016) 25 final — 2016/010 (CNS)]

e alla

Proposta di direttiva del Consiglio recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno

[COM(2016) 26 final — 2016/011 (CNS)].

La sezione specializzata unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 28 aprile 2016), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 126 voti favorevoli, nessun voto contrario e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l’iniziativa della Commissione europea che propone l’attuazione uniforme, a livello degli Stati membri, delle norme contenute nel piano d’azione dell’OCSE in materia di erosione della base imponibile e trasferimento degli utili (Base Erosion and Profit Shifting — BEPS). Tale piano d’azione rientra nel quadro degli sforzi volti a combattere il fenomeno della pianificazione fiscale aggressiva, che è praticata da talune società transnazionali e che porta all’erosione delle basi imponibili degli Stati membri per un importo stimato tra i 50 e i 70 miliardi di euro l’anno.

1.2

Il CESE ritiene che per garantire la competitività delle imprese europee, l’attrattiva dell’UE come sede di investimenti e la coerenza del sistema fiscale internazionale, in un periodo di lenta e fragile ripresa economica dalla crisi, le misure prese debbano essere in linea con gli elementi che sono già stati effettivamente concordati a livello dell’OCSE e che sono stati attuati da altri partner internazionali.

1.3

Per il Comitato è importante fare il possibile per ottenere condizioni di concorrenza veramente eque e pervenire ad un sistema uniforme, applicabile allo stesso modo in tutti gli Stati membri. È importante limitare il rischio di frammentazione, nella misura in cui in questo momento esso potrebbe nuocere all’efficacia delle misure proposte.

1.4

Il CESE ritiene che le imprese del settore finanziario non debbano essere escluse dal campo di applicazione della direttiva anti-elusione. Il CESE raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di intensificare i negoziati internazionali nel quadro di istituzioni quali l’OCSE e il G20, in modo da garantire un’applicazione uniforme a livello di UE e OCSE, e di valutare inoltre se e in che modo le norme proposte siano applicabili anche alle società finanziarie.

1.5

Il Comitato appoggia la proposta e suggerisce che gli Stati membri acconsentano al saldo del debito fiscale tramite pagamenti scaglionati unicamente quando il trasferimento non sia stato effettuato al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali.

1.6

Il CESE raccomanda alla Commissione che la clausola di switch-over sia applicata direttamente a tutti i contribuenti che abbiano prodotto redditi in giurisdizioni considerate paradisi fiscali.

1.7

Il CESE appoggia le norme sulle società controllate estere definite nella proposta di direttiva.

1.8

Tenuto conto che le operazioni di pianificazione fiscale aggressiva sono perlopiù realizzate da società transnazionali di grandi dimensioni, il CESE ritiene che le PMI debbano essere escluse dal campo di applicazione sia della direttiva anti-elusione che della direttiva sulla cooperazione amministrativa (DAC).

1.9

In considerazione delle richieste avanzate dalle organizzazioni della società civile per una maggiore trasparenza nel settore della tassazione delle imprese multinazionali, il CESE raccomanda alla Commissione di inserire, tra le disposizioni della direttiva sulla cooperazione amministrativa, l’obbligo per gli Stati membri di pubblicare i rendiconti dei risultati finanziari che saranno oggetto dello scambio automatico di informazioni.

1.10

Il CESE esorta la Commissione a ultimare il processo di elaborazione dell’elenco dei paesi o territori che non rispettano gli standard di buona governance in materia fiscale. Il CESE ritiene che tale elenco debba essere accompagnato da sanzioni applicabili alle imprese che continueranno a operare in questi paesi o territori.

1.11

Il CESE raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di stabilire un termine più breve per l’entrata in vigore di queste norme volte a un’attuazione uniforme, a livello dell’UE, degli impegni assunti nel quadro dei negoziati sul piano d’azione BEPS dell’OCSE.

1.12

Visto il potenziale impatto sul clima degli investimenti in Europa, il CESE avrebbe gradito una valutazione d’impatto nel progetto di direttiva, come è di prammatica nelle proposte in cui vengono presentate modifiche sostanziali.

2.   La proposta della Commissione europea

2.1

Nel gennaio 2016 la Commissione europea ha presentato il pacchetto anti-elusione fiscale, nel quadro dell’agenda per una tassazione delle imprese più equa, più trasparente (1) e più efficace.

2.2

Il pacchetto si articola in una comunicazione quadro (2) che delinea il contesto politico, economico e internazionale della lotta contro la pianificazione fiscale aggressiva, e nelle sue componenti principali costituite da: una proposta di direttiva contro le pratiche di elusione fiscale (3), una proposta di direttiva che modifica la direttiva sulla cooperazione amministrativa (DAC) (4), una raccomandazione della Commissione relativa ai trattati fiscali (5) e una comunicazione sulla strategia esterna dell’UE (6) in materia di cooperazione con i paesi terzi nel settore della governance fiscale.

2.3

La comunicazione quadro delinea il contesto politico, economico e internazionale nel quale si colloca il pacchetto anti-elusione. Il pacchetto comprende misure volte a recepire alcune parti del piano d’azione dell’OCSE sull’erosione della base imponibile e trasferimento degli utili (Base Erosion and Profit Shifting - BEPS), nonché alcune nuove misure aggiuntive, a livello sia UE che di Stati membri.

2.4

La proposta di direttiva anti-elusione stabilisce norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno. Tali norme affrontano i seguenti aspetti: deducibilità degli interessi, imposizione in uscita, clausola di switch-over, norma generale antiabuso, norme sulle società controllate estere e un quadro per contrastare i disallineamenti da ibridi.

2.5

La proposta di direttiva che modifica la direttiva sulla cooperazione amministrativa contiene misure intese ad attuare l’azione 13 (7) del piano d’azione BEPS dell’OCSE negli Stati membri. Tali iniziative sono volte a migliorare il meccanismo per lo scambio automatico di informazioni tra le amministrazioni fiscali degli Stati membri e inseriscono le informazioni sui risultati di fine esercizio delle società multinazionali tra le categorie di informazioni che devono essere scambiate.

2.6

La raccomandazione della Commissione compresa nel pacchetto anti-elusione rafforza le disposizioni dei trattati fiscali stipulati dagli Stati membri al fine di ridurre le pratiche di pianificazione fiscale aggressiva.

2.7

La comunicazione della Commissione sulla strategia esterna definisce un quadro più rigoroso e coerente per le relazioni con i paesi terzi in materia di buona governance fiscale.

3.   Osservazioni generali e specifiche

3.1

Il CESE ritiene che per garantire la competitività delle imprese europee, l’attrattiva dell’UE come sede di investimenti e la coerenza del sistema fiscale internazionale, in un periodo di lenta e fragile ripresa economica dalla crisi, le misure prese debbano essere in linea con gli elementi che sono già stati effettivamente concordati a livello dell’OCSE e che sono stati attuati da altri partner internazionali.

La direttiva anti-elusione

3.2

Per il Comitato è importante fare il possibile per ottenere condizioni di concorrenza veramente eque e pervenire ad un sistema uniforme, applicabile allo stesso modo in tutti gli Stati membri. È importante limitare il rischio di frammentazione, nella misura in cui in questo momento esso potrebbe nuocere all’efficacia delle misure proposte.

3.3

La proposta di direttiva richiama tutti gli Stati membri ad attuare in maniera uniforme le norme stabilite nel piano d’azione BEPS dell’OCSE (8), volto a lottare contro la pianificazione fiscale aggressiva a livello mondiale. Come già indicato in precedenti pareri (9), il CESE accoglie con favore l’iniziativa della Commissione e ne sostiene gli sforzi tesi a combattere la pianificazione fiscale aggressiva, una pratica messa in atto da alcune società multinazionali, che erode le basi imponibili degli Stati membri per un importo che, secondo le stime, va da 50 a 70 miliardi di euro l’anno.

3.4

Il CESE appoggia le norme proposte che limitano la deducibilità del pagamento degli interessi nel settore societario. È tuttavia importante che le norme UE siano in linea con quelle dell’OCSE e con la loro attuazione negli Stati Uniti e in altre giurisdizioni economiche significative. Un approccio coordinato a livello internazionale contribuirebbe a frenare la pianificazione fiscale aggressiva da parte di alcune società multinazionali che versano interessi «gonfiati» a società controllate situate in giurisdizioni a bassa fiscalità. Il CESE raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di intensificare i negoziati internazionali nel quadro di istituzioni quali l’OCSE e il G20, in modo da garantire un’applicazione uniforme a livello di UE e OCSE, e di valutare inoltre se le norme proposte siano applicabili anche alle società finanziarie.

3.5

Per quanto riguarda le norme sull’imposizione in uscita, il CESE appoggia la proposta e suggerisce che gli Stati membri acconsentano al saldo del debito fiscale tramite pagamenti scaglionati unicamente quando il trasferimento non sia stato effettuato al solo scopo di ottenere vantaggi fiscali.

3.6

Il CESE raccomanda che la clausola di switch-over sia applicata direttamente a tutti i contribuenti che abbiano prodotto redditi in giurisdizioni considerate paradisi fiscali.

3.7

Il CESE appoggia le norme sulle società controllate estere definite nella proposta di direttiva.

3.8

Dato il danno arrecato alle basi imponibili degli Stati membri da una pianificazione fiscale aggressiva, il CESE raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di stabilire un termine breve per l’attuazione della direttiva per quanto riguarda gli elementi che sono in linea con gli impegni assunti nel processo BEPS nel quadro degli accordi OCSE/G20. Il CESE ritiene eccessivo il termine di tre anni stabilito nella proposta di direttiva.

3.9

Visto il potenziale impatto sul clima degli investimenti in Europa, il CESE avrebbe gradito una valutazione d’impatto nel progetto di direttiva, come è di prammatica nelle proposte in cui vengono presentate modifiche sostanziali.

Direttiva recante modifica della direttiva sulla cooperazione amministrativa (DAC)

3.10

Tenuto conto delle gravi conseguenze della frode fiscale e dell’evasione fiscale, il CESE approva le norme stabilite nella proposta di direttiva che modifica la direttiva sulla cooperazione amministrativa. Le relazioni sui risultati finanziari delle società sono incluse nelle categorie di informazioni che sono oggetto di scambio automatico tra le amministrazioni fiscali degli Stati membri, il che migliorerà l’efficacia di questo strumento utilizzato per combattere la frode fiscale, l’evasione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva.

3.11

Il CESE ritiene che la notifica delle relazioni di cui alla proposta di direttiva non dovrebbe essere imposta alle PMI (per le quali avrebbe un impatto sproporzionato in termini di costi) e che questa dovrebbe rimanere limitata alla categoria delle grandi società multinazionali di cui alla proposta. Limitare tale obbligo alle società multinazionali con un utile consolidato superiore a un determinato importo potrebbe rivelarsi controproducente e discriminatorio.

3.12

Le modifiche contenute nella proposta di direttiva promuovono l’attuazione uniforme dell’azione 13 del piano d’azione BEPS dell’OCSE in tutti gli Stati membri. Il CESE condivide la posizione della Commissione secondo cui la pianificazione fiscale aggressiva può essere combattuta soltanto a livello mondiale.

3.13

In considerazione delle ripetute richieste, da parte delle organizzazioni della società civile, di una maggiore trasparenza per quanto riguarda la tassazione delle società multinazionali, il CESE raccomanda alla Commissione di includere nelle disposizioni della direttiva l’obbligo per gli Stati membri di comunicare i dati presentati nelle relazioni che saranno oggetto dello scambio automatico di informazioni.

Raccomandazione della Commissione sull’abuso dei trattati fiscali

3.14

La raccomandazione della Commissione è volta ad attuare le azioni 6 e 7 del piano d’azione BEPS dell’OCSE che propongono di modificare il modello di convenzione fiscale al fine di ridurre le possibilità di abusi da parte di società multinazionali.

3.15

Il CESE sostiene le due clausole antiabuso proposte nella raccomandazione della Commissione. L’inserimento di tali clausole nei trattati stipulati dagli Stati membri, sia con altri Stati membri che con paesi terzi, ridurrà notevolmente le possibilità che gli utili prodotti dalle società multinazionali siano sottratti a tassazione mediante pratiche quali il treaty shopping (ricerca dei trattati più vantaggiosi).

Comunicazione su una strategia esterna per un’imposizione effettiva

3.16

La comunicazione della Commissione presenta la strategia esterna dell’UE per un sistema effettivo di tassazione delle imprese, tenuto conto che l’evasione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva sono fenomeni di portata mondiale. Il CESE sottoscrive l’approccio adottato dalla Commissione.

3.17

La Commissione propone di coordinare l’approccio adottato dagli Stati membri nei confronti dei paesi terzi per quanto riguarda le questioni connesse alla trasparenza fiscale. Il CESE condivide la posizione della Commissione, dal momento che l’applicazione frammentaria di norme di buona governance in materia fiscale da parte degli Stati membri nei confronti di paesi terzi non ha prodotto risultati convincenti nella lotta contro la pianificazione fiscale aggressiva.

3.18

Il ritmo dei cambiamenti nel contesto fiscale globale impone un aggiornamento dei criteri dell’UE in materia di buona governance fiscale. La Commissione ha proposto nuovi criteri a questo riguardo nell’allegato 1 della sua comunicazione. Il CESE esprime apprezzamento per l’iniziativa della Commissione e incoraggia il Consiglio ad approvare i nuovi criteri.

3.19

Il CESE ha appoggiato (10) l’idea di un elenco UE di giurisdizioni che rifiutano di applicare le norme di buona governance in materia fiscale. Attualmente, la maggior parte degli Stati membri dispone di un proprio sistema di elenchi e di sanzioni per le operazioni finanziarie nelle quali sono coinvolte tali giurisdizioni. Il CESE ritiene che un elenco UE con criteri chiari per individuare le giurisdizioni non cooperative e sanzioni applicabili in maniera uniforme da tutti gli Stati membri costituirebbero uno strumento molto più efficace per combattere l’evasione fiscale e la pianificazione fiscale aggressiva. Il Comitato approva pertanto le misure presentate dalla Commissione nella strategia in esame.

Bruxelles, 28 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  http://ec.europa.eu/taxation_customs/resources/documents/taxation/company_tax/anti_tax_avoidance/timeline_without_logo.png

(2)  COM(2016) 23 final.

(3)  COM(2016) 26 final.

(4)  COM(2016) 25 final.

(5)  C(2016) 271 final.

(6)  COM(2016) 24 final.

(7)  http://www.oecd.org/tax/transfer-pricing-documentation-and-country-by-country-reporting-action-13-2015-final-report-9789264241480-en.htm

(8)  http://www.oecd.org/ctp/beps-actions.htm

(9)  Cfr. il parere del CESE sul tema Lotta alla frode e all’evasione fiscale (GU C 198 del 10.7.2013, pag. 34).

(10)  Cfr. il parere del CESE in merito al Pacchetto sulla trasparenza fiscale (GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 64).


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/98


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - L’anello mancante - Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare»

[COM(2015) 614 final],

alla

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio»

[COM(2015) 596 final - 2015/0276 (COD)],

alla

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2008/98/CE sui rifiuti»

[COM(2015) 595 final - 2015/0275 (COD)],

alla

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti»

[COM(2015) 594 final - 2015/0274 (COD)]

e alla

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche»

[COM(2015) 593 final - 2015/0272 (COD)]

(2016/C 264/14)

Relatore:

Cillian LOHAN

La Commissione, in data 2 dicembre 2015, il Parlamento europeo, in data 14 dicembre 2015, e il Consiglio, in data 15 dicembre 2015, hanno deciso, conformemente al disposto dell’articolo 192, paragrafo 1, dell’articolo 114, paragrafo 1, e dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito ai seguenti documenti:

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - L’anello mancante - Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare» - [COM(2015) 614 final]

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio» - [COM(2015) 596 final - 2015/0276 (COD)]

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2008/98/CE sui rifiuti» - [COM(2015) 595 final - 2015/0275 (COD)]

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti» - [COM(2015) 594 final - 2015/0274 (COD)]

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2000/53/CE relativa ai veicoli fuori uso, 2006/66/CE relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori e 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche» - [COM(2015) 593 final - 2015/0272 (COD)]

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 192 voti favorevoli, 4 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) nutre la speranza che l’ambizione della Commissione europea di stimolare la transizione verso un’economia circolare sia un primo passo verso un’evoluzione dei modelli di comportamento e delle pratiche, e ribadisce la sua contrarietà al ritiro del precedente pacchetto sull’economia circolare pubblicato nel 2014.

1.2

Il CESE si compiace però che la Commissione abbia accolto alcune delle sue raccomandazioni formulate in merito al pacchetto 2014 (ad esempio, l’accento sulla parte a monte del ciclo di vita del prodotto). Sussistono tuttavia dei margini di miglioramento per quanto riguarda il livello di ambizione del nuovo pacchetto. Gli obiettivi delle proposte del 2014 prevedevano maggiori benefici economici e ambientali (1). Il CESE raccomanda quindi di ripristinare gli obiettivi del pacchetto 2014 in materia di trattamento dei rifiuti, garantendo che possano essere realizzati in maniera efficiente sotto il profilo dei costi. Nel complesso, il termine di 18 mesi non appare giustificato dalla portata o dall’ambizione del nuovo pacchetto rispetto a quello precedente.

1.3

Le politiche in materia di economia circolare dovrebbero garantire la lunga durata di vita, la scala ridotta, la dimensione locale e la pulizia dei circuiti. Per determinate attività industriali, i cicli hanno a volte la tendenza ad essere lunghi.

1.4

Nelle sue proposte la Commissione non si sofferma a sufficienza sui vantaggi e i rischi sul piano sociale e lavorativo collegati alla transizione verso un’economia circolare (2). Tali proposte non prevedono le necessarie misure di adattamento della forza lavoro tramite la formazione e l’istruzione. Occorre individuare i settori e i lavoratori più vulnerabili per poter mettere a punto tutto un insieme di strutture di sostegno a loro destinate.

1.5

Il CESE accoglie con favore l’inserimento dell’obbligo di segnalare l’utilizzo di strumenti economici adeguati per favorire il conseguimento degli obiettivi di riduzione dei rifiuti, anche se questa disposizione andrebbe applicata in un contesto più ampio. L’utilizzo di strumenti economici per favorire la transizione dovrebbe essere rafforzato e reso più sistemico.

1.6

Il CESE è pronto a esaminare la fattibilità di una piattaforma europea aperta per l’economia circolare, organizzata dal Comitato stesso, che riunisca le parti direttamente interessate e la società civile dei settori pubblico, semipubblico o privato coinvolti nell’uso efficiente delle risorse. Tale piattaforma offrirebbe opportunità di scambio e di sensibilizzazione in materia di buone pratiche.

1.7

L’istruzione in tutte le sue forme e a tutti i livelli costituirà una parte essenziale della transizione verso un’economia circolare. In tale ambito occorrerà individuare le esigenze di formazione dei lavoratori che dovranno far fronte a un cambiamento immediato, nonché condurre un’azione più a lungo termine volta ad educare le generazioni future.

1.8

La transizione verso l’economia circolare deve produrre dei risultati per il mondo imprenditoriale. Il parere NAT/652 (3) ha individuato misure a sostegno delle PMI. L’accesso ai finanziamenti sarà una questione centrale per le PMI e per gli imprenditori desiderosi di sfruttare le opportunità che si apriranno nello spazio dell’economia circolare.

1.9

La prevista revisione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile deve tener conto del ciclo completo del prodotto, e in particolare dei seguenti aspetti: durabilità, riparabilità, disponibilità/accessibilità economica dei pezzi di ricambio, comunicazione incondizionata di informazioni riguardo alla riparazione e alla manutenzione da parte dei fabbricanti. Il CESE sottolinea l’esigenza di applicare i principi di progettazione ecocompatibile a tutti i settori manifatturieri, agevolando così il recupero sostenibile sul piano economico e fattibile sotto il profilo tecnico delle materie prime e degli elementi che compongono i prodotti ormai giunti alla fine del loro ciclo di vita. I prodotti elettronici, e in special modo i telefoni cellulari, costituiscono l’esempio più comunemente citato per illustrare questo aspetto.

1.10

È necessario rendere l’etichettatura più completa, in modo da includervi l’aspettativa di vita del prodotto. Il semplice controllo di un’eventuale obsolescenza programmata non è sufficiente. Il CESE invita ancora una volta i responsabili delle politiche a considerare la possibilità di «vietare» senza eccezioni «i prodotti che presentano una difettosità calcolata volta a porre fine alla vita dell’apparecchio» (4).

1.11

Il modo migliore per ottenere un cambiamento dei comportamenti consiste nel fornire chiari segnali in termini di prezzo, offrendo cioè praticità e prezzi competitivi ai consumatori. I prodotti o i servizi conformi ai principi di circolarità dovrebbero avere prezzi chiaramente differenziati in funzione della disponibilità/scarsità di risorse o delle modalità di progettazione dei prodotti stessi. Ciò si può realizzare, in una fase iniziale, ricorrendo a regimi di responsabilità estesa del produttore e/o alla tassazione verde. Il CESE evidenzia l’importanza di verificare la fattibilità di ogni nuova misura.

1.12

Il CESE accoglie con favore l’introduzione di requisiti minimi per i regimi di responsabilità estesa del produttore, ma ritiene necessario chiarire ulteriormente i ruoli e le responsabilità delle diverse parti interessate lungo tutta la catena. L’adozione di regimi di responsabilità estesa del produttore dovrebbe essere obbligatoria per gli Stati membri.

1.13

Occorre mettere a punto meccanismi di sostegno che consentano ai cittadini meno abbienti di accedere a beni e servizi di qualità superiore (e con un costo iniziale maggiore). Tali meccanismi potrebbero consistere in prestiti garantiti dallo Stato o formule di finanziamento sostenute dal fabbricante e applicate a tasso agevolato esclusivamente ai prodotti che presentano una durata minima di vita ben definita e sono progettati in modo da rispettare tutti gli aspetti della circolarità.

1.14

Nel quadro del pacchetto in esame dovrebbero essere incoraggiati strumenti politici specifici di provata efficacia quali i sistemi di restituzione con cauzione e i sistemi integrati di gestione. L’applicazione di aliquote ridotte o l’esenzione dall’IVA per i prodotti riciclati, come anche per le attività di riutilizzo e riparazione, possono stimolare gli imprenditori a svolgere un ruolo attivo in questo settore e offrire ai consumatori prodotti a prezzi concorrenziali, contribuendo così a promuovere il cambiamento generalizzato dei comportamenti. Le sovvenzioni dovrebbero essere rimodulate in modo da sostenere l’utilizzo di materie prime secondarie e incoraggiare l’applicazione dei principi di progettazione ecocompatibile in tutti i settori manifatturieri.

1.15

Le pubbliche amministrazioni e le loro istituzioni dovrebbero assumere un ruolo guida ricorrendo agli appalti pubblici verdi per tutti gli acquisti di prodotti e servizi che rientrano nelle loro competenze. L’opzione verde dovrebbe essere la scelta «di default», mentre qualunque altra opzione dovrebbe richiedere una motivazione.

1.16

La raccolta differenziata dei flussi di rifiuti è fondamentale per conseguire la circolarità. Si accoglie con favore l’inserimento dell’obbligo di assicurare immediatamente la raccolta differenziata dei rifiuti organici. La prescrizione contenuta nella direttiva dovrebbe essere estesa a tutti tipi di raccolta differenziata, in maniera da diventare obbligatoria, a meno che non venga concessa una deroga specifica in presenza di un ostacolo pratico alla sua fattibilità.

1.17

Gli sprechi alimentari si possono ridurre solo introducendo alcune tappe nel cammino da percorrere per conseguire l’obiettivo di sviluppo sostenibile n. 2. Lo sviluppo di un meccanismo per quantificare perdite e sprechi alimentari dovrebbe essere inserito nell’allegato fissando un termine ultimo ben preciso, sulla base del lavoro già compiuto (5).

1.18

I concetti dell’economia circolare non possono essere sviluppati in maniera isolata. Si rende necessario un organismo di sorveglianza, come la Piattaforma europea sull’efficienza nell’impiego delle risorse, preposto a garantire che le altre strategie settoriali elaborate dalla Commissione siano in armonia con i principi di un’economia circolare.

1.19

Il processo del semestre europeo, attraverso le raccomandazioni specifiche per paese, può servire a garantire l’attuazione a livello di Stati membri e la priorità della transizione verso un modello di economia circolare.

2.   Introduzione

2.1

Il 2 dicembre 2015 la Commissione europea ha pubblicato un pacchetto riveduto di proposte sull’economia circolare. Esso consta di una parte non legislativa, che consiste in una comunicazione dal titolo L’anello mancante - Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare, e di una parte che propone una serie di modifiche alla normativa europea vigente in materia di trattamento e riciclaggio dei rifiuti.

2.2

Le nuove proposte sostituiscono il precedente pacchetto che la Commissione europea presieduta da José Manuel Barroso aveva pubblicato nel luglio 2014 nel quadro dell’iniziativa faro Europa 2020 Un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse. Il nuovo pacchetto introduce alcune migliorie - in special modo, è più completo e comprende tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto - ma in alcuni ambiti appare meno ambizioso. Vi è il rischio che il pacchetto risulti incentrato esclusivamente sul riciclaggio e non introduca strumenti politici che rispecchino la volontà di conseguire un nuovo modello economico di circolarità. L’aumento delle percentuali di riciclaggio non è sinonimo di economia maggiormente circolare. Nel complesso, il termine di 18 mesi non appare giustificato dalla portata o dall’ambizione del nuovo pacchetto rispetto a quello precedente.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il passaggio da un’economia lineare, basata sul ciclo «estrazione-trasformazione-utilizzo-scarto», a una circolare, in cui i rifiuti possono essere trasformati in risorse, rappresenta una sfida essenziale per l’Europa. Tale conversione rende infatti l’economia più sostenibile e ne riduce l’impronta ecologica grazie a una migliore gestione delle risorse e alla riduzione dell’attività estrattiva e dell’inquinamento; consente inoltre alle imprese di acquisire maggiore competitività grazie a una migliore gestione delle materie prime, diminuendo nel contempo la dipendenza dell’economia dalle importazioni di materie (potenzialmente essenziali e rare); offre infine nuove opportunità economiche e nuovi mercati all’interno e all’esterno dell’Europa, e conduce alla creazione di posti di lavoro a livello locale.

3.2

Il CESE accoglie con favore il fatto che sia riconosciuta la necessità di passare a un’economia circolare. La sfida consiste nel realizzare un cambiamento sistemico se si vuole sfruttare appieno il potenziale offerto dai molteplici benefici economici e sociali. Le politiche in materia di economia circolare dovrebbero garantire che i cicli siano duraturi, brevi, locali e puliti. Tuttavia, la dimensione di tali cicli può essere variabile. In un’economia circolare l’utilizzo dovrebbe essere più importante del possesso; i sistemi prodotti-servizi e i modelli di consumo collaborativo possono dare un contributo assai positivo a tal riguardo e saranno ulteriormente approfonditi in due futuri pareri del CESE. Un’economia circolare non è semplicemente un’economia lineare nella quale si cerca di reintrodurre i rifiuti nella produzione: essa si prefigge infatti di realizzare una riorganizzazione completa dell’economia, che impone la ridefinizione dei concetti stessi di responsabilità e di proprietà. Questi cambiamenti fondamentali devono essere attuati tenendo conto del contesto mondiale e interconnesso del modello economico attuale. Affrontare le questioni mondiali unicamente a livello regionale risulta raramente efficace: piuttosto, è necessario avviare un’iniziativa su scala mondiale.

3.3

Gli effetti che il passaggio a un’economia circolare ha sull’economia in generale devono essere costantemente analizzati. Man mano che le pratiche aziendali superate diventano obsolete, occorre individuare i soggetti maggiormente colpiti da questo processo offrendo loro un sostegno per garantire una transizione giusta ed equa verso l’economia circolare. Occorre tener conto dei vantaggi e dei rischi sul piano sociale e lavorativo collegati alla transizione (6).

3.4

Mancano strumenti economici in grado di dare impulso alla transizione. Il CESE ha individuato la necessità di una combinazione di strumenti di mercato e normativi per conseguire un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse (7). L’articolo 4, paragrafo 3, [COM(2015) 595 final] impone agli Stati membri di ricorrere a strumenti economici e di riferire alla Commissione 18 mesi dopo l’entrata in vigore della direttiva e successivamente ogni cinque anni. Tale disposizione potrebbe essere rafforzata inserendo l’obbligo di una relazione intermedia dopo tre anni e la raccomandazione di ricorrere alla tassazione ambientale. Bisognerebbe diffondere i migliori strumenti sviluppati dai singoli Stati membri, incoraggiandone l’adozione tramite il processo del semestre europeo.

3.5

La Commissione dovrebbe offrire maggiore chiarezza riguardo alla coerenza dei diversi piani d’azione presentati in questi anni e alla loro interrelazione in termini di gerarchia e di condizionalità incrociata: la Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse  (8), il Settimo programma di azione per l’ambiente fino al 2020  (9) e il Piano d’azione dell’Unione europea per l’economia circolare. Molte delle attività proposte dall’ultimo piano d’azione erano già menzionate nelle precedenti iniziative. È fondamentale quindi procedere a una valutazione completa dei successi e dei fallimenti delle iniziative precedenti.

3.6

Il pacchetto sull’economia circolare è un passo nella giusta direzione. Resta però un interrogativo fondamentale: le misure proposte bastano, nel loro insieme, a spostare le politiche economiche dall’attuale percorso di sviluppo (che porterà anche a un utilizzo più efficiente delle risorse) verso un modello realmente circolare che dissoci (completamente) la prosperità economica dall’utilizzo di risorse naturali e moltiplichi i benefici economici e sociali (10)? Il piano d’azione dev’essere adatto ad affrontare le sfide sistemiche sottese e a creare un quadro sufficiente per avviare la transizione (11).

3.7

Il CESE accoglie con favore la valutazione d’impatto che accompagna le proposte legislative della Commissione in materia di rifiuti (12), e osserva che i vantaggi del presente pacchetto in termini economici e occupazionali e di riduzione delle emissioni sono inferiori a quelli del pacchetto ritirato. Sarebbe utile effettuare un’analisi costi-benefici del piano d’azione non legislativo al fine di individuare le misure più efficaci e proporzionate per realizzare il passaggio a un’economia circolare (13).

3.8

L’attuazione è la chiave del successo. Il CESE chiede che venga istituito un organismo specifico responsabile della coerenza e della condizionalità, simile alla Piattaforma europea sull’efficienza nell’impiego delle risorse (14) che ha contribuito al Settimo programma d’azione per l’ambiente e al pacchetto sull’economia circolare.

3.9

Il CESE riconosce gli sforzi compiuti dalla Commissione per coinvolgere un’ampia gamma di diretti interessati e di esperti, come raccomandato nel parere NAT/652 (15). La transizione verso un’economia circolare è un processo di lunga durata che richiede una responsabilizzazione a tutti i livelli e da parte di tutti i settori. Nella sua comunicazione, la Commissione sottolinea l’intenzione di coinvolgere attivamente i soggetti interessati nell’attuazione del piano d’azione (16); i dettagli di tale operazione saranno determinanti.

3.10

Il CESE ribadisce la sua offerta, avanzata nel parere NAT/652, di promuovere in maniera attiva le reti degli attori della società civile che sostengono la transizione verso un modello di economia circolare, e anche di studiare la creazione e la gestione di un forum europeo per l’economia circolare. In materia esistono già diversi forum, ma essi offrono una prospettiva settoriale tecnica. Il CESE si trova in una posizione ideale per fornire un forum di una certa visibilità che favorisca l’attività di rendicontazione e l’impegno a favore dell’economia circolare da parte dei diretti interessati. Tale forum potrebbe essere organizzato in collaborazione con la Commissione per costituire una piattaforma d’impegno multipartecipativa e intersettoriale. Il CESE dispone già di un Forum della migrazione che può rappresentare un modello appropriato a cui rifarsi.

3.11

Il ruolo dei lavoratori durante la transizione e dopo il passaggio a un modello di economia circolare e la creazione di posti di lavoro di qualità rivestono un’importanza fondamentale. Il CESE ha già avuto modo di esprimere la propria posizione (17) rilevando che, nonostante l’Iniziativa per favorire l’occupazione verde  (18) , il pacchetto ritirato non aveva analizzato a sufficienza i benefici e i problemi specifici a livello socio-economico dell’economia circolare. Questa osservazione resta valida anche per il pacchetto presentato nel 2015. I settori industriali e le imprese che risentiranno negativamente della transizione dovranno ricevere un sostegno mirato, al fine di garantire che questo processo di trasformazione avvenga in maniera equa. I lavoratori devono essere tutelati e messi in condizioni di trarre vantaggio dalle numerose opportunità (19) offerte dal nuovo modello circolare.

3.12

L’educazione all’economia circolare deve essere estesa a tutti i livelli, dalla scuola primaria alle imprese, alle PMI, agli investitori e ai finanziatori. L’istruzione e la formazione devono essere collegate in un programma coerente che affronti le sfide socio-economiche individuate. L’istruzione sarà uno dei fattori che favoriranno un cambiamento su larga scala dei comportamenti e potrà contribuire a creare una nuova generazione di consumatori responsabili che dispongono di opzioni dal prezzo corretto, all’insegna della praticità, della qualità e del consumo etico.

3.13

La transizione verso l’economia circolare deve produrre dei risultati per il mondo imprenditoriale. Il parere NAT/652 (20) ha individuato misure a sostegno delle PMI. L’accesso ai finanziamenti sarà una questione centrale per le PMI e per gli imprenditori desiderosi di sfruttare le opportunità che si apriranno nello spazio dell’economia circolare. Il Fondo di coesione, i fondi strutturali e di investimento europei, il Fondo europeo per gli investimenti strategici, nonché fondi tematici come LIFE e COSME, rappresentano una possibile fonte di finanziamento e, al loro interno, dovrebbero essere rese disponibili specifiche opzioni di finanziamento.

4.   Osservazioni specifiche

4.1    Produzione

4.1.1

L’attesa revisione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile (21) deve tener conto del ciclo completo del prodotto, e in particolare dei seguenti aspetti: durabilità, obsolescenza programmata (o «durata di vita»), riparabilità, disponibilità/accessibilità economica dei pezzi di ricambio, comunicazione incondizionata di informazioni da parte dei fabbricanti.

4.1.2

Attualmente la direttiva sulla progettazione ecocompatibile si applica solo ai prodotti connessi all’energia. In precedenti pubblicazioni (22), la mobilità, l’edilizia e l’alimentazione erano state individuate come responsabili del 70-80 % dell’impatto negativo sull’ambiente. Da ciò emerge chiara l’esigenza di applicare il principio di progettazione ecocompatibile a tutti i settori. Si tratta di un elemento trasversale essenziale. In particolare, per agevolare lo sviluppo di PMI regionali nei settori che ruotano attorno alle opportunità offerte dalla riparazione, dal riutilizzo e dalla preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio, il materiale di base dev’essere stato progettato per molteplici usi diversi e nell’ottica di un suo smontaggio e riciclaggio.

4.1.3

I regimi di responsabilità estesa del produttore dovrebbero tener pienamente conto di tutti i cicli possibili. Si riconosce che l’efficienza nell’uso dei materiali è una questione più complessa da regolamentare dell’efficienza energetica, ma questa sfida va affrontata con un approccio innovativo. I nuovi incentivi a favore della responsabilità estesa devono essere tali da tradursi in un cambiamento sostanziale dei comportamenti a livello del produttore, che si traduce a sua volta in un cambiamento dei comportamenti da parte del consumatore. I fabbricanti dovrebbero avere l’obbligo di comunicare il previsto ciclo di vita dei loro prodotti.

4.1.4

Nella fase conclusiva della transizione dovrà essere sostenuta e promossa una simbiosi settoriale favorevole alle PMI sulla base di ecosistemi economici e sociali di dimensione locale sostenuti da politiche regionali per l’industria verde. La prima fase di circolarità coinvolgerà economie regionali caratterizzate da un numero molto elevato di PMI. Un maggior ricorso a sottoprodotti industriali come materie prime per altri comparti contribuirà a un uso più efficiente delle risorse. Mancano informazioni su come la Commissione utilizzerà l’articolo 5 modificato della direttiva 2008/98/CE sui rifiuti per conseguire questo obiettivo.

4.1.5

L’economia circolare si può sviluppare ulteriormente, in una fase successiva, in modo da favorire la reindustrializzazione sostenibile dell’Europa. Si potrebbe delineare una fase di sviluppo con una chiara dimensione industriale, basata sulla normalizzazione, per garantire che si possa trattare di un modello efficiente e su larga scala.

4.1.6

In una economia circolare reale i concetti di proprietà e di responsabilità rivestono un’importanza centrale. I produttori dovrebbero essere incoraggiati a elaborare modelli commerciali funzionali nei quali il leasing e la vendita di beni intesi come servizi diventano una pratica corrente, in cui tutti i costi sono internalizzati. Questo è il collegamento tra la produzione di beni e servizi per un modello circolare e l’introduzione di una «economia delle prestazioni», in cui i modelli economici tengono pienamente conto della scarsità di risorse.

4.1.7

Le potenzialità insite nel riutilizzo e nella riparazione in termini di attività economiche e creazione di occupazione a livello locale potrebbero essere sfruttate più ampiamente grazie a una migliore cooperazione con i fabbricanti. Le informazioni sul prodotto e la disponibilità e accessibilità economica dei pezzi di ricambio per un periodo minimo di tempo dall’immissione di tale prodotto sul mercato, in particolare, sono elementi essenziali che potrebbero contribuire all’espansione del settore della riparazione e del riutilizzo. Si dovrebbero promuovere dei regimi volontari atti a migliorare la cooperazione con i fabbricanti e si potrebbero studiare i requisiti giuridici necessari per la divulgazione di informazioni sui prodotti. Analogamente, gli operatori che esercitano attività di riutilizzo e riparazione dovrebbero godere di un accesso più agevole ai prodotti giunti alla fine del loro ciclo di vita, in modo da incentivare l’innovazione e la creazione di posti di lavoro in questo settore.

4.1.8

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione consideri l’obsolescenza programmata come una questione da affrontare: essa può essere contrastata con successo promuovendo modelli economici innovativi incentrati su servizi/prestazioni. In un precedente parere in merito al consumo sostenibile e alla durata di vita dei prodotti (23), il CESE aveva invitato i responsabili delle politiche a considerare la possibilità di «vietare» senza eccezioni «i prodotti che presentano una difettosità calcolata volta a porre fine alla vita dell’apparecchio». Un semplice programma di test indipendenti nell’ambito di Orizzonte 2020 per individuare le pratiche di obsolescenza programmata, proposto nel piano d’azione della Commissione, non basta ad affrontare in misura soddisfacente questo problema. Il CESE invita quindi la Commissione a formulare al più presto proposte più ambiziose.

4.2    Consumi

4.2.1

Un cambiamento dei comportamenti si può ottenere offrendo praticità e prezzi competitivi ai consumatori. I prodotti o i servizi conformi ai principi di circolarità dovrebbero avere prezzi differenziati in funzione della disponibilità/scarsità di risorse o delle loro modalità di progettazione. Ciò si può realizzare, in una fase iniziale, ricorrendo a regimi di responsabilità estesa del produttore e/o alla tassazione verde. Il CESE evidenzia l’importanza di verificare la fattibilità di ogni nuova misura.

4.2.2

Il CESE attende con interesse la proposta della Commissione intesa a razionalizzare le etichette verdi e a impedire le false dichiarazioni di ecocompatibilità. Un’etichettatura accurata contenente le informazioni essenziali richieste dagli acquirenti permetterà ai consumatori di compiere migliori scelte di acquisto e di prendere decisioni riguardo agli aspetti del prodotto realmente comparabili. Ad esempio, un elettrodomestico con un prezzo iniziale più elevato può in realtà rivelarsi nel tempo la scelta più economica in considerazione della sua longevità, della sua qualità e delle sue prestazioni.

4.2.3

L’accesso per tutti i consumatori e l’accessibilità economica dell’apparecchio dalle prestazioni migliori costituiscono un aspetto problematico. Occorre mettere a punto meccanismi di sostegno che consentano ai cittadini meno abbienti di accedere a beni e servizi che presentano, sì, un costo iniziale maggiore, ma anche una qualità superiore. Tali meccanismi potrebbero assumere la forma di prestiti garantiti dallo Stato o di formule di finanziamento sostenute dal fabbricante e applicate a tasso agevolato esclusivamente ai prodotti che presentano una durata minima di vita ben definita e sono progettati in modo da rispettare tutti gli aspetti della circolarità. Per risolvere questo problema si dovrebbe abbandonare il modello basato sulla proprietà a favore di un modello di tipo leasing.

4.2.4

L’opzione circolare dev’essere economicamente accessibile al consumatore. Di norma un prodotto di qualità superiore e con una più lunga durata di vita prevista risulta più costoso al momento dell’acquisto iniziale. Tuttavia, questo svantaggio in termini di costi solitamente si riduce nell’arco del periodo di utilizzo del prodotto. Un miglioramento dell’etichettatura e dell’informazione, associato a strumenti finanziari che incentivino una durata maggiore del prodotto, il ricorso a componenti più puliti, una più elevata capacità di riparare e smontare le diverse parti per riutilizzarle, contribuirà a produrre un cambiamento dei comportamenti.

4.2.5

Il Settimo programma di azione per l’ambiente (paragrafo 41, punto d), dell’allegato) prevede la creazione di un quadro di politica più coerente per la produzione e il consumo sostenibili e la determinazione di obiettivi per ridurre l’impatto globale dei consumi. Nel pacchetto si fa riferimento all’obiettivo di sviluppo sostenibile dell’ONU n. 12 (consumo e produzione sostenibili), ma la necessità di definire degli obiettivi, individuata nel Settimo programma di azione, non trova riscontro nel piano d’azione o nell’allegato.

4.2.6

Occorre stabilire un collegamento tra il potenziale della digitalizzazione dell’economia di ridurre l’impronta ecologica del consumo e della produzione, e di favorire l’utilizzo multiplo e la riparazione, da un lato, e la realizzazione della circolarità, dall’altro.

4.2.7

Una scelta responsabile da parte dei consumatori richiede una loro corretta informazione. Si accoglie pertanto con favore lo sviluppo di una metodologia basata sull’impronta ecologica del prodotto. Tuttavia, già nella Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse del 2011 (24) si parlava di valutazione dell’impronta ecologica.

4.2.8

Il CESE chiede che vengano fissati obiettivi quantitativi per il riutilizzo a sé stanti, separati da quelli per il riciclaggio, in quanto vanno create le condizioni necessarie per poter raggiungere tali obiettivi.

4.2.9

La promozione dei sistemi di riutilizzo e di riparazione potrebbe essere un buon esempio di ricorso a strumenti economici. Andrebbe considerata l’opportunità di applicare aliquote IVA inferiori ai prodotti progettati per essere riutilizzati o per essere riparati e venduti. Tale provvedimento trasformerebbe la competitività dei prodotti riparati, incentivando l’attività innovativa e imprenditoriale nella zona.

4.2.10

Quanto al consumo collaborativo, si rimanda ai messaggi già formulati dal CESE in alcuni suoi pareri precedenti (25). Per aiutare i consumatori a compiere scelte più responsabili bisognerebbe tenere conto degli sviluppi promettenti offerti dalle ricerche scientifiche più recenti, in particolare per quanto concerne le scienze comportamentali e il concetto della «spinta gentile»; il CESE elaborerà presto un parere su questo tema.

4.2.11

Gli appalti pubblici verdi costituiscono un importante incentivo per promuovere il consumo sostenibile. È necessario valutare l’attuale quota di appalti verdi rispetto ai consumi pubblici totali. Attualmente la scelta «di default» negli appalti pubblici è costituita dal prezzo più basso. L’opzione verde dovrebbe invece diventare la scelta «di default», in modo tale che, per selezionare qualunque altra offerta che non sia verde, siano necessarie circostanze attenuanti e una spiegazione appropriata.

4.3    Gestione dei rifiuti

4.3.1

È essenziale che la legislazione europea vigente in materia di rifiuti sia attuata correttamente in tutta l’UE. Il CESE ribadisce il proprio sostegno alla gerarchia dei rifiuti, ed esorta tutte le parti interessate pubbliche e private a darvi piena applicazione.

4.3.2

La parte legislativa del pacchetto sull’economia circolare che modifica diverse direttive sui rifiuti è stata chiaramente ridimensionata rispetto alla proposta formulata nel 2014. Il CESE rileva che la nuova proposta della Commissione non è inoltre all’altezza degli obiettivi ambiziosi in materia di prevenzione e di riciclaggio dei rifiuti auspicati dal Parlamento europeo nel luglio 2015 (26).

4.3.3

Merita un apprezzamento positivo la proposta di obbligare gli Stati membri a ricorrere a strumenti economici atti a incentivare l’applicazione della gerarchia dei rifiuti (27) e adottare misure volte a evitare la produzione di rifiuti (28). Non è chiaro però se gli Stati membri dovranno rivedere i programmi di prevenzione dei rifiuti già esistenti alla luce delle nuove disposizioni (29).

4.3.4

Il CESE ritiene che gli Stati membri dovrebbero adottare obbligatoriamente regimi di responsabilità estesa del produttore. Si compiace dell’introduzione di requisiti minimi per questi regimi di responsabilità, considerando che le prestazioni di tali regimi differiscono fortemente da un Stato membro all’altro. Queste disposizioni potrebbero però essere rafforzate in modo da armonizzare ulteriormente i requisiti minimi, chiarendo in particolare quali siano i ruoli e le responsabilità dei diretti interessati nell’intera catena del valore e quali le loro obbligazioni in termini finanziari. I legislatori, inoltre, dovrebbero considerare l’opportunità di inserire nella direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (30) requisiti specifici in materia di responsabilità estesa del produttore al fine di accrescere la loro efficacia.

4.3.5

Il CESE rileva che il Parlamento europeo aveva chiesto che fossero stabiliti obiettivi di prevenzione dei rifiuti urbani, commerciali e industriali, ma la proposta legislativa non prevede nulla di tutto ciò.

4.3.6

Gli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti urbani e di imballaggio per il 2030 sono stati ridimensionati rispetto alla precedente proposta, benché, nel documento di lavoro dei servizi della Commissione (31) che accompagna le nuove proposte, si giunga alla conclusione che obiettivi più elevati in materia di riciclaggio producono maggiori vantaggi finanziari, sociali e ambientali (32). Si riconosce che la Commissione ha messo a punto una strategia di attuazione articolata che tiene conto delle condizioni specifiche dei singoli Stati membri e associa alle misure gli strumenti finanziari della politica di coesione dell’UE ed altri strumenti ancora (33).

4.3.7

L’Irlanda ha compiuto rapidi progressi, nell’arco di 10 anni, passando da quasi il 100 % dei rifiuti smaltiti in discarica al conseguimento di tutti i suoi obiettivi di riciclaggio. Nel paese esistono attualmente un piano di prevenzione dei rifiuti e tre piani regionali in materia di rifiuti. L’Irlanda è stata il primo paese al mondo a introdurre una imposta sui sacchetti di plastica, una misura che è stata poi adottata in tutto il mondo. Vi sono ancora alcune difficoltà da superare, come il controllo quasi completo delle attività di gestione dei rifiuti da parte del settore privato e la sostituzione - troppo frequente - della discarica con l’inceneritore. L’Irlanda resta comunque un valido esempio di quanto si possa raggiungere in poco tempo, da cui risulta chiaro che nel caso di alcuni Stati membri non serve un’ampia deroga di altri 5 anni per raggiungere gli obiettivi.

4.3.8

La raccolta differenziata dei flussi di rifiuti appare indispensabile per garantire una chiusura del cerchio con materie prime secondarie di qualità elevata. L’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/98/CE sui rifiuti prevedeva l’istituzione entro il 2015 di sistemi di raccolta differenziata almeno per la carta, i metalli, la plastica e il vetro. La precedente proposta rafforzava tale misura con l’istituzione della raccolta differenziata dei rifiuti organici entro il 2025 (cfr. articolo 25). Al posto di questi requisiti severi in materia di raccolta differenziata, la nuova proposta prevede norme non vincolanti - in pratica meno efficaci - che richiedono «la raccolta differenziata dei rifiuti, ove essa sia fattibile sul piano tecnico, ambientale ed economico e adatta […]». Il CESE raccomanda di rafforzare questa disposizione. Dal momento che la nuova norma in materia di raccolta differenziata di rifiuti organici entrerà in vigore senza un periodo di transizione adeguato, questa «clausola di salvaguardia» così esplicita può, nella pratica, far sì che alcuni Stati membri manchino del tutto di realizzare questa ambizione.

4.3.9

È importante notare che gli elevati tassi di riciclaggio, da soli, non consentiranno di mantenere le risorse nell’ambito dei prodotti di rapido smercio, quali gli imballaggi in alluminio per bevande il cui ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento, è compreso tra 3 settimane e 6 mesi (34).

4.3.10

Il CESE accoglie con favore gli sforzi della Commissione volti ad armonizzare le definizioni e i metodi di calcolo per garantire la raccolta di dati affidabili e comparabili. È indispensabile accertarsi che le definizioni proposte, in particolare quelle di «preparazione per il riutilizzo» e «processo finale di riciclaggio» (35), non creino barriere e/o ostacoli per gli attori economici coinvolti nelle attività di riutilizzo e riciclaggio. Tali definizioni dovrebbero al contrario rispecchiarne le esigenze e aiutarli a sviluppare le loro attività.

4.4    Trasformare i rifiuti in risorse

4.4.1

In considerazione dei dubbi esistenti riguardo alla qualità delle materie prime secondarie e di fronte alle incertezze giuridiche derivanti dall’interazione tra le normative in materia di rifiuti, prodotti e sostanze chimiche, la Commissione affronta i gravi ostacoli che si frappongono al funzionamento del mercato delle materie prime secondarie. La Commissione non analizza le ragioni per cui lo strumento della direttiva 2008/98 sui rifiuti - vale a dire l’introduzione di criteri volti a definire «quando un rifiuto cessa di essere tale» - si sia dimostrato inefficace.

4.4.2

Occorre operare una distinzione tra, da un lato, la responsabilità per le prestazioni dei prodotti e le garanzie/obbligazioni che vi sono collegate e, dall’altro, la responsabilità per i componenti dei singoli prodotti. La prima servirà ad incoraggiare un cambiamento nei comportamenti del consumatore. La seconda svolge un ruolo fondamentale ai fini della conservazione delle risorse e dell’eliminazione dei rifiuti dal sistema. Una responsabilità estesa nei confronti dei componenti di un prodotto significa che le risorse contenute nei rifiuti continuano ad avere un proprietario, che non solo ne è ancora responsabile, ma ha anche un vantaggio competitivo in termini di riutilizzo di tali risorse.

4.4.3

Si rendono necessarie misure più rigorose per incrementare la domanda di materie prime secondarie. Nella Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse la Commissione si era impegnata ad adottare misure più ambiziose, come ad esempio quella di valutare l’introduzione di «quote minime di materie riciclate» per i prodotti principali.

4.4.4

Per migliorare l’utilizzo di materie prime secondarie nella produzione di nuovi beni si potrebbe anche ricorrere a partenariati pubblico-privati a livello dell’UE, come ad esempio il partenariato europeo per l’innovazione concernente le materie prime. Alcuni settori europei appaiono pronti ad impegnarsi nell’economia circolare. Per esempio, l’industria cartaria europea ha annunciato di recente il proprio impegno a incrementare il tasso di riciclaggio della carta, che attualmente sfiora il 72 % (36).

4.5    Settori prioritari

Il CESE rileva la definizione apparentemente arbitraria di cinque settori prioritari, dai quali risulta sorprendentemente esclusa l’«acqua».

Plastica

4.5.1

Il CESE accoglie favorevolmente l’annuncio di una strategia per le materie plastiche prevista per il 2017 e attende di poter ben presto disporre di un contributo dettagliato al riguardo.

4.5.2

Nell’ambito di tale strategia si dovrà obbligatoriamente affrontare la questione dell’inquinamento marino provocato dalla plastica, fissando obiettivi precisi in materia. L’azione specifica volta a ridurre i rifiuti marini, che figura nell’allegato, in linea con l’obiettivo di sviluppo sostenibile, risulterà fortemente potenziata dall’introduzione di un obiettivo quantificabile nella strategia per le materie plastiche.

4.5.3

Si ravvisa inoltre l’opportunità di affrontare la questione della proprietà e della responsabilità estesa del produttore nel caso specifico delle materie plastiche. Ciò è tanto più importante in quanto stiamo vivendo in un’era geologica, l’antropocene, che è destinata a essere ufficialmente riconosciuta dai livelli di materie plastiche presenti negli strati geologici ora in formazione.

Sprechi alimentari

4.5.4

Il CESE trova inaccettabile che sia considerato troppo difficile misurare gli sprechi alimentari o prematuro stabilire un obiettivo in questo senso. I lavori relativi alla definizione dei criteri di valutazione dei livelli di sprechi alimentari (37) sono già stati realizzati.

4.5.5

Il riferimento all’obiettivo di sviluppo sostenibile non è di per sé sufficiente a ridurre gli sprechi alimentari. Occorre stabilire delle tappe con un calendario entro cui raggiungere i relativi risultati, in modo tale da poter misurare i progressi compiuti in vista del 2030, con una serie di verifiche intermedie.

Materie prime essenziali

4.5.6

L’esempio spesso citato del telefono cellulare illustra bene la problematica del recupero delle materie prime essenziali. Un prodotto così diffuso servirà da interessante strumento per valutare la riuscita di molti degli aspetti del pacchetto sull’economia circolare, dalla progettazione ecocompatibile all’obsolescenza, fino al recupero delle materie prime essenziali.

Costruzione e demolizione

4.5.7

Va eliminata la possibilità di utilizzare i rifiuti da costruzione e demolizione come riempimento.

4.5.8

Gli edifici esistenti vanno gestiti come risorse, quali essi effettivamente sono, adottando strategie per incrementare al massimo il riutilizzo e il riciclaggio delle abbondanti risorse che essi contengono.

Altri settori

4.5.9

L’acqua in quanto risorsa dovrebbe costituire un elemento importante dell’economia circolare (38). Il ricorso a circuiti chiusi, la riduzione degli sprechi e l’eliminazione delle sostanze inquinanti sono aspetti essenziali della gestione delle risorse idriche in un modello circolare. Occorrono dettagli su come raggiungere questi obiettivi.

4.6

Monitorare i progressi compiuti verso un’economia circolare

4.6.1

Nel precedente pacchetto sull’economia circolare (39), la Commissione aveva annunciato che avrebbe valutato la raccomandazione, formulata dalla Piattaforma europea sull’efficienza nell’impiego delle risorse, di introdurre un obiettivo generale di uso efficiente delle risorse nell’ambito del riesame della strategia Europa 2020. Si potrebbe così integrare questo aspetto nei settori politici più importanti. I risultati di queste valutazioni andrebbero pubblicati e bisognerebbe mettere a punto uno standard di misurazione praticabile per monitorare lo sviluppo dell’economia circolare.

4.6.2

Il processo del semestre europeo è un meccanismo esistente che può utilizzare sia l’analisi - specifica per paese - delle sfide in materia di investimenti sia le raccomandazioni specifiche per paese per attingere ai dati dell’analisi annuale della crescita e di altre banche dati, al fine di promuovere l’attuazione delle iniziative dell’economia circolare e l’abbandono dell’attuale modello lineare non sostenibile. Il processo del semestre europeo e i suoi meccanismi andrebbero utilizzati come strumenti d’intervento per guidare l’attuazione e la promozione dell’economia circolare. Attribuire una connotazione «più verde» al processo del semestre europeo è fondamentale per conseguire gli obiettivi fissati. Il CESE chiede che sia valutata l’opportunità di eliminare gradualmente le sovvenzioni dannose per l’ambiente, e che sia introdotta la raccomandazione di utilizzare gli strumenti fiscali per promuovere l’economia circolare, come ad esempio le imposte ambientali.

4.6.3

La natura trasversale dell’economia circolare rende necessaria l’introduzione di un organo di monitoraggio trasversale, il cui mandato sia quello di esaminare l’integrazione orizzontale richiesta e l’integrazione verticale necessaria per attuare il piano d’azione.

4.6.4

Per fare in modo che la transizione si attui nelle proporzioni ritenute necessarie dalla Commissione, ciascuno Stato membro dovrà individuare uno specifico punto di contatto che riferisca in merito a tale attuazione.

Bruxelles, 27 aprile 2016.

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  SWD(2015) 259 final.

(2)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 99.

(3)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 99, in particolare il punto 5.

(4)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 23.

(5)  Cfr., ad esempio, il progetto Fusions nel contesto del Settimo programma quadro dell’UE: http://www.eu-fusions.org/index.php.

(6)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 99, in particolare il punto 4.

(7)  GU C 226 del 16.7.2014, pag. 1.

(8)  COM(2011) 571 final.

(9)  Decisione 1386/2013/UE.

(10)  Fondazione Ellen MacArthur, McKinsey, Growth within: A circular economy vision for a competitive Europe (La crescita dentro: la visione di un’economia circolare per un’Europa competitiva), pagg. 32 e 39, http://www.mckinsey.com/client_service/sustainability/latest_thinking/growth_within_-_a_circular_economy_vision_for_a_competitive_europe.

(11)  Riguardo alle sfide sistemiche, si rimanda al contributo dell’Agenzia europea dell’ambiente, L’ambiente in Europa — Stato e prospettive nel 2015, relazione di sintesi, 2015, pag. 141, http://www.eea.europa.eu/soer.

(12)  SWD(2015) 259 final.

(13)  Tra le opere di riferimento proposte si citano, ad esempio: Fondazione Ellen MacArthur, McKinsey, Growth within: op. cit., pag. 34, tabella 1, alcuni contributi sull’impatto macroeconomico dell’economia circolare, tra cui Circular Economy & Benefits for Society (L’economia circolare e i suoi vantaggi per la società), relazione a cura del Club di Roma, ottobre 2015 (in EN), http://www.clubofrome.org/?p=8851.

(14)  http://ec.europa.eu/environment/resource_efficiency/re_platform/index_en.htm.

(15)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 99, punto 1.3.

(16)  COM(2015) 614/2 final, pag. 20.

(17)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 99, punto 4, e GU C 230 del 14.7.2015, pag. 91, punti 1.5 e 4.8.

(18)  COM(2014) 446 final.

(19)  Parlamento europeo, Leasing Society (La società del leasing), novembre 2012, studio disponibile (in inglese) al seguente indirizzo: http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/etudes/join/2012/492460/IPOL-ENVI_ET%282012%29492460_EN.pdf.

(20)  GU C 230 del 14.7.2015, pag. 99, in particolare il punto 5.

(21)  Direttiva 2009/125/CE.

(22)  Capitolo 5 della Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, COM(2011) 571 final.

(23)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 23. Cfr. anche SIRCOME, università di Bretagne Sud e università della Boemia meridionale, The Influence of Lifespan Labelling on Consumers (L’indicazione della durata di vita dei prodotti e il suo impatto sui consumatori), studio commissionato dal CESE, marzo 2016.

(24)  Capitolo 3.1.

(25)  GU C 177 dell’11.6.2014, pag. 1.

(26)  A8-0215/2015.

(27)  Direttiva 2008/98/CE, articolo 4, paragrafo 3.

(28)  Ibidem, articolo 9.

(29)  Ibidem, articolo 29.

(30)  Direttiva 2015/720/UE.

(31)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione SWD(2015) 259 final.

(32)  Ibidem, pagg. 13, 15 e 17.

(33)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione, SWD(2015) 260 final.

(34)  Relazione dell’AEA sull’economia circolare, pag. 25.

(35)  Articolo 1 della direttiva 2008/98/CE.

(36)  http://www.cepi.org/pressrelease/CircularEconomyDec2015.

(37)  Cfr., ad esempio, il progetto Fusions nel contesto del Settimo programma quadro dell’UE: http://www.eu-fusions.org/index.php.

(38)  Commissione europea, The Junction of Health, Environment and the Bioeconomy: Foresight and Implications for European Research & Innovation Policies (Congiunzione tra salute, ambiente e bioeconomia: prospettive e implicazioni per le politiche europee di ricerca e innovazione), 2015, pag. 43.

(39)  COM(2014) 398 final, pag. 14.


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/110


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’accesso di beni e servizi di paesi terzi al mercato interno degli appalti pubblici dell’Unione europea e alle procedure a sostegno dei negoziati sull’accesso di beni e servizi dell’Unione europea ai mercati degli appalti pubblici dei paesi terzi»

[COM(2016) 34 final — 2012/0060 (COD)]

(2016/C 264/15)

Relatore:

Mário SOARES

La Commissione europea, in data 29 gennaio 2016, e il Parlamento europeo, in data 4 febbraio 2016, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 207 e 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’accesso di beni e servizi di paesi terzi al mercato interno degli appalti pubblici dell’Unione europea e alle procedure a sostegno dei negoziati sull’accesso di beni e servizi dell’Unione europea ai mercati degli appalti pubblici dei paesi terzi

[COM(2016) 34 final – 2012/0060 (COD)].

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 aprile 2016

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile 2016), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 223 voti favorevoli, 3 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L’UE ha proceduto a un’integrazione e una liberalizzazione più avanzate degli appalti pubblici europei in occasione della revisione dell’accordo sugli appalti pubblici (AAP), nel corso dei negoziati commerciali con i paesi terzi e nell’ambito degli accordi commerciali recentemente conclusi dall’Unione europea. Tali riforme hanno portato a una maggiore apertura degli appalti pubblici europei alle imprese dei paesi industrializzati o emergenti, mentre tali paesi non hanno risposto a tale apertura con un’offerta equivalente e le imprese europee continuano a confrontarsi con pratiche restrittive e discriminatorie nei paesi terzi. Tale apertura è tanto più necessaria se si considera che gli appalti pubblici rappresentano circa il 20 % del PIL mondiale e che, nell’attuale contesto di crisi, gli investimenti pubblici nelle infrastrutture e negli appalti di lavori e forniture nelle economie sviluppate ed emergenti costituiscono una delle leve essenziali della crescita economica per gli anni a venire.

1.2

In molti pareri il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si è pronunciato a favore dell’obiettivo, che l’Unione europea si è fissata, di una maggiore apertura degli appalti pubblici di tutti i paesi alla concorrenza internazionale. Il Comitato ha inoltre insistito sulla necessità di garantire la semplificazione delle norme in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, in particolare per le PMI, ma anche il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di parità di trattamento. Esso ha inoltre chiesto più volte che la dimensione sociale e quella ambientale, nonché il rispetto dei diritti umani fondamentali e la protezione dei consumatori fossero debitamente rinforzati nella conduzione della politica commerciale europea, conformemente all’articolo 207 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che chiede una maggiore coerenza con i principi e gli obiettivi dell’Unione.

1.3

Il Comitato comprende la preoccupazione della Commissione, che vuole garantire una maggiore apertura degli appalti pubblici alle imprese europee nei paesi terzi, ed è consapevole della leva che può rappresentare la proposta modificata di regolamento relativo all’accesso di beni e servizi di paesi terzi al mercato interno degli appalti pubblici dell’Unione europea, oggetto del presente parere.

1.4

Il Comitato reputa che la proposta di regolamento possa costituire un primo passo per garantire una maggiore apertura degli appalti pubblici, in particolare nei negoziati in corso nel quadro del partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) tra l’UE e gli Stati Uniti, nonché nel contesto dei negoziati su un accordo commerciale con il Giappone ovvero in quello dei negoziati d’adesione della Cina all’accordo sugli appalti pubblici dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), tutti paesi con mercati degli appalti pubblici meno aperti di quelli dell’Unione europea, ma anche nei confronti di paesi non firmatari dell’AAP, come la Russia, il Brasile o l’Argentina.

1.5

Tuttavia, il Comitato è consapevole delle profonde divergenze esistenti in seno al Consiglio e al Parlamento europeo in relazione alla pertinenza e all’efficacia della proposta di regolamento.

1.6

Il Comitato insiste sull’assoluta necessità di garantire che la concorrenza con le imprese dei paesi terzi nel quadro dell’aggiudicazione di appalti pubblici sia libera e non falsata. Il CESE dubita tuttavia che la presente proposta di regolamento possa raggiungere l’obiettivo dell’apertura equilibrata dei mercati degli appalti pubblici nei paesi terzi. Il Comitato ritiene in particolare che la nuova proposta di regolamento manchi di ambizione, in quanto il suo campo d’applicazione è limitato a un semplice adeguamento di prezzo per gli appalti di valore superiore a 5 000 000 EUR, e fa osservare che solo il 7 % di tutti gli appalti pubblici ha un valore superiore a 5 000 000 EUR. Reputa, anche, che la penalità, che può raggiungere il 20 % del prezzo delle offerte, non sia sufficiente e debba essere esaminata caso per caso. Il Comitato propone di applicare misure di adeguamento dei prezzi per gli appalti di valore stimato pari o superiore a 2 500 000 EUR.

1.7

Il Comitato si chiede inoltre se il divieto imposto agli Stati membri di applicare misure restrittive che vadano oltre quelle stabilite dal regolamento non equivalga a una liberalizzazione de facto e senza contropartita degli appalti pubblici al di sotto della soglia di 5 000 000 EUR per le imprese dei paesi terzi. Il Comitato si fa sostenitore pertanto della necessità inderogabile di un’apertura equilibrata e reciproca dei mercati degli appalti pubblici tra l’UE e gli Stati terzi.

1.8

Il Comitato deplora che la proposta di regolamento non contenga alcun riferimento all’obiettivo dello sviluppo sostenibile quando invece la Commissione ha fatto di tale obiettivo un elemento importante della sua comunicazione Commercio per tutti ed ha annunciato a più riprese che avrebbe tenuto conto dello sviluppo sostenibile in tutti gli aspetti pertinenti degli accordi di libero scambio (energia, materie prime e appalti pubblici) (1).

1.9

Il Comitato si rammarica per la soppressione degli articoli 85 e 86 della direttiva 2014/25/UE da parte del nuovo regolamento, poiché tali disposizioni sono ambiziose e più conformi all’obiettivo di integrazione dello sviluppo sostenibile, in quanto includono una dimensione sociale relativa alla difficoltà delle imprese europee di aggiudicarsi appalti pubblici nei paesi terzi a causa del mancato rispetto delle disposizioni internazionali in materia del diritto del lavoro in tali paesi. Il Comitato ritiene inoltre che sarebbe utile esaminare in modo più approfondito una possibile integrazione di alcuni loro elementi nell’attuale proposta di regolamento.

1.10

Il Comitato è quindi dell’avviso che il regolamento debba sviluppare un approccio più ambizioso per quanto riguarda la promozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile, di rispetto dei diritti fondamentali e di protezione dei consumatori nella procedura di aggiudicazione degli appalti pubblici nei paesi terzi. Secondo il Comitato, il mancato rispetto di tali norme fondamentali può avere un impatto negativo sulla competitività delle imprese europee e esso ritiene che la definizione di «misura o pratica restrittiva» dell’articolo 2 della proposta debba includere il mancato rispetto di tali norme fondamentali. Il Comitato reputa altresì che la relazione che la Commissione deve presentare il 31 dicembre 2018 al più tardi e, in seguito, almeno ogni tre anni (articolo 16 della proposta) dovrebbe riguardare non soltanto l’accesso per gli operatori economici alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici nei paesi terzi, ma anche vertere sul rispetto nei paesi terzi, nell’ambito di tali procedure, delle norme sociali e ambientali, nonché sul rispetto dei diritti umani fondamentali e sulla protezione dei consumatori; le relazioni della Commissione sull’applicazione del regolamento dovranno tenerne debito conto.

1.11

Il CESE chiede l’attuale proposta di regolamento ricordi l’obbligo, cui sono tenute le imprese dei paesi terzi che partecipano alle procedure di appalti pubblici nell’UE, di ottemperare alle disposizioni volte a promuovere il rispetto dello sviluppo sostenibile e il rafforzamento delle dimensioni sociali e ambientali, nonché il rispetto dei diritti umani fondamentali, la tutela dei consumatori e l’inserimento o il reinserimento sociale e professionale dei lavoratori con disabilità, di cui alle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sugli appalti pubblici. La conformità a tali disposizioni è essenziale per una concorrenza libera e non falsata nel mercato interno.

1.12

Il Comitato è assolutamente favorevole alla non applicazione del regolamento ai paesi in via di sviluppo meno avanzati e più vulnerabili di cui al regolamento SPG (2), ma ricorda alla Commissione che devono essere adottate misure complementari per promuovere la partecipazione dei paesi meno sviluppati e più vulnerabili agli appalti pubblici nell’UE.

1.13

Il Comitato approva anche la non applicazione del regolamento alle PMI europee. Desidera tuttavia ricordare alla Commissione che le PMI hanno bisogno di un sostegno particolare, sia per l’accesso ad appalti «transfrontalieri» nell’Unione europea che per l’accesso ai mercati degli appalti pubblici nei paesi terzi.

2.   Contesto

2.1

Il CESE è stato consultato dalla Commissione europea e dal Parlamento sulla proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’accesso di beni e servizi di paesi terzi al mercato interno degli appalti pubblici dell’Unione europea e alle procedure a sostegno dei negoziati sull’accesso di beni e servizi dell’Unione europea ai mercati degli appalti pubblici dei paesi terzi.

2.2

La spesa per gli appalti pubblici è generalmente stimata a circa il 20 % del PIL mondiale. Nell’attuale contesto di crisi, gli investimenti pubblici nelle infrastrutture e gli appalti di lavori e di forniture nelle economie sviluppate ed emergenti costituiranno probabilmente una delle leve fondamentali della crescita economica nei prossimi anni.

2.3

L’UE ha progressivamente assicurato l’integrazione dei suoi appalti pubblici e li ha aperti grazie a una maggiore liberalizzazione degli appalti pubblici europei in occasione della revisione dell’accordo sugli appalti pubblici (AAP) dell’OMC, entrata in vigore nell’aprile 2014, nonché nel corso dei negoziati commerciali con i paesi terzi e nell’ambito degli accordi commerciali recentemente conclusi dall’Unione europea (per esempio gli accordi UE-Corea, UE-America centrale, UE-Colombia/Perù, UE-Moldova, UE-Georgia e UE-Ucraina).

2.4

Tuttavia, le imprese europee continuano a scontrarsi con pratiche restrittive e discriminatorie nei paesi terzi. Tali pratiche sono il risultato di diversi fattori:

alcuni altri paesi firmatari dell’AAP (firmato da 43 membri dell’OMC) non hanno assunto impegni altrettanto importanti di quelli assunti dall’UE. Così, l’UE ha aperto l’80 % dei suoi mercati di appalti pubblici, mentre gli altri paesi sviluppati hanno aperto solo il 20 % dei loro appalti pubblici. L’Unione apre i suoi mercati di appalti pubblici per un importo di circa 352 miliardi di EUR ad offerenti provenienti dai paesi firmatari dell’accordo sugli appalti pubblici (AAP), mentre gli appalti pubblici a livello mondiale sono chiusi per oltre il 50 % del loro valore, il che comporta che si registrano soltanto 10 miliardi di euro di esportazioni provenienti dall’Unione e che la perdita in termini di esportazioni è stimata a 12 miliardi di EUR;

la Cina sta ancora negoziando l’adesione all’accordo, anche se si è impegnata a garantire l’integrazione dell’accordo già al momento della sua adesione all’OMC nel 2001. La Russia anche si è impegnata ad avviare negoziati di adesione all’accordo entro quattro anni dalla sua adesione all’OMC nel 2012. L’integrazione della Russia nell’accordo AAP rischia di prendere ancora più tempo rispetto a quella della Cina;

un certo numero di grandi attori, membri del G20 (Brasile, India, Argentina) non intendono aderire all’AAP e i negoziati bilaterali con questi paesi non si concluderanno certamente tra breve.

2.5

Va altresì rilevato che un gran numero di partner commerciali dell’Unione europea mantengono preferenze per i loro produttori o prodotti nazionali o delle preferenze a favore delle piccole e medie imprese (ad esempio, il Buy American Act negli Stati Uniti, la Buy Chinese policy in Cina, i margini preferenziali imposti dalla legge in Brasile, preferenze nazionali a livello regionale in Australia), il che esclude di fatto le imprese dell’UE dalla partecipazione a tali appalti pubblici (3).

2.6

Per quanto riguarda gli appalti pubblici aperti alla concorrenza nei paesi terzi, alle imprese europee è spesso impedita una partecipazione effettiva alle gare d’appalto pubbliche da ostacoli che «superano le frontiere» (come norme di certificazione e di standardizzazione diverse, le procedure di licenza, procedure non trasparenti o discriminatorie ecc.) ancora più complessi e più problematici dal punto di vista tecnico in quanto la loro identificazione, analisi ed eliminazione richiedono più tempo e le norme e le pratiche che li riguardano sono restrittive. Ciò è già stato segnalato in un precedente parere del Comitato.

2.7

In questo contesto difficile a causa della mancanza di una leva per ottenere una sostanziale apertura dei mercati degli appalti pubblici nei paesi terzi, l’Unione europea cerca da anni di elaborare uno strumento che preveda la possibilità di introdurre restrizioni in mancanza di reciprocità o in caso di misure restrittive e discriminatorie imposte alle imprese europee da parte dei paesi terzi.

2.8

Va tuttavia osservato che l’UE ha avuto a disposizione e dispone tuttora della possibilità di limitare l’accesso agli appalti pubblici dell’UE per le imprese dei paesi che non concedono un trattamento identico a quello di cui godono gli operatori economici di tali paesi nell’Unione europea per quanto riguarda gli appalti pubblici nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali. Tuttavia, tale possibilità non è stata mai utilizzata. Infatti, la direttiva 2004/17/CE (modificata dalla direttiva 2014/25/UE, che entra in vigore il 18 aprile 2016) prevede la possibilità di respingere le offerte contenenti più del 50 % di prodotti originari di paesi terzi con cui l’Unione non ha concluso accordi internazionali (articolo 58) e la possibilità per la Commissione (articolo 59) di proporre al Consiglio di decidere di sospendere o limitare, per un certo periodo, l’accesso agli appalti pubblici dell’UE per le imprese di paesi che non concedono un trattamento identico a quello di cui gli operatori economici di tali paesi godono nell’Unione europea ovvero per le imprese dei paesi in cui tali difficoltà sono connesse al mancato rispetto delle norme internazionali sul lavoro. Tali disposizioni sono previste dagli articoli 85 e 86 della direttiva 2014/25/UE.

2.9

Dal canto suo, la direttiva generale sugli appalti pubblici 2004/18/CE (riveduta dalla direttiva 2014/24/UE) non contiene disposizioni simili; per tale motivo, esistevano ed esistono tuttora nei diversi Stati membri pratiche diverse in relazione agli offerenti esteri o alle offerte contenenti prodotti e servizi originari di paesi terzi. In certi paesi membri si registrava una parità di trattamento, in altri paesi membri ciò dipendeva dall’esistenza o no di obblighi internazionali derivanti dall’accordo sugli appalti pubblici dell’OMC o da trattati bilaterali.

2.10

Per rimediare all’assenza di disposizioni nella direttiva generale sui mercati degli appalti pubblici e al fatto che alcuni paesi terzi non vogliono aprire i propri mercati degli appalti alla concorrenza internazionale, ma beneficiano di un accesso relativamente facile al mercato europeo, la Commissione ha formulato, nel 2012, una proposta di regolamento per introdurre una certa reciprocità nell’accesso agli appalti pubblici.

2.11

La prima proposta della Commissione, pubblicata nel 2012, ricordava in primo luogo il principio generale secondo cui, nel mercato interno dell’UE, i prodotti e i servizi esteri che beneficiano di impegni dell’UE in materia di accesso al mercato sono trattati allo stesso modo che i prodotti e i servizi originari dell’UE nelle procedure di aggiudicazione degli appalti; essa estendeva inoltre tale trattamento ai prodotti e servizi originari dei paesi meno sviluppati.

Per i beni e i servizi che non beneficiano di impegni in materia di accesso al mercato, la proposta si basava su due pilastri:

Il pilastro decentrato (articolo 6) che consentiva all’ente aggiudicatore di notificare alla Commissione l’intenzione di respingere le offerte nelle quali il valore dei beni e servizi non contemplati da impegni internazionali rappresentasse oltre il 50 % del valore complessivo dei beni e dei servizi inclusi nell’offerta. La Commissione poteva dare la sua approvazione nel caso sussistesse una mancanza sostanziale di reciprocità tra l’UE e il paese di origine dei beni e servizi. La Commissione avrebbe inoltre approvato l’esclusione quando i beni e i servizi in questione rientrassero nel campo di applicazione di una riserva in materia di accesso al mercato espressa dall’Unione europea nel quadro di un accordo internazionale,

la procedura centralizzata (articoli da 8 a 13) che consentiva alla Commissione di avviare un’indagine. Tale indagine poteva essere avviata su iniziativa della Commissione stessa o su richiesta di uno Stato membro o di una parte interessata volta a verificare l’esistenza di pratiche restrittive in materia di aggiudicazione di appalti nel paese terzo. La Commissione poteva consultarsi con il paese interessato per risolvere questo problema e migliorare le condizioni di accesso delle imprese dell’UE al mercato di tale paese o, in caso di fallimento, imporre misure restrittive a carattere temporaneo. Tali misure restrittive potevano, in linea di principio, consistere o nell’esclusione delle offerte costituite per oltre il 50 % da beni o servizi originari del paese terzo interessato (chiusura del mercato europeo) oppure nell’applicazione di una sanzione pecuniaria obbligatoria ai prodotti ed ai servizi originari del paese terzo in questione. L’indagine della Commissione doveva essere conclusa entro un periodo di 9 mesi. In casi debitamente giustificati il termine poteva essere prorogato di 3 mesi.

2.12

Il Parlamento ha adottato la sua relazione nel 2014 (4), esprimendo una certa opposizione alla procedura decentrata. Secondo il Parlamento, è solo la Commissione, e non le autorità locali, che può decidere di escludere un’offerta, perché il commercio internazionale è di competenza esclusiva dell’UE. Esso ha pertanto proposto un’integrazione della procedura decentrata nella procedura centralizzata. Sono stati sollevati altri punti di disaccordo, quali l’assenza di reciprocità quanto al rispetto delle norme sociali e ambientali e delle norme fondamentali dell’OIL, la non definizione della mancanza di sostanziale reciprocità; il Parlamento propone inoltre una presunzione di mancanza di reciprocità in caso di inosservanza delle disposizioni internazionali di diritto del lavoro. Il Parlamento si è anche mostrato preoccupato del fatto che il regolamento non difendesse le norme ambientali e sociali europee.

2.13

La prima lettura in sede di Consiglio non ha, dal canto suo, condotto a una decisione. Una quindicina di Stati membri non condividevano veramente la proposta e hanno costituito una minoranza di blocco. I più importanti tra questi erano la Germania, il Regno Unito, i Paesi Bassi e la Svezia, nonché alcuni paesi dell’Europa orientale. Essi hanno espresso il timore che tale strumento fosse considerato protezionistico a livello mondiale. I paesi che sostengono la proposta, guidati dalla Francia, hanno ottenuto una discussione tecnica nel 2014 e vi era la speranza di poter raggiungere un consenso durante la presidenza italiana (seconda metà del 2014). Purtroppo così non è stato e la Commissione ha adottato una proposta modificata in gennaio (5), con l’auspicio di sbloccare la situazione al Consiglio.

3.   Osservazioni generali

3.1

La Commissione presenta la nuova proposta come volta a correggere alcune conseguenze negative della precedente. Nella nuova proposta, la Commissione elimina la procedura decentrata che è stata criticata in quanto impone un notevole onere amministrativo e favorisce una certa frammentazione del mercato interno. Essa elimina inoltre la possibilità di chiusura totale del mercato europeo, pur mantenendo la possibilità di imporre, dopo un’indagine della Commissione, sanzioni pecuniarie del 20 % alle offerte costituite per oltre il 50 % da beni e servizi originari dei paesi che applicano pratiche restrittive o discriminatorie. Le misure di adeguamento del prezzo si applicano solo a contratti di valore stimato pari o superiore a 5 000 000 di EUR, misura che ridurrebbe secondo la Commissione il rischio di ritorsioni da parte dei paesi terzi. La proposta prevede inoltre che la misura di adeguamento del prezzo non si applichi alle piccole e medie imprese (PMI) europee né agli offerenti o ai prodotti originari di paesi in via di sviluppo meno avanzati e più vulnerabili quali definiti dal regolamento sul sistema di preferenze generalizzate (SPG).

3.2

In diverse occasioni il CESE si è pronunciato a favore dell’obiettivo di una maggiore apertura dei mercati degli appalti pubblici di tutti i paesi alla concorrenza internazionale che l’Unione europea si è fissata, ma il Comitato ha anche sottolineato la necessità di far prevalere i principi di semplificazione delle norme in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, di trasparenza, di non discriminazione, di parità di trattamento, di responsabilità sociale e ambientale e il rispetto dei diritti fondamentali (6).

3.3

Il Comitato comprende la preoccupazione della Commissione che vuole garantire una maggiore apertura degli appalti pubblici alle imprese europee nei paesi terzi. Il Comitato condivide altresì l’idea che la proposta di un regolamento siffatto possa costituire un primo passo nei negoziati in corso sugli appalti pubblici nel quadro del partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP) tra l’UE e gli Stati Uniti, nonché nel contesto dei negoziati commerciali con il Giappone e in quello dei negoziati di adesione della Cina all’accordo AAP, tutti paesi con mercati degli appalti pubblici meno aperti di quelli dell’Unione europea, ma anche nei confronti di paesi non firmatari dell’AAP, come la Russia, il Brasile e l’Argentina.

3.4

Il CESE dubita tuttavia che, una volta adottato, il regolamento proposto possa consentire di raggiungere l’obiettivo dell’apertura dei mercati degli appalti pubblici nei paesi terzi. Il Comitato ritiene che la nuova proposta di regolamento manchi di ambizione, dato che il suo campo d’applicazione è ridotto e la sua incidenza sull’apertura dei mercati degli appalti pubblici nei paesi terzi è molto incerta e rischia anche di essere molto limitata.

3.5

Secondo la stessa Commissione, solo il 7 % di tutti gli appalti pubblici ha un valore superiore ai 5 000 000 di EUR. Tali appalti rappresentano tuttavia il 61 % del valore degli appalti pubblici dell’UE. Nondimeno, visto che il regolamento si applicherà soltanto agli appalti non contemplati da impegni internazionali dell’Unione europea, occorrerebbe chiedersi quale sia la percentuale di appalti pubblici che sarà coperta, soprattutto a seguito dell’eventuale adesione della Cina all’AAP e a un’eventuale conclusione dei negoziati con gli Stati Uniti e il Giappone. Il rischio che l’applicazione sia circoscritta a un numero molto esiguo di appalti e a pochissimi paesi rischia di ridurre considerevolmente l’interesse del regolamento. Il Comitato propone di applicare misure di adeguamento del prezzo agli appalti di valore stimato pari o superiore a 2 500 000 EUR.

3.6

Il Comitato si rammarica altresì per il fatto che non vi sia, nella proposta di regolamento, alcun riferimento allo sviluppo sostenibile, che la Commissione mette peraltro in evidenza nella sua comunicazione Commercio per tutti quando dichiara che terrà conto «degli aspetti attinenti allo sviluppo sostenibile in tutti i pertinenti settori degli accordi di libero scambio (ad esempio i settori dell’energia e delle materie prime o degli appalti pubblici)» (7). È necessario che la dimensione sociale e quella ambientale, nonché il rispetto dei diritti umani fondamentali e la protezione dei consumatori, siano debitamente rafforzati nella conduzione della politica commerciale europea, conformemente all’articolo 207 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che chiede una maggiore coerenza con i principi e gli obiettivi dell’Unione.

3.7

Le nuove direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sugli appalti pubblici e le concessioni mirano a promuovere il rispetto dello sviluppo sostenibile e il rafforzamento delle dimensioni sociali e ambientali nonché dei diritti umani fondamentali, la tutela dei consumatori e l’inserimento o il reinserimento sociale e professionale delle persone con disabilità. Il rispetto di tali normative è essenziale per una concorrenza libera e non falsata nel mercato interno. Il CESE ritiene che sarebbe utile che l’attuale proposta di regolamento ricordasse che le imprese dei paesi terzi che partecipano alle procedure di appalti pubblici nell’UE sono tenute al rispetto di queste disposizioni.

3.8

La Commissione parla infatti delle «misure o pratiche restrittive», ma non fa alcun riferimento alla difficoltà di aggiudicarsi degli appalti pubblici nei paesi terzi a causa del mancato rispetto da parte delle imprese concorrenti delle norme sociali ambientali e dell’inosservanza dei diritti umani fondamentali e della protezione dei consumatori. Secondo il Comitato, il mancato rispetto di tali norme fondamentali può avere un impatto negativo sulla competitività delle imprese europee e esso ritiene che la definizione di «misura o pratica restrittiva» dell’articolo 2 della proposta debba includere il mancato rispetto di tali norme fondamentali. Il Comitato reputa altresì che la relazione che la Commissione deve presentare il 31 dicembre 2018 al più tardi e, in seguito, almeno ogni tre anni (articolo 16 della proposta) dovrebbe riguardare non soltanto l’accesso per gli operatori economici alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici nei paesi terzi, ma anche vertere sul rispetto nei paesi terzi, nell’ambito di tali procedure, delle norme sociali e ambientali, nonché sul rispetto dei diritti umani fondamentali e sulla protezione dei consumatori; le relazioni della Commissione sull’applicazione del regolamento dovranno tenerne debito conto.

3.9

Si può dubitare del successo di questo nuovo regolamento se si guarda alla divisione osservata in seno al Consiglio e che è all’origine del suo blocco. Infatti, l’eliminazione del pilastro decentrato potrebbe portare ad un nuovo blocco, visti, in particolare, tutti gli altri cambiamenti.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il Comitato approva il chiarimento apportato dall’articolo 1, paragrafo 5, della proposta di regolamento secondo cui gli Stati membri non possono applicare agli operatori economici, beni e servizi dei paesi terzi misure restrittive che vadano al di là di quelle stabilite dal regolamento. Ciò ha il vantaggio di conferire maggiore uniformità nell’applicazione agli operatori stranieri delle norme europee in materia di appalti pubblici. Il Comitato si chiede tuttavia se tale divieto non equivalga a una liberalizzazione de facto degli appalti pubblici europei per le imprese dei paesi terzi al di sotto della soglia di 5 000 000 EUR, senza alcuna contropartita. Infatti, attualmente, alcuni Stati membri applicano restrizioni relative agli appalti pubblici non coperti da obblighi internazionali e all’articolo 85 della direttiva 2014/25/UE relativa all’aggiudicazione degli appalti pubblici nei settori dell’acqua, dell’energia e dei servizi postali si prevede espressamente la possibilità di respingere le offerte che contengono più del 50 % di prodotti originari dei paesi con cui l’UE non ha firmato impegni internazionali. Questo articolo sarà soppresso dal regolamento proposto.

4.2

Il Comitato appoggia pienamente la non applicazione del regolamento ai paesi in via di sviluppo meno avanzati e più vulnerabili di cui al regolamento SPG (articolo 4) e, affinché tale esclusione sia effettiva e possa beneficiare i paesi meno sviluppati e le loro imprese, invita la Commissione a includere spiegazioni riguardanti gli appalti pubblici nell’Unione europea e un link alle pubblicazioni nella Gazzetta ufficiale (TED) nell’Export Helpdesk per i paesi in via di sviluppo e a garantire l’assistenza tecnica necessaria alle imprese dei paesi in via di sviluppo che desiderino ottenere informazioni sul funzionamento delle norme in materia di appalti pubblici nell’Unione europea.

4.3

Il Comitato approva anche la non applicazione del regolamento alle PMI europee (articolo 5). Desidera tuttavia ricordare alla Commissione che le PMI hanno bisogno di un sostegno particolare, sia per l’accesso ad appalti «transfrontalieri» nell’Unione europea che per l’accesso ai mercati degli appalti pubblici nei paesi terzi. Tale approccio è compatibile con l’attenzione speciale riservata alle PMI nella comunicazione della Commissione «Commercio per tutti». Un obiettivo di miglioramento dell’accesso delle PMI agli appalti pubblici deve essere stipulato nel quadro del capitolo PMI del TTIP in particolare, nonché nei futuri accordi commerciali che prevedano tali capitoli. Il CESE si è già pronunciato contro la fissazione delle quote per le PMI negli appalti pubblici, sul modello dello Small Business Act degli Stati Uniti, ma chiede una politica proattiva di accompagnamento della partecipazione delle PMI, per consentire loro di accedere a un maggior numero di appalti pubblici (8). Il Comitato ha anche già segnalato la necessità di migliorare la base di dati sull’accesso ai mercati della Commissione (Market Access data base) affinché, da un lato, essa contenga informazioni affidabili e accessibili sui bandi di gara, le formalità e le specifiche tecniche del capitolato che di fatto impediscono la partecipazione agli appalti nei paesi terzi e, dall’altro, fornisca basi statistiche e indicatori d’impatto dei fenomeni distorsivi (9).

4.4

Il Comitato comprende la preoccupazione della Commissione per l’assenza di uno strumento giuridico che le consenta di garantire l’accesso effettivo delle imprese europee ai mercati degli appalti pubblici nei paesi terzi, in quanto il regolamento (UE) n. 654/2014 relativo all’esercizio dei diritti dell’Unione per l’applicazione e il rispetto delle norme commerciali internazionali non si applica in assenza di un accordo internazionale. Tuttavia, la procedura d’indagine prevista agli articoli da 6 a 8 del regolamento sembra particolarmente lenta e inefficace. In primo luogo, il Comitato esprime dubbi in ordine all’ampio potere discrezionale che viene lasciato alla Commissione al momento di decidere se avviare o no un’indagine. Per quel che riguarda poi la durata dell’indagine, contrariamente a ciò che afferma la Commissione, essa non è stata ridotta nella nuova proposta e resta di una durata totale possibile di 12 mesi. Questo sembra un periodo particolarmente lungo, dato che in numerosi casi, e soprattutto nei casi in cui la Commissione avvia l’indagine di propria iniziativa, essa dispone già di un certo numero di elementi e spesso ha già affrontato la questione nel quadro del dialogo in atto con i paesi terzi. Il Comitato comprende anche il fatto che l’inchiesta sia sospesa durante eventuali negoziati commerciali. Tuttavia, a causa della durata dei negoziati commerciali e della loro applicazione, è opportuno fissare un termine di sospensione, che non deve superare i due anni.

4.5

Il Comitato ritiene che il fatto che l’indagine possa concludersi soltanto con un adeguamento del prezzo del 20 % per i contratti di valore superiore a 5 000 000 EUR, disposizione corredata di un gran numero di eccezioni, non sia sufficiente e privi il regolamento della sua efficacia.

4.6

Il Comitato si rammarica per la soppressione degli articoli 85 e 86 della direttiva 2014/25/UE da parte del nuovo regolamento, poiché tali disposizioni sono ambiziose e più conformi all’obiettivo di integrazione dello sviluppo sostenibile, in quanto includono una dimensione sociale e una dimensione ambientale. Il Comitato ritiene inoltre che sarebbe utile esaminare in modo più approfondito una possibile integrazione di alcuni loro elementi nell’attuale proposta di regolamento.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  Cfr. COM(2015) 497 final.

(2)  Regolamento n. 978/2012.

(3)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le imprese pubbliche dei paesi terzi sui mercati dell’UE degli appalti pubblici (GU C 218 del 23.7.2011, pag. 31).

(4)  P7_TA (2014)0027.

(5)  COM(2016) 34 final.

(6)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Gli appalti pubblici internazionali, adottato il 28 maggio 2008, relatore Malosse (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 32) e parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le imprese pubbliche dei paesi terzi sui mercati dell’UE degli appalti pubblici (GU C 218 del 23.7.2011, pag. 31).

(7)  Cfr. COM(2015) 497 final.

(8)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Gli appalti pubblici internazionali, adottato il 28 maggio 2008, relatore M. Malosse (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 32).

(9)  Cfr. nota 3.


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/117


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti - Stato dell’Unione dell’energia 2015»

[COM(2015) 572 final]

(2016/C 264/16)

Relatore:

Stéphane BUFFETAUT

La Commissione europea, in data 18 gennaio 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 194, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca europea per gli investimenti – Stato dell’Unione dell’energia 2015

[COM(2015) 572 final].

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell’informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 aprile 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 28 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La strategia quadro per un’Unione dell’energia è stata lanciata nel febbraio 2015 ed è nel 2016 che quest’unione inizierà a prendere forma. Le sue origini risalgono alle considerazioni di diversi gruppi di riflessione o personalità europee sul concetto di Comunità europea dell’energia, progetto caldeggiato in particolare dall’Istituto Jacques Delors e da Jerzy Buzek. Il Comitato economico e sociale europeo aveva fin dall’inizio sostenuto fermamente tale iniziativa.

1.2

Il concetto non fu accolto molto favorevolmente da diversi Stati membri poiché avrebbe comportato una revisione dei trattati, procedura quanto meno azzardata in quest’epoca di euroscetticismo. Tuttavia, l’idea di un migliore coordinamento delle politiche energetiche, le esigenze di una diplomazia energetica efficace, gli imperativi della lotta contro i cambiamenti climatici, la crescente dipendenza energetica dell’Unione europea, la necessità di ridurre le pressioni esterne sull’approvvigionamento, l’attuazione della transizione energetica e le misure sociali a favore dei settori interessati da tale transizione deponevano tutti a favore di un’iniziativa a livello europeo. Ed è così che è nata l’Unione dell’energia, semplificata sul piano istituzionale ma volta a conseguire l’efficienza grazie alla realizzazione di convergenze concrete e di impegni a lungo termine.

1.3

È importante tener presente che fin dalle fasi iniziali il CESE ha sostenuto un’Unione europea dell’energia o almeno un migliore coordinamento delle politiche energetiche (1), della diplomazia nel settore dell’energia e della transizione energetica, sottolineando la necessità di coinvolgere pienamente la società civile in queste iniziative. Essa è infatti direttamente interessata non solamente in quanto consumatrice ma anche in quanto parte attiva di una transizione energetica che non può avere successo senza la partecipazione e la mobilitazione della società civile, la quale sarà, in futuro ancor più che oggi, produttrice di energia a livello decentrato.

1.4

La comunicazione della Commissione intende stilare un primo bilancio di nove mesi di Unione dell’energia. È evidente che questo bilancio non può che essere parziale e non realmente significativo data l’importanza delle questioni in gioco e la profondità dei cambiamenti da introdurre. Le prime indicazioni vanno quindi accolte con precauzione poiché costituiscono solo l’inizio di una politica che dovrà essere portata avanti con perseveranza nel lungo periodo, con la cooperazione degli Stati membri.

1.5

Tuttavia, il quadro in cui verrà perseguita questa politica è noto: gli impegni assunti in occasione della COP21, la marcata instabilità geopolitica nel settore dell’energia, gli obiettivi europei in materia di clima e di energia, la sicurezza dell’approvvigionamento, l’efficienza energetica, la decarbonizzazione delle economie europee, lo sviluppo delle infrastrutture e il completamento del mercato interno dell’energia. Le sfide politiche sono enormi e non possono essere affrontate ricorrendo a delle semplici procedure amministrative e regolamentari. Abbiamo bisogno di una volontà politica ferma e di una visione forte ma realistica e condivisa dagli Stati membri, che tenga conto della situazione economica e delle possibilità tecniche disponibili, visto che i fatti si impongono sulla volontà politica.

1.6

Il CESE accoglie con favore questa prima relazione sullo stato dell’Unione dell’energia per il 2015 ma deplora talune lacune nella griglia di analisi dell’attuazione di questa iniziativa. La possibilità di colmare tali lacune rafforzerebbe l’approccio proposto dalla Commissione e permetterebbe di aumentare il sostegno della società civile al progetto, il quale prevede una transizione energetica che potrebbe essere motivo di preoccupazione.

1.7

Secondo il Comitato, i principali punti di analisi individuati dalla Commissione sono pertinenti ma vanno completati. Nella sua versione attuale, il testo evidenzia i seguenti punti:

la decarbonizzazione dell’economia,

il contributo dell’efficienza energetica come mezzo per moderare la domanda di energia,

la realizzazione di un mercato interno dell’energia,

la sicurezza energetica, la solidarietà e la fiducia,

la ricerca, l’innovazione e la competitività,

l’attuazione dell’Unione dell’energia.

A giudizio del CESE, la dimensione sociale dell’Unione dell’energia è un aspetto che non viene posto sufficientemente in rilievo e che dovrebbe far parte dei criteri di valutazione dell’Unione dell’energia. Infatti, questa Unione dovrebbe, da un lato, avere un impatto positivo in termini di creazione di nuovi posti di lavoro, di competitività e di innovazione, ma potrebbe, dall’altro, incidere su alcuni settori di attività, rendendo pertanto necessarie misure di sostegno sociale e di formazione. È importante che tali misure siano preventive per evitare la disoccupazione del personale interessato, e che i percorsi di formazione predisposti anticipino i futuri sviluppi del settore dell’energia. Nella prossima relazione annuale sarebbe quindi opportuno includere la dimensione sociale tra i criteri di valutazione. Analogamente, è essenziale affrontare le conseguenze economiche delle scelte che la transizione energetica comporta, tanto più che gli impatti sociali sono intimamente connessi a tali conseguenze.

1.8

Per quanto riguarda la questione dell’efficienza energetica, la Commissione europea ritiene che costituirebbe una fonte di energia a tutti gli effetti. Il CESE raccomanda vivamente di non mantenere questa formulazione che, oltre a creare confusione, non è esatta dal punto di vista scientifico, poiché nessuna fonte di energia primaria potrà mai essere «sostituita» dal risparmio energetico. Questa osservazione non inficia in alcun modo il fatto che l’efficienza energetica sia un tema di grande importanza per il futuro del sistema energetico europeo. Migliorare l’efficienza energetica in tutti i settori di utilizzo dell’energia può rappresentare un mezzo potente per ridurre i costi per l’economia europea.

1.9

Il Comitato auspica che, oltre alle parti sociali, anche la società civile partecipi al processo di elaborazione della relazione annuale. Le associazioni di consumatori, le associazioni rappresentative delle famiglie, i rappresentanti del mondo economico, gli agricoltori, le associazioni ambientaliste, gli scienziati e i ricercatori, in breve la società civile, sono pienamente coinvolti in questa iniziativa europea. Per questa ragione, il CESE chiede che venga avviato un dialogo europeo dell’energia, che permetta di coinvolgere maggiormente la società civile nella riflessione sulla politica europea dell’energia e nell’attuazione di tale politica. Tale dialogo potrebbe prendere forma nel quadro della relazione annuale sullo stato dell’Unione dell’energia, e vertere sui punti chiave definiti per valutare l’attuazione di tale Unione.

1.10

Per quanto attiene ai dati statistici, il CESE rileva che alcuni di essi sono piuttosto vecchi, se non addirittura inesistenti. Ciò significa che è necessario impegnarsi per ottenere dagli Stati membri dei dati più attuali, senza i quali sarà difficile monitorare gli effetti dell’attuazione dell’Unione dell’energia.

1.11

Infine, il CESE sottolinea che le procedure amministrative relative al monitoraggio e all’informazione non possono da sole riassumere l’Unione dell’energia. Esse sono uno strumento — utile e necessario — al servizio di una politica i cui obiettivi devono essere condivisi dagli Stati membri con il sostegno della società civile.

2.   Contenuto del documento e metodologia della Commissione europea

2.1

Il documento è anzitutto una relazione sullo stato di avanzamento dell’attuazione dell’Unione dell’energia e non un testo politico. Esso passa in rassegna i dati raccolti dagli Stati membri alla luce dei criteri politici fissati dalla Commissione. La metodologia della Commissione si fonda quindi sull’analisi e il monitoraggio della realizzazione dell’Unione dell’energia, in funzione di una serie di indicatori chiave. Tale monitoraggio è, per definizione, sensibile poiché le decisioni politiche in materia di energia dipendono dall’evoluzione dei mercati e degli eventi geopolitici ai quali gli Stati membri devono reagire con una certa celerità. Gli obiettivi a lungo termine possono quindi essere compromessi dalle necessità a breve termine e il monitoraggio va pertanto effettuato senza irrigidimenti.

2.2

In ogni caso, la Commissione ha definito sei temi — sei angolazioni strategiche — che vengono usati per quantificare l’attuazione concreta degli impegni assunti dagli Stati nella realizzazione dell’Unione dell’energia:

la decarbonizzazione dell’economia,

il contributo dell’efficienza energetica come mezzo per moderare la domanda di energia,

la realizzazione di un mercato interno dell’energia pienamente integrato,

la sicurezza energetica, la solidarietà e la fiducia,

un’Unione dell’energia per la ricerca, l’innovazione e la competitività,

l’attuazione dell’Unione dell’energia.

2.3

È alla luce di tali tematiche che la Commissione intende fornire una prima valutazione della realizzazione dell’Unione dell’energia.

3.   Osservazioni generali

3.1

Per quanto riguarda la decarbonizzazione, la Commissione ritiene che l’economia dell’UE sia la più efficace al mondo sulla base del fatto che, tra il 1990 e il 2014, il PIL complessivo dell’UE è aumentato del 46 % e le emissioni di gas a effetto serra sono diminuite del 23 %. Tuttavia, bisognerebbe valutare anche l’impatto della crisi che ha colpito il mondo intero e l’Europa in particolare, della persistente stagnazione economica e della deindustrializzazione dell’UE su tali cifre che forse in realtà sono meno lusinghiere di quanto appaiano.

3.2

La Commissione sottolinea altresì che l’Unione europea genera oltre metà della propria energia elettrica senza produrre emissioni di gas a effetto serra. A questo proposito rammentiamo che tale risultato non sarebbe possibile senza il contributo di energie che sono talora contestate o abbandonate in alcuni Stati membri (ad esempio l’energia nucleare o l’energia idroelettrica prodotta dalle dighe).

3.3

L’obiettivo dichiarato è quello di «spingersi al di là di un’economia basata sui combustibili fossili». A tale riguardo, l’attuale diminuzione e la volatilità dei prezzi del petrolio non costituiscono degli elementi favorevoli, anche se appare possibile conseguire l’obiettivo del 20 % di energia rinnovabile entro il 2020. Ma una politica energetica non può fondarsi su un approccio negativo e restrittivo. Il CESE auspica quindi che si valuti, per quanto possibile, il ruolo che potrebbero svolgere in futuro risorse quali l’energia eolica, l’energia marina, l’idrogeno ecc., e che il loro sviluppo sia sostenuto da una politica di ricerca e di sviluppo ambiziosa.

3.4

La Commissione rileva che la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio richiederà investimenti significativi. A questo proposito, un abbassamento continuo dei prezzi del petrolio renderebbe ancora più pesante il costo comparativo di tali investimenti. Pertanto, l’attuazione concreta degli impegni assunti a Parigi nel quadro della COP sarà oggetto di un esame approfondito.

3.5

Il CESE sottolinea che i risultati della COP 21 forniscono per la prima volta le basi di una protezione del clima coordinata a livello mondiale e legittimano pertanto i notevoli sforzi compiuti dall’Europa che avrebbero avuto un impatto limitato sui cambiamenti climatici mondiali se il resto del mondo non avesse seguito la stessa via. Possiamo quindi seguire la tabella di marcia europea nello spirito dell’accordo di Parigi e fare in modo che ogni Stato membro possa apportare il suo pieno contributo alla protezione del clima in funzione delle sue capacità.

3.6

La Commissione afferma di aver messo a punto degli strumenti e dei mezzi che considerano l’efficienza energetica come una fonte di energia a tutti gli effetti. Il CESE raccomanda vivamente di non adottare questa formulazione che, oltre a creare confusione, non è esatta dal punto di vista scientifico, poiché nessuna fonte di energia primaria potrà mai essere sostituita dal risparmio energetico. Risparmiare energia è indubbiamente una necessità ma non costituisce un’energia a tutti gli effetti. Resta il fatto che l’efficienza energetica è un parametro importante nel futuro sistema energetico europeo. Migliorare l’efficienza energetica in tutti i settori di utilizzo dell’energia può rappresentare un mezzo potente per ridurre i costi aggiuntivi per l’economia europea. In teoria, un aumento dell’efficienza energetica proporzionale all’aumento dei costi di una determinata energia potrebbe stabilizzare i prezzi al livello attuale.

3.7

Ma un aumento significativo dell’efficienza energetica richiede inevitabilmente considerevoli investimenti da parte dei consumatori, delle imprese e delle organizzazioni pubbliche (edifici, infrastrutture, autoveicoli ecc.). Da un lato, la limitazione generale degli investimenti determinerà la velocità in cui si produrranno dei miglioramenti. Dall’altro, alcuni settori della società europea potranno sostenere investimenti cospicui e beneficiare di notevoli risparmi, mentre altri non saranno in grado di farlo. Ciò potrebbe provocare una spaccatura sul piano economico fra le diverse parti dell’Unione europea. Il CESE ritiene pertanto che sia necessario prevedere misure di sostegno per garantire che l’efficienza energetica apporti benefici a tutti.

3.8

La realizzazione del mercato interno dell’energia richiederà ulteriori infrastrutture di trasporto dell’energia, linee elettriche e gasdotti, che a loro volta comportano ingenti investimenti. La Commissione si compiace, a giusto titolo, dei progressi compiuti in questo settore nonché del lancio del Forum di Copenaghen, che sarà sì utile per individuare i problemi ma che, tuttavia, non costituisce di per sé una soluzione. Alcuni Stati hanno concluso degli accordi di cooperazione, come quello firmato da Polonia e Lituania oppure da Norvegia e Svezia. È tuttavia risaputo che vi sono state divergenze tra alcuni Stati membri in merito a progetti come Nord-Stream, che è stato al centro di critiche in Polonia, nei paesi baltici e in Svezia. Occorre pertanto assicurare che talune decisioni di investimento non siano in contrasto con lo spirito dell’Unione dell’energia. Inoltre, alcune decisioni politiche possono avere un impatto notevole sugli investimenti, per cui queste scelte devono essere operate con un certo distacco e valutate con prudenza avvalendosi delle conoscenze scientifiche e tecniche disponibili.

3.9

Va sottolineato che la Commissione riconosce che i consumatori — le utenze sia domestiche che familiari o industriali — auspicano una maggiore trasparenza in materia di costi e prezzi dell’energia, che devono inoltre essere valutati alla luce della situazione dei nostri principali concorrenti. Il CESE sostiene con forza questo approccio fondato su informazioni trasparenti e semplici ed è più volte intervenuto per richiederlo. Tuttavia, in un’epoca di crescente povertà energetica è indispensabile ribadire la necessità del servizio universale dell’energia e disporre di indicatori specifici sul ruolo che i servizi di interesse economico generale possono svolgere al riguardo. Le nostre società vivono di energia, la quale condiziona il nostro livello di vita, i nostri spostamenti, le comunicazioni e la vita delle nostre imprese. Il CESE auspica che la società civile sia rappresentata nelle sedi in cui vengono definite, a livello europeo, le condizioni per il funzionamento dei servizi universali. I consumatori devono poter partecipare pienamente alla definizione di questo servizio universale ed essere in grado di monitorarne la realizzazione pratica.

3.10

Il CESE è sempre più consapevole della necessità di rilanciare, in quest’ottica, il dibattito sulla liberalizzazione del mercato della produzione di energia avviata alla fine degli Anni 90 del secolo scorso. Tale liberalizzazione è stata accompagnata, in maniera strisciante e sulla base di argomentazioni generalmente pertinenti, da strumenti non conformi al mercato, come sovvenzioni (per la produzione di energia rinnovabile) e restrizioni (ad esempio, in materia di emissioni di CO2). Per le imprese e i lavoratori del settore è importante disporre di sicurezza circa il quadro nel quale poter investire, vista la considerevole entità delle somme in gioco e i lunghi tempi di rientro degli investimenti. L’insicurezza derivante da continue modifiche della politica energetica non favorisce la propensione al rischio e inibisce quindi l’innovazione tecnologica che promuove la sostenibilità del settore energetico europeo.

3.11

Per i cittadini, il successo dell’Unione dell’energia si misurerà anche in base a una serie di elementi molto concreti, tra cui in particolare il livello dei prezzi (che dipendono soprattutto dalle imposte sull’energia), l’accesso alle reti, la sicurezza dell’approvvigionamento (evitare le interruzioni e i black-out) e l’informazione dei consumatori sui materiali utilizzati che dev’essere semplice e immediatamente comprensibile (etichette energetiche per le apparecchiature elettroniche o gli elettrodomestici, dati sul consumo di carburante per le automobili) (2).

3.12

Va inoltre sottolineato che le scelte in materia di politica energetica toccano direttamente i dipendenti delle imprese. La transizione energetica comporta infatti delle trasformazioni e dei cambiamenti tecnologici. Mentre compaiono nuove occupazioni, altre forse scompariranno a seguito della chiusura o dei tagli ad alcuni tipi di industrie (miniere di carbone o centrali nucleari). Altre occupazioni ancora stanno cambiando o si stanno trasformando: ad esempio gli operai addetti alla posa delle tegole o delle lastre di ardesia sui tetti dovranno imparare a installare pannelli solari. Nell’attuazione dei vari capitoli dell’Unione dell’energia occorre tenere adeguatamente conto della necessità di impegnarsi a favore della formazione dei lavoratori dipendenti e degli artigiani dei settori direttamente o indirettamente interessati. Bisognerà provvedere anche a mantenere le competenze di alto livello che risultano estremamente preziose nella competizione economica (ad esempio nel campo dell’energia nucleare). Ma occorre anche prevedere il sostegno e la riqualificazione dei lavoratori che potrebbero perdere il posto di lavoro a seguito dei cambiamenti che la transizione energetica impone. Analogamente, è necessario valutare a monte le conseguenze economiche delle scelte politiche che saranno operate, per misurarne adeguatamente gli effetti, in particolare nel contesto di una concorrenza mondiale molto accesa.

3.13

Per quanto riguarda le imprese stesse, gli obiettivi di decarbonizzazione, efficienza energetica e moderazione della domanda dovranno tenere pienamente conto della concorrenza mondiale, in particolare nel caso delle industrie ad alta intensità energetica (siderurgia, alluminio, industria dei pneumatici, chimica ecc.). Il settore dei trasporti risulta particolarmente problematico per quanto riguarda il conseguimento degli obiettivi di emissione di carbonio. Tutti i modi di trasporto devono contribuire alla riduzione delle emissioni, in funzione dell’intensità del loro consumo di combustibili fossili. Infatti, le tecniche attualmente disponibili offrono delle soluzioni pulite e sostenibili solo per i percorsi brevi e quindi per i tragitti urbani. I viaggi di lunga percorrenza, ad eccezione del trasporto ferroviario alimentato ad energia elettrica, dipendono dai combustibili fossili. Il trasferimento modale può contribuire alla decarbonizzazione ma non è facile in Europa realizzare questo obiettivo. A tal fine gli investimenti dovrebbero essere più mirati onde integrare i diversi modi di trasporto e favorire quelli meno inquinanti. L’energia rappresenta anche un’arma geopolitica e nelle attività strategiche la dipendenza è politicamente pericolosa sia per i paesi interessati che per i loro cittadini, siano essi lavoratori dipendenti, consumatori o imprenditori. È pertanto necessario evitare le delocalizzazioni che comporterebbero una perdita non solo di potenza economica, ma anche di competenze preziose e di indipendenza.

3.14

La sicurezza energetica, la solidarietà e la fiducia tra gli Stati membri sono elementi essenziali per il successo dell’Unione dell’energia in un mondo estremamente instabile sul piano della geopolitica energetica. Non si può che essere d’accordo con l’idea che un aumento dell’efficienza energetica, delle energie rinnovabili e delle fonti energetiche interne contribuisce a ridurre la dipendenza e la vulnerabilità dell’Unione europea. Del resto si tratta di un’affermazione ovvia. Tuttavia, realizzare questo obiettivo in condizioni economicamente sostenibili non è altrettanto ovvio.

3.15

La necessaria stabilizzazione delle relazioni diplomatiche dell’UE con i suoi partner dell’Est, del Sud, del Medio Oriente e dell’Ovest costituisce un fattore di sviluppo e di indipendenza per l’Unione dell’energia. Secondo il CESE è indispensabile che l’UE disponga di una diplomazia energetica chiara e unificata nei confronti dei paesi terzi, orientata in funzione degli interessi ben definiti dell’Unione europea.

3.16

La Commissione sottolinea giustamente che la ricerca e l’innovazione sono fondamentali per accelerare la transizione energetica. Il CESE ha ripetutamente sottolineato l’assoluta necessità di coordinare gli sforzi degli Stati membri in questo settore e di avviare dei progetti comuni al fine di ridurre i costi e condividere i risultati della ricerca. È evidente che potremo realizzare i nostri obiettivi in materia di energia grazie ai progressi della ricerca e dello sviluppo e mediante la regolamentazione. A tale proposito, uno degli obiettivi dell’Unione europea dell’energia dovrebbe essere quello di concentrare gli sforzi su una serie di progetti comuni e di evitare una dispersione delle risorse che sarebbe in contrasto con l’efficacia scientifica, tecnica ed economica. Questo richiede ovviamente la mobilitazione di fondi ma è poco probabile che il regime di scambio delle quote di emissione, il cui funzionamento è attualmente insoddisfacente, sia in grado di coprire questo fabbisogno di finanziamenti. Il nostro regime di scambio di emissioni si scontra infatti con i prezzi troppo bassi dei certificati di carbonio imputabili a un eccesso di offerta di diritti disponibili, che non consente affatto di raggiungere l’obiettivo auspicato della riduzione delle emissioni, e con gli effetti delle sovvenzioni concesse a determinate energie verdi.

3.17

Il CESE sostiene l’approccio della Commissione concernente uno stretto coinvolgimento delle parti sociali nel processo di transizione energetica che ovviamente richiederà degli sforzi in materia di formazione e di adeguamento a nuove tecnologie e a nuove professioni. La transizione energetica non potrà dare buoni frutti senza la mobilitazione degli attori della vita economica e sociale. Occorre tuttavia fornire loro i mezzi per diventare i protagonisti del cambiamento e per non limitarsi a subire le trasformazioni in maniera passiva o rassegnata. È inoltre necessario proporre una riqualificazione professionale ai lavoratori che perderebbero il posto di lavoro nel settore dell’energia.

3.18

Infine la Commissione europea illustra la sua strategia di attuazione dell’Unione dell’energia. Chiede un processo di gestione affidabile e trasparente, ma aggiunge che tale processo dev’essere ancorato nella legislazione. Il CESE tuttavia è dell’avviso che una politica non possa ridursi a delle procedure legislative o a una pianificazione amministrativa. Il successo di una politica energetica può essere assicurato solamente dall’azione politica dei governi interessati, dall’adesione dei cittadini a una serie di obiettivi chiari e comprensibili, dalla presa in considerazione delle realtà economiche, dallo sviluppo dell’innovazione, dal sostegno della società civile e dall’utilizzo delle forze trainanti dell’economia di mercato. Se da un lato l’idea di una relazione annuale di monitoraggio è necessaria, essa non è tuttavia sufficiente. Una relazione è inevitabilmente un documento formale che rischia di scivolare nell’astrazione tecnocratica. Per evitare questo rischio, il CESE ritiene che occorra realizzare un autentico dialogo europeo sull’energia che sia in grado di coinvolgere i cittadini, siano essi consumatori, rappresentanti di organizzazioni di tutela ambientale, lavoratori dipendenti, imprenditori, agricoltori, abitanti delle città o delle zone rurali oppure pensionati, vale a dire (3) la società civile che, nel suo insieme, deve affrontare le questioni relative all’energia tutti i giorni e in maniera estremamente concreta. Occorre infatti preparare il futuro e non subirlo; in questo futuro vi saranno produttori-consumatori, consumatori, produttori o «risparmiatori» di energia. L’Unione dell’energia troverà le condizioni necessarie per la sua riuscita solo se supera gli aspetti burocratici e si impegna fermamente in un’azione politica.

Bruxelles, 28 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  GU C 82 del 3.3.2016, pag. 13 e GU C 82 del 3.3.2016, pag. 22.

(2)  GU C 82 del 3.3.2016, pag. 6.

(3)  GU C 68 del 6.3.2012, pag. 15; GU C 161 del 6.6.2013, pag. 1, GU C 291 del 4.9.2015, pag. 8 e GU C 383 del 17.11.2015, pag. 84.


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/123


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile»

[COM(2015) 497 final]

(2016/C 264/17)

Relatore:

Jonathan PEEL

La Commissione europea, in data 11 novembre 2015, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 262 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile

[COM(2015) 497 final].

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 marzo 2016.

Alla sua 516a sessione plenaria, dei giorni 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 28 aprile), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 159 voti favorevoli, 7 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) plaude alla pubblicazione, avvenuta nell’ottobre 2015, della comunicazione della Commissione europea (1) Commercio per tutti — Verso una politica commerciale e di investimento più responsabile, poiché tale documento costituisce un aggiornamento della politica commerciale e di investimento dell’UE che giunge al momento opportuno e va accolto con favore.

1.1.1

La comunicazione in esame illustra un programma di lavoro positivo per le imprese, e dimostra inoltre che - in seguito a un tormentato biennio nel quale, per la prima volta nell’arco di dieci anni, il commercio è emerso come un tema politico di grande rilievo - la nuova commissaria europea al Commercio ha prestato ascolto alle principali preoccupazioni espresse dalla società civile e da altri soggetti. L’ambiziosa agenda proposta dalla comunicazione assume particolare importanza in un periodo, come l’attuale, di crescente incertezza per l’economia mondiale. Il commercio e gli investimenti sono settori estremamente importanti per la prosperità economica dell’UE, che è il principale blocco commerciale al mondo, e la firma del partenariato transpacifico (Trans Pacific Partnership — TPP) giunge al momento opportuno per rammentare all’Unione che essa deve rimanere competitiva.

1.1.2

Il CESE esprime il timore che sia difficile soddisfare le tante aspettative suscitate, le quali potrebbero anzi, prima o poi, essere all’origine di problemi e delusioni allorché i negoziati commerciali portati avanti dall’UE sfoceranno, come è inevitabile, in soluzioni di compromesso. La comunicazione Commercio per tutti sarà valutata sulla base della capacità o meno della Commissione di dimostrare che gli accordi commerciali non porteranno a un abbassamento degli standard in materia di ambiente o di lavoro, e neppure in altri ambiti; gli accordi dovrebbero anzi puntare a migliorare tali standard.

1.2

Siamo convinti che il modo migliore per raggiungere questo obiettivo consista nel coinvolgere molto di più la società civile lungo l’intero arco dei negoziati e, in seguito, durante il processo di attuazione. La società civile coltiverebbe l’aspettativa che la trasparenza, la responsabilità, la valutazione e l’analisi siano al centro del processo politico decisionale per quanto riguarda la politica commerciale dell’UE.

1.2.1

Il CESE è in ottima posizione, grazie al suo ruolo istituzionale, per contribuire a rafforzare la partecipazione della società civile tramite la sua vasta rete di contatti sia nell’UE che nei paesi terzi. Un simile dialogo rafforzato deve prevedere anche una maggiore consultazione delle parti sociali riguardo alle possibili ripercussioni del commercio e degli investimenti sull’occupazione.

1.3

Il Comitato accoglie con grande favore la richiesta della Commissione di elaborare un parere sulla comunicazione in esame, poiché la ritiene un riconoscimento del ruolo di maggior rilievo che esso ha assunto nel campo della politica commerciale; esprime disappunto, tuttavia, per il fatto che il proprio ruolo non venga menzionato espressamente nel documento della Commissione.

1.4

Il Comitato apprezza il fatto che la comunicazione in esame metta l’accento sulla necessità di una maggiore efficienza degli scambi commerciali e degli investimenti realizzati dall’UE e di una maggiore trasparenza, come pure sull’importanza di promuovere i valori dell’Unione e sulla necessità di coordinare questi ambiti d’intervento con altre politiche europee fondamentali. Il documento contiene soprattutto un’analisi approfondita del settore dello sviluppo sostenibile, con particolare riguardo ai diritti umani e sociali e all’ambiente. Dopo la COP 21 di Parigi, la lotta contro il riscaldamento globale dovrebbe oggi costituire parte integrante dei valori dell’Unione europea.

1.5

Il CESE apprezza inoltre l’impegno espresso nella comunicazione a favore delle piccole imprese, che si trovano ad affrontare maggiori ostacoli rispetto alle altre quando puntano ad accedere a nuovi mercati. La Commissione promette che in tutti i processi negoziali, sulla falsariga dei negoziati sul partenariato transatlantico UE-Stati Uniti sul commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership – TTIP), saranno previste disposizioni ad hoc per le PMI, come ad esempio lo svolgimento di «indagini periodiche sugli ostacoli» che queste imprese incontrano in determinati mercati. Per questi aspetti è pertinente il parere elaborato dal CESE sul tema Il TTIP e il suo impatto sulle PMI  (2).

1.6

Il Comitato accoglie altresì positivamente le proposte formulate nella comunicazione in esame per dare nuovo impulso all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e al sistema commerciale multilaterale, soprattutto alla luce della 10a Conferenza ministeriale di Nairobi. Queste proposte sottolineano tanto la funzione di regolamentazione dell’OMC quanto la necessità di un approccio più mirato, due aspetti particolarmente importanti alla luce degli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e degli obiettivi stabiliti dalla COP21, e mettono inoltre in rilievo la crescita delle catene del valore e di approvvigionamento a livello globale, nonché l’incremento degli scambi digitali e del commercio elettronico (e-commerce). L’importanza fondamentale dell’approccio multilaterale va preservata evitando, ad esempio, regole o standard contraddittori. Occorre tuttavia agire con grande cautela per evitare che paesi importanti vengano esclusi dal gioco, e questo vale soprattutto per i paesi più poveri e in via di sviluppo, segnatamente quelli del continente africano.

1.7

Occorre difendere il commercio e gli investimenti nella stessa UE, soprattutto alla luce del dibattito in corso sul TTIP. Il Comitato plaude al fatto che, nella comunicazione, la Commissione si impegni a garantire che «nessun accordo commerciale dell’UE avrà come effetto una riduzione dei livelli di protezione sociale, ambientale, dei consumatori e del lavoro» (3). La politica commerciale deve essere percepita come conforme ai principi dello sviluppo sostenibile, ivi compresa la sostenibilità economica a lungo termine.

1.7.1

Occorre un dibattito di livello elevato e fondato su informazioni attendibili, sia in ambito UE che nei singoli Stati membri, un dibattito in cui è di fondamentale importanza che tutti i soggetti interessati abbiano modo di esprimere il loro punto di vista.

1.7.2

Il Comitato valuta molto positivamente l’obiettivo della Commissione di attuare una politica commerciale più aperta e trasparente, che apporti maggiori vantaggi ai consumatori. Si deve tener conto del parere dei consumatori per rafforzarne la fiducia e contribuire a rendere il settore degli scambi commerciali più sostenibile e più responsabile. Tuttavia, il Comitato condivide la preoccupazione, espressa anche dall’Ufficio europeo delle unioni dei consumatori (BEUC - l’organizzazione dei consumatori dell’UE), per il fatto che in materia di politica commerciale continuino a non essere previsti dei meccanismi che sanciscano il principio di precauzione e l’approccio basato sul rischio. Tutto ciò deve, a propria volta, formare parte integrante del cosiddetto «principio di innovazione» (4).

1.8

A giudizio del CESE, tuttavia, la Commissione deve fare di più: deve dimostrare di assumersi le proprie responsabilità nei processi negoziali sul commercio e gli investimenti, e può essere tenuta a render conto delle sue affermazioni circa i benefici universali che dovrebbero derivare da tali trattative.

1.8.1

Il Comitato si rallegra dell’impegno assunto dalla Commissione nella comunicazione in esame ad assicurare in tutti i negoziati lo stesso livello di trasparenza raggiunto in quelli sul TTIP (benché non ancora nel caso di quelli con il Giappone). Per la società civile è importante che si svolgano periodicamente delle sessioni informative durante le singole tornate negoziali. Il CESE si è rammaricato, considerato il proprio ruolo istituzionale, di non essere stato formalmente invitato a partecipare ai lavori del gruppo consultivo sul TTIP della Commissione europea, e dichiara che occorrerà porvi rimedio per i futuri negoziati.

1.9

Il Comitato ritiene decisamente deludente il fatto che la comunicazione non menzioni i meccanismi di monitoraggio della società civile istituiti per esercitare un controllo sui capitoli relativi agli scambi e allo sviluppo sostenibile degli accordi commerciali in vigore conclusi dall’UE, e che non si soffermi neppure sui modi per svilupparli e consolidarli ulteriormente. Il Comitato ritiene che i meccanismi di effettiva applicazione debbano valere anche per questi stessi capitoli sugli scambi e lo sviluppo sostenibile, e che ciò dovrebbe essere previsto già nella proposta della Commissione riguardante il TTIP.

1.9.1

Sebbene tali meccanismi non solo presentino notevoli potenzialità e possano dare risultati concreti, ma costituiscano anche un importante canale per il dialogo e la cooperazione con la società civile dei paesi partner, la comunicazione in esame li ignora completamente. Il CESE considera che ciò sia in contrasto con l’intenzione di promuovere l’inserimento, nei futuri accordi, di capitoli ambiziosi e innovativi sugli scambi e lo sviluppo sostenibile, unitamente alle disposizioni sostanziali delineate.

1.9.2

Oggi si dispone di un’esperienza sufficiente per servire da materia di riflessione e per trarne insegnamenti sulle proposte positive e ben precise da formulare per il futuro. Servono gruppi consultivi nazionali (Domestic Advisory Groups - DAG) equilibrati, strutturati e potenziati. Fattori importanti sono inoltre lo sviluppo di capacità e una promozione più efficace, sia con i paesi partner che con la società civile di ciascun paese, per incoraggiare un maggior numero di organizzazioni a partecipare.

1.9.3

È necessario inserire negli accordi una disposizione sull’organizzazione di riunioni congiunte dei gruppi consultivi nazionali di entrambe le parti, sostenuta da un finanziamento adeguato e un mandato più ampio per questi organismi, in modo da consentire loro di svolgere anche attività mirate a obiettivi di più vasta portata nel campo del commercio e dello sviluppo sostenibile.

1.10

Ma nella comunicazione in esame si riscontrano anche altre sorprendenti omissioni. Pur fregiandosi del titolo di «comunicazione della Commissione», ad esempio, il documento non riesce a stabilire collegamenti sufficienti per un’interconnessione con altre direzioni generali. Il Comitato non è persuaso che la Commissione abbia messo a punto un approccio alle questioni cruciali che sia trasversale a tutte le sue direzioni generali.

1.10.1

Il CESE deplora il fatto che nella comunicazione la Commissione non riesca a dimostrare di aver elaborato un approccio pienamente coordinato in merito agli OSS. Il commercio e gli investimenti avranno un ruolo fondamentale per il conseguimento di questi obiettivi, sui quali è basata l’agenda globale dei prossimi 15 anni. Malgrado ciò, la comunicazione menziona soltanto due volte gli OSS - lasciandosi chiaramente sfuggire una vera e propria occasione. Il CESE invoca con urgenza un dialogo per assicurare la partecipazione della società civile ad un monitoraggio dell’impatto del commercio e degli investimenti sulla realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile.

1.10.2

Nel documento della Commissione, inoltre, è assente qualsiasi riferimento al rinnovo dell’accordo di partenariato ACP-UE («accordo di Cotonou»), previsto entro il 2020. L’UE deve altresì incoraggiare attivamente la spinta, oggi sempre più forte, verso la cooperazione intrafricana, fondamentale per lo sviluppo dell’Africa. Sebbene circa la metà dei paesi africani non benefici degli accordi di partenariato economico (APE) attualmente in vigore, non ha senso concepire una qualsiasi strategia panafricana dell’UE che si iscriva al di fuori del quadro offerto da tali accordi o di quello per gli ACP.

1.10.3

Il CESE esprime parimenti la propria delusione per l’assenza, nella comunicazione, di riferimenti ad altri settori cruciali della politica commerciale. Benché, infatti, venga spesso ricordata l’importanza dell’energia e delle materie prime, non vi è alcun riferimento alla necessità di garantirsi queste importazioni essenziali da paesi esportatori con i quali l’UE non prevede per il momento di concludere ALS, o, in alternativa, all’esigenza di ridurre la dipendenza energetica dell’Europa.

1.11

Infine, se si vuole che l’ambiziosa strategia dell’UE in materia di commercio e investimenti delineata nella comunicazione Commercio per tutti dia buoni risultati, il Comitato caldeggia l’assegnazione di risorse adeguate per la sua attuazione, anche facendo assegnamento sul ruolo che svolgono le missioni e le delegazioni dell’UE nei paesi terzi.

2.   Contesto

2.1

Il commercio e gli investimenti sono settori estremamente importanti per l’Unione europea: come si afferma nella comunicazione, nell’UE oltre 30 milioni di posti di lavoro — vale a dire uno su sette - dipendono dalle esportazioni; il commercio è uno dei pochi strumenti a disposizione per rilanciare l’economia senza gravare sui bilanci pubblici; e il 90 % della crescita economica mondiale nei prossimi 15 anni dovrebbe registrarsi al di fuori dell’Europa.

2.2

La comunicazione Commercio per tutti offre una revisione della strategia commerciale dell’UE che giunge al momento opportuno, ad un anno dall’insediamento della Commissione europea in carica. È la terza comunicazione su questo tema specifico: la prima, intitolata Europa globale - Competere nel mondo - Un contributo alla strategia per la crescita e l’occupazione dell’UE  (5), era stata pubblicata nel 2006, quando i negoziati dell’OMC sull’Agenda di Doha per lo sviluppo erano di fatto entrati in una fase di stallo.

2.2.1

Questo nuovo documento mette l’accento sulla necessità di una maggiore efficienza degli scambi commerciali e degli investimenti realizzati dall’UE e di un’accresciuta trasparenza, come pure sull’importanza di promuovere i valori dell’Unione e sulla necessità di coordinare questi ambiti d’intervento con altre politiche europee fondamentali. La comunicazione promette che verrà riservata più attenzione alle piccole imprese, le quali devono in particolare affrontare maggiori ostacoli per accedere a nuovi mercati.

2.2.2

Insiste inoltre sulla necessità di concludere i negoziati in corso, e in particolare quelli sul TTIP e quelli (sugli investimenti) con il Giappone e la Cina (6) - con specifico riferimento, per quanto riguarda quest’ultimo processo negoziale, alla strategia cinese «One Belt, One Road» (ossia, il corridoio terrestre e quello marittimo che formano la «Nuova Via della Seta»). Sottolinea altresì che occorre ratificare l’accordo economico commerciale e globale (CETA) tra l’UE e il Canada.

2.2.3

Nella comunicazione la Commissione promette poi di dare maggiore rilievo alle relazioni commerciali con l’Asia nel suo complesso, con una rinnovata attenzione alla conclusione di un ALS interregionale con i paesi dell’ASEAN, ad accordi sugli investimenti con Hong Kong e Taiwan e all’invito a riprendere i negoziati tuttora in fase di stallo con l’India. Sono inoltre previsti ALS con l’Australia e la Nuova Zelanda, e vengono confermate le revisioni degli ALS in vigore con il Messico e il Cile.

2.3

La comunicazione illustra in che misura l’incremento del volume degli scambi e degli investimenti globali, che è stato notevole e costante negli ultimi decenni, si sia tradotto in maggiore benessere generale e in una crescita dell’occupazione nell’Unione europea, così come in altre parti del mondo.

2.3.1

Essa riconosce inoltre che i cambiamenti determinati dal commercio «possono […] avere effetti perturbanti temporanei per alcuni lavoratori e in determinate regioni, quando la nuova situazione concorrenziale risulta troppo intensa per alcune imprese», e sottolinea che «cambiamenti simili non sono […] di modesta entità per le persone direttamente coinvolte». Al riguardo il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) ha un ruolo importante da svolgere. Nel biennio 2013-2014 il FEG ha prestato assistenza ad oltre 27 600 lavoratori (7). I benefici derivanti dal commercio non sono mai equamente ripartiti, e, sebbene il saldo aggregato degli scambi commerciali sia positivo, in specifici settori ed aree geografiche e/o a livello individuale possono verificarsi anche effetti negativi.

2.3.2

La comunicazione in esame osserva inoltre che oggi i posti di lavoro che dipendono dalle esportazioni sono ben due terzi in più rispetto a 15 anni fa, e che si tratta di posti di lavoro «altamente qualificati e meglio retribuiti rispetto alla media» (8). E fa anche presente che «oltre 600 000 PMI, che danno lavoro a più di sei milioni di persone, realizzano esportazioni dirette di merci fuori dall’UE che rappresentano un terzo del totale delle esportazioni dell’UE» (9), precisando poi che «molte altre PMI esportano servizi» o sono fornitori di imprese di grandi dimensioni.

2.3.3

Dal 2000 ad oggi le esportazioni di merci europee sono quasi triplicate, con un incremento del loro valore pari a circa 1 500 miliardi di EUR, e l’UE ha mantenuto la propria «quota delle esportazioni mondiali di merci» (pari al 15 %) a fronte di un aumento della quota di esportazioni della Cina e di una corrispondente diminuzione delle quote delle esportazioni mondiali di Stati Uniti e Giappone. Il documento illustra anche le notevoli ricadute positive dell’accordo di libero scambio concluso dall’UE con la Corea del Sud, che ha fatto sì che la bilancia commerciale tra le due parti sia passata da un disavanzo all’attuale eccedenza.

2.3.4

La comunicazione sottolinea la crescente interdipendenza tra le importazioni e le esportazioni. Le importazioni di energia e materie prime rimangono vitali, ma, come si legge nella comunicazione, «altrettanto vale per le parti, i componenti e i beni strumentali come i macchinari. […] La quota delle importazioni rispetto alle esportazioni dell’UE è aumentata di oltre la metà rispetto al 1995» (10).

3.   I mutamenti che interessano oggi il commercio mondiale

3.1

La comunicazione Commercio per tutti insiste giustamente sulla necessità di preservare i principi fondamentali dell’UE e di servirsi degli accordi commerciali come leve per promuovere, in tutto il mondo, valori quali lo sviluppo sostenibile, i diritti umani e sociali, il commercio equo ed etico e la lotta alla corruzione.

3.1.1

La pubblicazione della comunicazione interviene in un periodo in cui il commercio è interessato da cambiamenti di grande rilievo. Due importanti accordi internazionali conclusi di recente avranno profonde ripercussioni sulle strutture dei flussi del commercio mondiale: in primo luogo, nel settembre 2015 le Nazioni Unite hanno adottato gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) come parte integrante della propria Agenda 2030 in questo campo - anche se nella nuova comunicazione gli OSS vengono menzionati soltanto due volte.

3.1.2

Successivamente, nel dicembre scorso, ha registrato risultati molto positivi la Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC COP 21), che si è tenuta a Parigi.

3.2

Il commercio e gli investimenti avranno un ruolo fondamentale in futuro nel promuovere, perseguire in modo mirato e realizzare gli OSS, anche perché l’Unctad (la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo) ritiene che, per raggiungere gli obiettivi prefissi, occorrerà reperire ogni anno un’ulteriore somma di 2,5 miliardi di USD, fondi provenienti in gran parte dal settore privato.

3.2.1

La dichiarazione ministeriale rilasciata al termine della 10a Conferenza ministeriale dell’OMC, svoltasi di recente a Nairobi, riconosce che il commercio internazionale può contribuire all’obiettivo di conseguire una crescita sostenibile, solida ed equilibrata per tutti (11), sottolineando quindi chiaramente sia che l’OMC ha un ruolo importante da svolgere per realizzare gli OSS sia che sarebbe ben più difficile toccare un simile traguardo in assenza di un meccanismo commerciale multilaterale efficiente.

3.2.2

Il contributo del commercio e degli investimenti per la mitigazione dei cambiamenti climatici avrà anch’esso la sua importanza, benché resti ancora da vedere in che modo gli effetti dell’accordo di Parigi si esplicheranno pienamente nel settore degli scambi commerciali. I progressi compiuti nell’ambito dei negoziati per la conclusione di un accordo plurilaterale sui beni ambientali (Environmental Goods Agreement — EGA) preludono ad un importante passo in avanti per integrare la questione dei cambiamenti climatici nella politica commerciale multilaterale; tuttavia, permane la necessità di un’ulteriore azione a livello multilaterale al fine di promuovere la coerenza e il sostegno reciproco tra commercio e ambiente.

3.3

Un altro mutamento di rilievo che ha influenzato il commercio e gli investimenti internazionali è stato il considerevole sviluppo di catene del valore globali e di catene di approvvigionamento globali, unitamente alla crescita esponenziale degli scambi digitali e del commercio elettronico (e-commerce).

3.3.1

Attualmente una quota elevata degli scambi commerciali riguarda prodotti e servizi intermedi, ossia componenti del prodotto finale. Un processo di produzione così frammentato può essere suddiviso in tutta una serie di paesi ed è soggetto a cambiamenti, ma i paesi in via di sviluppo puntano anche alla specializzazione in segmenti specifici di una catena del valore globale. Le catene di approvvigionamento globali coprono quelle parti delle catene del valore globali dedicate all’approvvigionamento, ma non quelle relative alla progettazione o alla produzione finale oppure ancora alla distribuzione di un bene o di un servizio.

3.3.2

La comunicazione Commercio per tutti analizza giustamente in modo approfondito il tema dei servizi e della loro crescita esponenziale in quanto componente essenziale degli scambi commerciali (sezione 2.1.1). Tuttavia, al di là della dimensione tradizionale del commercio di servizi, la comunicazione della Commissione dovrà monitorare con attenzione gli ulteriori sviluppi di tale crescita esponenziale e i loro effetti sugli scambi internazionali.

3.3.3

Il Comitato apprezza pertanto che la comunicazione in esame ponga l’accento sul fatto che la politica commerciale deve «affrontare una serie più ampia di questioni» (12) per consentire all’UE di mantenere la posizione che le spetta nelle catene del valore globali: tra questi temi vanno citati la promozione degli scambi di servizi, l’agevolazione del commercio digitale e la protezione dei consumatori e dei loro dati personali.

3.3.4

Il Comitato accoglie altresì con grande favore l’impegno della Commissione a rafforzare ulteriormente le sue strategie al fine di garantire una gestione responsabile delle catene di approvvigionamento globali, dato che considera una tale gestione «fondamentale per allineare la politica commerciale ai valori europei» (13). Il Comitato si compiace dei progressi già compiuti dalla Commissione in questo ambito, segnatamente con l’Iniziativa per i diritti dei lavoratori varata insieme con il Myanmar. Il controllo delle catene di approvvigionamento deve svolgere un ruolo cruciale nel conseguimento degli obiettivi stabiliti dalla comunicazione Commercio per tutti in questo settore.

3.3.5

Una più chiara comprensione del funzionamento delle catene di approvvigionamento globali, e in particolare del loro impatto sull’economia e sul mercato del lavoro nei paesi terzi, giunge al momento opportuno al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile, la crescita inclusiva, i diritti umani e soprattutto la creazione di posti di lavoro dignitosi. A questo proposito, il CESE richiama l’attenzione sulla relazione informativa da esso recentemente elaborata sul tema della «Responsabilità sociale delle imprese» (14). Ha inoltre in preparazione, in vista della Conferenza internazionale del lavoro di giugno, un altro parere sul tema «Lavoro dignitoso nelle catene di approvvigionamento a livello mondiale (Global Supply Chains - GSC)», con il quale contribuirà a promuovere un comportamento responsabile da parte delle imprese, che è una delle priorità della presidenza neerlandese.

3.4

Malgrado ciò, l’approccio multilaterale al commercio rimane una questione di fondamentale importanza: tale approccio è centrale nel commercio mondiale, e deve rimanere, secondo l’espressione utilizzata nella comunicazione, «il fulcro della politica commerciale dell’UE» (15). Tuttavia, il punto di partenza da cui muove l’azione dell’OMC è molto diverso da quello degli OSS o della COP 21. Sia gli OSS che gli obiettivi della COP 21 stabiliscono una serie di traguardi ben precisi da raggiungere, mentre l’OMC dispone soltanto di un meccanismo chiaro e definito. Come dimostrano gli accordi di portata limitata conclusi a Bali e a Nairobi, obiettivi comuni dell’OMC sono molto difficili da realizzare.

3.4.1

Il Comitato ribadisce il suo pieno sostegno al multilateralismo, non da ultimo alla luce della necessità di conseguire gli OSS e gli obiettivi della COP 21, oltre che dell’incremento delle catene del valore e di approvvigionamento globali, nonché dello sviluppo degli scambi digitali e del commercio elettronico.

3.5

La comunicazione in esame sottolinea molto opportunamente (16) il ruolo centrale dell’OMC nell’elaborazione e nell’applicazione delle norme che regolano il commercio mondiale, precisando che il corpus normativo dell’Organizzazione «è il fondamento del sistema commerciale mondiale» (17). L’OMC garantisce la compatibilità di regole e standard in tutto il mondo e, grazie anche al suo meccanismo di risoluzione delle controversie (18), svolge un’attività largamente apprezzata e alla quale si ricorre sempre più spesso. Vi è il rischio concreto che accordi di libero scambio «megaregionali» e altri importanti ALS bilaterali possano stabilire norme che potenzialmente si sovrappongano o siano persino confliggenti, cosa che, invece di chiarire le regole del commercio mondiale, non farebbe altro che complicarle. Ad esempio, il Comitato constata con preoccupazione che le disposizioni sulle norme di origine contenute nel recente accordo concluso tra l’UE e il Vietnam potrebbero risultare in contrasto con quelle sottoscritte dallo stesso Vietnam nel quadro dell’accordo di partenariato transpacifico (TPP).

3.6

Molte delle questioni che rientravano nell’Agenda di Doha per lo sviluppo dell’OMC possono essere affrontate soltanto a livello multilaterale, come viene riconosciuto fin dai tempi dell’Uruguay Round: tra queste figura qualsiasi efficace accordo globale sui livelli complessivi delle sovvenzioni agricole - un obiettivo fondamentale dell’Agenda di Doha. Occorre proseguire il lavoro per la ricerca di soluzioni multilaterali.

3.6.1

Gli ALS devono apportare un reale valore aggiunto. Essi permettono di tenere maggiormente conto non solo delle differenze regionali e nazionali, ma anche delle diverse sensibilità culturali. Gli ALS devono contribuire, in ultima analisi, a rafforzare il multilateralismo.

3.7

La comunicazione Commercio per tutti valuta i diversi modi possibili per dare nuovo slancio all’OMC e al sistema commerciale multilaterale. Il documento, oltre a sottolineare l’aspetto relativo alla regolamentazione, insiste a ragione sulla necessità di un approccio più mirato. È giusto richiamare l’attenzione sul crescente squilibrio dovuto alla crescita di una serie di economie in rapida espansione, nonché sulla necessità che queste economie emergenti contribuiscano in misura maggiore ad aiutare paesi con un maggiore ritardo di sviluppo.

3.8

Il Comitato esprime però preoccupazione poiché la comunicazione contiene due proposte che sembrano andare in una direzione diversa rispetto all’intenzione dichiarata della Commissione nel documento stesso. La prima proposta prevede che «un sottogruppo di membri dell’OMC possa progredire su una determinata questione» (l’approccio plurilaterale), come sta già avvenendo nel caso dei negoziati per un accordo sui beni ambientali (EGA) e di quelli sull’accordo proposto sugli scambi di servizi (Trade in Services Agreement - TiSA). Se un simile approccio diventasse la norma, tuttavia, molti paesi importanti potrebbero venire esclusi dal gioco, in particolare i paesi più poveri e in via di sviluppo, soprattutto quelli del continente africano. È necessario esercitare un’attenta vigilanza per assicurare la compatibilità tra gli approcci plurilaterali e il pieno multilateralismo.

3.8.1

L’altra proposta avanzata nella comunicazione suggerisce che un accordo come il TTIP dovrebbe essere aperto a nuove adesioni: se per tale proposta (benché sia stata formulata pensando a paesi come la Turchia o come la Norvegia e altri Stati membri del SEE) dovesse essere stabilito un collegamento con altri accordi molto rilevanti (ad esempio un accordo UE-Giappone o un accordo economico commerciale e globale - CETA), l’importanza stessa dell’OMC potrebbe essere messa in discussione, anche perché questo rappresenterebbe un ritorno al passato, quando erano predominanti gruppi come il «Quad» o il «G4».

4.   Considerazioni strategiche e lacune

4.1

Malgrado la comunicazione Commercio per tutti affronti una vasta gamma di questioni strategiche cruciali e di temi importanti nel settore del commercio, presenta però anche un certo numero di lacune od omissioni.

4.2

In primo luogo, gli obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) vengono citati solo due volte, quando invece il commercio e gli investimenti avranno un ruolo fondamentale per la realizzazione di tali obiettivi. Gli OSS sono ben più ambiziosi degli obiettivi di sviluppo del millennio e avranno delle ripercussioni su quasi tutti i paesi del mondo, non da ultimo perché interessano anche gli ambiti dell’energia e dei cambiamenti climatici.

4.2.1

In ogni caso, al punto 4.2 della comunicazione vengono menzionati parecchi elementi e impegni pertinenti nonché tutta una serie di questioni di grande rilievo, tra cui le valutazioni d’impatto sulla sostenibilità e le implicazioni dei nuovi accordi di libero scambio per i paesi meno sviluppati (PMS), ma è comunque assente il fondamentale collegamento con l’approccio complessivo dell’UE alla realizzazione degli OSS. Il CESE si rammarica che, nella comunicazione, la Commissione non riesca a dimostrare di aver elaborato un approccio pienamente coordinato.

4.3

È inoltre assente qualsiasi riferimento al rinnovo dell’accordo di partenariato ACP-UE («accordo di Cotonou»), come pure a quelle regioni del mondo, e in particolare dell’Africa, con le quali non sono ancora stati conclusi degli accordi di partenariato economico (APE). Un messaggio cruciale emerso dalla Conferenza ministeriale di Nairobi è quello che esiste una volontà ampiamente diffusa di rafforzare l’Unione africana, ma anche di adoperarsi per la creazione di una «Zona continentale di libero scambio» (Continental Free Trade Area - CFTA) per l’intera Africa (più di 50 paesi). L’UE è l’unico organismo in grado di promuovere tale aspirazione, a cui dovrebbe dare la priorità.

4.3.1

La notevole attenzione giustamente riservata dall’UE ai paesi ACP dovrà diventare una priorità ancora più urgente ora che i nuovi OSS cominciano ad essere attuati. Il Comitato apprezza l’impegno espresso dalla Commissione nella comunicazione a riesaminare la strategia comune dell’UE in materia di aiuti al commercio (Aid for Trade — AfT) «per rafforzare la capacità dei paesi in via di sviluppo di sfruttare le opportunità offerte dagli accordi commerciali», in linea con gli OSS, come pure l’affermazione che il commercio servirà anche a sostenere l’integrazione regionale.

4.3.2

Si richiama in proposito l’attenzione dell’UE sulla dichiarazione finale del 14o incontro degli ambienti economici e sociali ACP-UE, svoltosi a Yaoundé nel luglio 2015 (19), secondo cui è necessario fare ricorso a tutte le risorse finanziarie disponibili per realizzare gli OSS, nel quadro di una gestione di bilancio sana e trasparente e con il coinvolgimento del settore privato.

4.3.3

Questo approccio riflette le raccomandazioni contenute in altri due pareri adottati di recente dal Comitato. Nel primo (20) si mette l’accento sul fatto che aiuti efficaci per il commercio richiedono anche la partecipazione attiva dei soggetti economici e sociali alla definizione dei programmi, al monitoraggio della loro attuazione e alla valutazione dei loro risultati e del loro impatto. Sforzandosi di garantire che le relazioni con i paesi ACP tengano conto delle differenze tra questi ultimi, la Commissione dovrebbe ricercare una partecipazione ampia e fattiva di tali soggetti, comprese le parti sociali e la società civile in generale. Ci si deve pertanto rammaricare che l’APE concluso di recente con la Comunità di sviluppo dell’Africa australe (Southern African Development Community — SADC) non contenga nessuna disposizione in tal senso.

4.3.3.1

Nel secondo parere (21), il CESE sottolinea che le organizzazioni imprenditoriali e quelle della società civile dei paesi in via di sviluppo necessitano di un sostegno per l’acquisizione di competenze e capacità utili per influire positivamente sull’ambiente lavorativo - un ambiente nel quale deve essere integrato il rispetto dei principi democratici generalmente riconosciuti, che agevoli la creazione e lo sviluppo delle imprese, accresca la trasparenza, limiti l’eccesso di adempimenti burocratici, freni una corruzione dilagante e infine, ma non meno importante, incoraggi gli investitori sia stranieri che locali.

4.4

In terzo luogo, nella comunicazione non vi è alcun riferimento alla necessità di garantirsi importazioni essenziali da paesi esportatori con i quali l’UE non prevede per il momento di concludere ALS, o, in alternativa, all’esigenza di ridurre la dipendenza energetica dell’UE. Un numero considerevole di posti di lavoro dipende anche da un’offerta sicura e regolare di energia e di materie prime fondamentali. Il Comitato ha già approfondito questo tema in un precedente parere, nel quale invoca un’efficace strategia globale e una chiara procedura di risposta da applicare in situazioni di emergenza o di crisi dovute all’improvvisa indisponibilità, per qualunque motivo, di un’importazione di vitale importanza (22).

4.4.1

Il CESE, da parte sua, ha rilevato con rammarico che, nella comunicazione della Commissione sul pacchetto sull’Unione dell’energia (23), la sezione sul «Rafforzamento del ruolo dell’Europa sui mercati mondiali dell’energia» risulta sorprendentemente poco incisiva. Secondo la suddetta comunicazione, l’Algeria e la Turchia apparterrebbero allo stesso gruppo di paesi produttori e di transito, scelta che il Comitato non ritiene opportuna; non vi è alcun riferimento ai principali corridoi energetici, né al partenariato strategico dell’UE con la Cina, in particolare in relazione alla cooperazione paritetica in materia di energia e trasporti.

4.4.2

L’accordo alla COP 21 di Parigi è stato raggiunto dopo la pubblicazione della comunicazione Commercio per tutti. Il sistema degli scambi internazionali dovrà tener conto sia degli obiettivi dell’accordo di Parigi sia degli obiettivi di sviluppo sostenibile. Nell’azione contro i cambiamenti climatici, inoltre, sarà necessario anche tener conto delle impronte di carbonio e degli incentivi per la biodiversità.

4.5

Per quanto riguarda gli investimenti - che rientrano tra le competenze dell’UE soltanto dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona - la comunicazione in esame propone di aggiornare gli ALS in vigore conclusi dall’UE inserendovi un apposito capitolo dedicato a questo tema, e suggerisce inoltre di avviare nuovi negoziati per concludere accordi autonomi sugli investimenti con Hong Kong e Taiwan.

4.5.1

Inoltre, il documento della Commissione punta a regolarizzare la protezione degli investimenti e l’arbitrato, in seguito alla controversia sorta intorno al meccanismo ISDS (risoluzione delle controversie investitore-Stato) e alle proposte avanzate successivamente nel quadro dei negoziati sul TTIP. Raccomanda poi di dare maggiore rilievo al fatto che negli ALS debba essere sancito il diritto degli Stati di regolamentare, unitamente ad iniziative volte a trasformare il sistema precedente in «un sistema giudiziario pubblico per gli investimenti, composto da un tribunale di primo grado e da una Corte d’appello che operano come i tribunali tradizionali» (24). Il sistema prevede un codice di condotta e giudici indipendenti che dispongano di rigorose qualifiche giuridiche e tecniche.

4.5.2

Il Comitato caldeggia lo svolgimento di un dibattito aperto e trasparente. È quindi da deplorare che queste proposte, che hanno suscitato la vasta opposizione di un ampio ventaglio di organizzazioni della società civile poiché non sono sostanzialmente diverse dal meccanismo ISDS che il CESE ha criticato (25) siano state ora inserite nell’ALS tra l’UE e il Vietnam e nell’accordo CETA riveduto senza una consultazione completa e adeguata.

4.6

Infine, una politica dell’UE ambiziosa nel campo del commercio e degli investimenti necessita di risorse adeguate, specifiche e sufficienti, sia per portare avanti più negoziati contemporaneamente, sia per garantire il monitoraggio e l’attuazione di accordi commerciali (e quindi destinare fondi sufficienti alle attività di monitoraggio della società civile) o difendere la causa della libertà degli scambi di fronte a un pubblico più vasto. L’assegnazione di risorse sufficienti laddove esse sono maggiormente necessarie deve costituire una considerazione fondamentale al momento di attuare le proposte della comunicazione Commercio per tutti, e includere anche una riflessione sul ruolo che svolgono le missioni e le delegazioni dell’UE nei paesi terzi.

5.   La sostenibilità e i valori dell’UE: due elementi essenziali per convincere gli europei

5.1

Se si vuole che l’approccio illustrato nella comunicazione Commercio per tutti abbia successo, sarà importante convincere gli europei dei vantaggi, ancora più significativi, offerti di per sé dagli scambi commerciali. Oggi il commercio e gli investimenti sono diventati argomenti di interesse generale, la cui importanza è riconosciuta da ampi settori della società civile, al punto che molti cittadini si interrogano su alcuni principi fondamentali: la tesi, sostenuta in passato dall’UE, secondo cui la liberalizzazione degli scambi comporta automaticamente dei vantaggi non è più accettata.

5.2

La comunicazione in esame dedica ampio spazio alle preoccupazioni emerse nel corso delle discussioni sul TTIP. Nel documento si dichiara fermamente che «la Commissione deve perseguire una politica che vada a beneficio di tutta la società e che promuova i principi e i valori europei e universali insieme agli interessi economici fondamentali, oltre a porre maggior enfasi sullo sviluppo sostenibile, sui diritti umani, sulla lotta all’evasione fiscale, sulla protezione dei consumatori e sul commercio responsabile ed equo» (26). Sarà inoltre importante prevedere disposizioni in materia di lotta alla frode fiscale e all’elusione fiscale. La Commissione si impegna inoltre a garantire che «nessun accordo commerciale dell’UE avrà come effetto una riduzione dei livelli di protezione sociale, ambientale, dei consumatori e del lavoro» (27). Dopo la COP 21 di Parigi, oggi tra queste preoccupazioni dovrebbe rientrare anche il tema del riscaldamento globale.

5.3

Il Comitato accoglie con grande favore questi impegni, che prendono come punto di partenza le basi poste nella comunicazione Europa globale — Competere nel mondo, nella quale la Commissione affermava che «siccome perseguiamo la giustizia sociale e la coesione all’interno dell’UE, dovremmo adoperarci anche per promuovere i nostri valori, compresi gli standard in materia sociale e ambientale e la diversità culturale, in tutto il mondo (28)».

5.3.1

L’accento che l’UE pone sullo sviluppo sostenibile deriva in parte dalla sua generale aspirazione a promuovere e rafforzare i suoi valori e principi comuni in materia di democrazia, Stato di diritto, diritti umani, trasparenza e prevedibilità. Questo approccio è incentrato sulla tutela dell’ambiente, la lotta ai cambiamenti climatici, la promozione del lavoro dignitoso, la salute e la sicurezza sul lavoro, e sull’ampio ventaglio di temi trattati sia dalle convenzioni fondamentali dell’OIL che dalle principali convenzioni multilaterali in materia di ambiente. Oggi è indispensabile che gli obiettivi di sviluppo sostenibile svolgano anch’essi un ruolo centrale.

5.3.2

Per quanto riguarda la maggior parte dei settori - ma non, in particolare, quelli dei prodotti tessili o delle ceramiche - le tariffe svolgono un ruolo secondario nei negoziati commerciali rispetto alle barriere non tariffarie ed alle norme - inclusa la cooperazione normativa. È l’impatto di quest’ultima a spingere a interrogarsi su chi potrebbero essere i reali vincitori. Come viene sottolineato dalla comunicazione, è essenziale pervenire ad una cooperazione normativa senza ridurre le tutele normative esistenti in settori fondamentali come la salute, la sicurezza, l’ambiente, le condizioni di lavoro e la protezione dei consumatori. Il capitolo relativo alle norme sanitarie e fitosanitarie dell’accordo CETA indica una possibile via da seguire. Occorre inoltre continuare a garantire il diritto di regolamentare, nonché evitare le disparità di trattamento.

5.4

Il Comitato accoglie con favore la volontà manifestata dalla Commissione, in linea con le posizioni espresse dal CESE, dal Parlamento europeo e dalla società civile in generale, di proteggere i servizi pubblici negli accordi di libero scambio, e ritiene che a tal fine il modo migliore sia quello di ricorrere a un elenco positivo, per quanto sia riguarda l’accesso al mercato che il trattamento nazionale.

5.5

Dato che il commercio è ormai diventato un tema più largamente dibattuto, non è più possibile dare per scontata la ratifica degli accordi commerciali da parte del Parlamento europeo - un’assemblea che oggi, rispetto al passato, dispone di maggiori poteri e rappresenta uno spettro ben più ampio di posizioni politiche. Pertanto il Comitato si aspetterebbe che nei negoziati commerciali la Commissione tenesse conto delle osservazioni formulate e delle preoccupazioni espresse dal Parlamento europeo nelle sue risoluzioni, da ultimo quelle in merito al TTIP e al TiSA. Poiché è probabile che taluni accordi di libero scambio interessino competenze «miste», in questi casi sarà necessaria anche la ratifica da parte dei parlamenti nazionali. In tali casi la ratifica richiederà una procedura di piena assunzione di responsabilità, in linea con le disposizioni dettate dalle Costituzioni dei singoli Stati membri. È essenziale che la Commissione compia ulteriori passi, sia a livello di UE che di Stati membri, per ottenere l’approvazione per la conclusione di questi ALS.

5.6

I punti forti dell’UE in materia di commercio rimangono uno dei suoi aspetti vincenti, ma è pur sempre necessario ricordare costantemente i benefici che derivano dagli scambi e soprattutto dagli investimenti. Occorre un dibattito di livello elevato e fondato su informazioni attendibili, sia in ambito UE che nei singoli Stati membri, che coinvolga anche la società civile e che dia modo a tutti i soggetti interessati di esprimere il loro punto di vista.

5.6.1

Finora si è constatato che una gamma più ampia e attraente di prodotti importati, sostenuta dalla diminuzione dei costi grazie alla riduzione o all’abolizione delle tariffe, determina vantaggi facilmente identificabili per i consumatori, offrendo una scelta più vasta e una maggiore varietà. Restano per il momento irrisolte alcune questioni, come ad esempio quella della riduzione delle tariffe di roaming per le telecomunicazioni con i partner commerciali. Incentivare la spesa dei consumatori con ricadute positive nei mercati nazionali è essenziale per concretizzare i benefici in senso lato della liberalizzazione degli scambi commerciali nell’UE, in particolare attraverso una più forte crescita dell’economia e dell’occupazione.

5.7

Se è vero che la comunicazione in esame mette l’accento sull’importanza che il commercio riveste per l’UE in termini sia di crescita che di occupazione, altrettanto rilevante è il punto di vista dei consumatori, preoccupati di un eventuale abbassamento degli standard e della potenziale impronta ambientale determinati da certi accordi.

5.7.1

È necessario che i consumatori - i quali, come viene riconosciuto nella comunicazione (29), hanno tratto vantaggio dalla soppressione degli ostacoli al commercio - abbiano fiducia nel mercato globale. Per pervenire ad un tale risultato, la politica commerciale deve essere - ed essere percepita come - conforme ai principi dello sviluppo sostenibile, ivi compresa la sostenibilità economica a lungo termine. Le valutazioni d’impatto dovranno rispecchiare pienamente questi aspetti ed essere considerate un esercizio avente un impatto reale.

5.7.2

È essenziale che i consumatori - e più in generale la società civile nel suo insieme - siano al centro dell’elaborazione delle politiche. Il Comitato valuta molto positivamente la priorità che la comunicazione in esame attribuisce all’attuazione di una politica commerciale che apporti maggiori vantaggi ai consumatori e che sia più aperta e trasparente. Tuttavia, il CESE condivide le preoccupazioni espresse da altri interlocutori per il fatto che, in materia di politica commerciale, continuino a non essere previsti dei meccanismi che sanciscano il principio di precauzione e l’approccio basato sul rischio. Tutto ciò deve, a propria volta, formare parte integrante del cosiddetto «principio di innovazione» (30).

6.   Trasparenza e una partecipazione approfondita della società civile

6.1

La comunicazione Commercio per tutti sarà valutata sulla base della capacità o meno della Commissione di dimostrare che gli accordi commerciali non porteranno a un abbassamento degli standard in materia di ambiente o di lavoro, e neppure in altri ambiti. La Commissione dovrà altresì dimostrare di assumersi le proprie responsabilità nei negoziati sul commercio e gli investimenti, e può essere tenuta a render conto delle sue affermazioni circa i benefici universali che dovrebbero derivare da tali trattative.

6.1.1

Il solo modo per raggiungere questo obiettivo consiste nell’assicurare una partecipazione molto più approfondita della società civile sin dalle primissime fasi dei negoziati.

6.1.2

La necessità di un’interazione attiva con la società civile è un tema che viene affrontato nella comunicazione in esame, benché non venga approfondito come ci si sarebbe potuto aspettare. Nell’ambito del proprio ruolo istituzionale, il CESE è in ottima posizione per contribuire a sviluppare tale interazione grazie ai suoi regolari contatti con la società civile sia dell’UE che dei paesi terzi. Tali contatti devono comportare anche la consultazione diretta delle parti sociali sulle possibili ripercussioni del commercio e degli investimenti sull’occupazione.

6.2

In seguito alle polemiche sollevate dai negoziati sul TTIP, la comunicazione in esame riconosce ora pienamente la necessità della trasparenza. Il Comitato apprezza l’impegno ad assicurare in tutti i negoziati lo stesso livello di trasparenza raggiunto per i negoziati sul TTIP. Chiede pertanto al Consiglio di pubblicare senza indugi il mandato e i testi negoziali dell’ALS UE-Giappone.

6.2.1

Il Comitato ritiene particolarmente importante lo svolgimento di sessioni informative per la società civile durante le singole tornate negoziali. Si è inoltre rivelato molto utile il gruppo consultivo ad hoc istituito per dare un contributo man mano che procedevano i negoziati sul TTIP; e il Comitato si rammarica di non essere stato formalmente invitato a partecipare in quanto istituzione ai lavori di tale gruppo ad hoc, e dichiara che occorrerà porvi rimedio per i futuri negoziati.

6.3

Tuttavia, lacune assai evidenti della comunicazione in esame sono l’assenza di un riferimento ai meccanismi di monitoraggio della società civile istituiti per esercitare un controllo sui capitoli relativi agli scambi e allo sviluppo sostenibile degli accordi commerciali in vigore conclusi dall’UE, come pure il fatto che il documento non menzioni neppure i modi per svilupparli e consolidarli ulteriormente. Il Comitato ritiene che i meccanismi di effettiva applicazione debbano valere anche per questi stessi capitoli sugli scambi e lo sviluppo sostenibile, e che ciò dovrebbe essere previsto già nella proposta della Commissione riguardante il TTIP.

6.3.1

L’assenza di questi riferimenti è senz’altro deludente. Nel suo parere in merito alla comunicazione del 2006 Europa globale - Competere nel mondo, il Comitato ha chiesto di inserire un capitolo sugli scambi e lo sviluppo sostenibile in ogni ALS concluso dopo la pubblicazione del parere, nonché di prevedere un ruolo attivo di controllo per la società civile (31).

6.3.2

A partire dall’accordo del 2010 con la Corea del Sud, l’UE ha concluso sette accordi commerciali nei quali figura un importante capitolo sugli scambi e lo sviluppo sostenibile. Da allora il Comitato ha chiesto di inserire un capitolo specifico sugli scambi e lo sviluppo sostenibile negli accordi di investimento autonomi (32).

6.3.3

Il Comitato ritiene che l’assenza constatata finora di una qualsiasi valutazione dettagliata di tali capitoli, del controllo della loro applicazione o del loro potenziale rafforzamento sia in contrasto con l’intenzione espressa dalla Commissione - e peraltro grandemente apprezzata dal CESE - di continuare a promuovere l’inserimento di capitoli ambiziosi e innovativi sugli scambi e lo sviluppo sostenibile nei futuri accordi dell’UE in materia di commercio e investimenti, unitamente alle disposizioni sostanziali delineate in tali capitoli.

6.3.4

Ciascuno dei suddetti accordi prevede vari tipi di meccanismi congiunti della società civile delle due parti contraenti finalizzati a monitorare l’attuazione del capitolo sugli scambi e lo sviluppo sostenibile. Oggi si è acquisita un’esperienza sufficiente e si sono tratti i necessari insegnamenti per servire da materia di riflessione e formulare proposte positive e ben precise per il futuro.

6.3.5

Questi meccanismi presentano notevoli potenzialità e possono dare risultati concreti sotto forma di ricadute positive del commercio e degli investimenti, laddove ciò sia opportuno. Importanti in quanto canale di dialogo e di cooperazione con la società civile dei paesi partner, per diventare pienamente operativi e avere un ruolo incisivo tali meccanismi richiedono tempo, lavoro e sviluppo di capacità, soprattutto nei casi in cui il modello di dialogo civile e sociale sia diverso da quello in uso nell’UE. I contatti allacciati dal CESE sono stati utili per l’istituzione dei gruppi consultivi nazionali (Domestic Advisory Groups — DAG).

6.4

A mano a mano che il numero di questi organismi aumenta, emergono anche reali difficoltà nel pervenire ad una rappresentanza equilibrata di ciascun gruppo al loro interno - situazione, questa, che è causa di gravi ritardi.

6.4.1

Altre questioni ricorrenti da affrontare sono, ad esempio:

le limitate capacità delle organizzazioni pertinenti: è necessaria una promozione più efficace di queste tematiche sia con i paesi partner che presso i soggetti della società civile,

la necessità di inserire negli accordi una disposizione sull’organizzazione di riunioni congiunte dei gruppi consultivi nazionali dell’UE e dei paesi partner, al fine di scambiare esperienze e di stabilire parametri di riferimento comuni per il monitoraggio,

un finanziamento adeguato per la partecipazione della società civile, che dovrebbe includere anche attività di più vasta portata, tra cui seminari o studi che contribuiscano al conseguimento di obiettivi in materia di commercio e di sviluppo sostenibile.

6.4.2

Il CESE raccomanda inoltre di ampliare il mandato dei gruppi consultivi nazionali in modo da estenderlo a tutte le questioni che interessano la società civile, tra cui in particolare la cooperazione normativa, i capitoli dedicati alle PMI o le disposizioni relative ai diritti umani.

Bruxelles, 28 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(1)  COM(2015) 497 final.

(2)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 34.

(3)  Cfr. nota 1.

(4)  Better Framework for Innovation («Un quadro più efficace per l’innovazione»), pubblicazione a cura di BusinessEurope et al., giugno 2015.

(5)  COM(2006) 567 final.

(6)  Un’altra questione chiave, poi, è quella del riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato.

(7)  Comunicato stampa della Commissione europea, luglio 2015.

(8)  Cfr. nota 1.

(9)  Ibidem.

(10)  Ibidem.

(11)  Dichiarazione ministeriale di Nairobi WT/MIN(15)/DEC, punto 4 https://www.wto.org/english/thewto_e/minist_e/mc10_e/mindecision_e.htm

(12)  Cfr. nota 1.

(13)  Ibidem.

(14)  Relazione informativa sul tema La responsabilità sociale delle imprese da utilizzare come leva negli accordi di partenariato dell’Unione europea (commercio, investimenti e cooperazione/sviluppo) (http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.rex-opinions.35349).

(15)  COM(2015) 497 final, punto 5.1.

(16)  Ibidem, punto 5.1.1.

(17)  Ibidem.

(18)  Oggi giunto a trattare il suo 500o caso.

(19)  Dichiarazione finale del 14o incontro degli ambienti economici e sociali ACP-UE conformemente al mandato dell’accordo di Cotonou.

(20)  GU C 383 del 17.11.2015, pag. 49.

(21)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 1.

(22)  GU C 67 del 6.3.2014, pag. 47.

(23)  COM(2015) 80 final.

(24)  Ibidem.

(25)  Parere del CESE, Tutela degli investitori e risoluzione delle controversie investitore-Stato negli accordi commerciali e di investimento dell’UE con i paesi terzi (GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 45).

(26)  Cfr. nota 1.

(27)  Ibidem.

(28)  COM(2006) 567 final, punto 3.1, iii).

(29)  COM(2015) 497 final, punto 4.1.1.

(30)  Cfr. nota 5.

(31)  GU C 211 del 19.8.2008, pag. 82.

(32)  GU C 268 del 14.8.2015, pag. 19.


20.7.2016   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 264/134


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla «Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione»

[COM(2016) 71 final – 2016/43 (NLE)]

(2016/C 264/18)

Il Consiglio, in data 24 febbraio 2016, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 148, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione

[COM(2016) 71 final – 2016/43 NLE].

Poiché il Comitato si era già pronunciato sul contenuto della proposta nel suo parere Orientamenti per l’occupazione (EESC-2015-01167-00-02-AC-TRA), adottato il 27 maggio 2015 (*), nel corso della 516a sessione plenaria del 27 e 28 aprile 2016 (seduta del 27 aprile) ha deciso, con 220 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni, di non procedere all’elaborazione di un nuovo parere in materia ma di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

Bruxelles, 27 aprile 2016

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Georges DASSIS


(*)  Cfr. parere del CESE SOC/519 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione COM(2015) 098 final – 2015/0051 (NLE), GU C 332 dell’8.10.2015, pag. 68.